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Il corrosivo: Ah, quel piccone…!

di Elso Simone Serpentini
5 minuti

Nel mio libro sull’abbattimento del Teatro Comunale di Teramo, che sarà presentato nel pomeriggio di giovedì 30 aprile nella Sala San Carlo del Museo Archeologico, non esprimo giudizi né di merito né di valore, mi limito fornire una precisa ricostruzione dei fatti attraverso la lettura dei giornali dell’epoca e delle delibere consiliari. Fornisco il materiale perché ognuno possa esprimere il proprio giudizio e mi riservo, ovviamente, al di fuori delle pagine del libro, di esprimere io stesso il mio giudizio su quello che ritengo sia stato un atto criminoso e criminale. L’abbattimento del Teatro ottocentesco del Mezucelli fu un crimine, che ebbe però molteplici responsabili e molteplici complici.
Riproduco qui di seguito la quarta di copertina:
Il Teatro Comunale di Teramo, costruito su progetto dell’architetto teramano Nicola Mezucelli e inaugurato nell’aprile del 1868 con Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi, aveva conosciuto splendide stagioni liriche e di prosa, di operette e di varietà, con la partecipazione dei più grandi interpreti e artisti, ma anche periodi assai meno felici, nei quali era rimasto chiuso a lungo, fino a quando non era stato adibito in prevalenza a cinematografo. La manutenzione era diminuita sempre di più e la struttura ne aveva fortemente risentito, deperendo quotidianamente a vista d’occhio.
   
Portava assai male la sua età e non si presentava certamente negli anni  ‘50 in ottime condizioni. La struttura era visibilmente sofferente nei pavimenti, nei corridoi, nei palchi, nei tendaggi, nelle poltrone e in altri arredi. La scarsa manutenzione e la frequentazione di spettatori piuttosto irriverenti delle serali proiezioni cinematografiche avevano prodotto guasti rilevanti, ai quali si prometteva sempre di riparare, senza però farlo mai.
 Affidato in gestione a privati, il Comune se ne disinteressava da tempo. Anche l’opinione pubblica era indifferente alla sua sorte e al suo crescente degrado. Non ci fu perciò quasi nessuna reazione alla proposta, prima timida e poi sempre più caldeggiata, di un totale abbattimento, per far posto ad un nuovo moderno cinema-teatro, ma soprattutto, al piano terreno del nuovo edificio, ai grandi magazzini a prezzo fisso.
   
Teramo voleva dimostrare a tutti i costi di non essere una “città morta” ed era presa da una crescente “ansia del nuovo”, da un desiderio di modernità di cui l’avvento della Standa, in nome del quale il vecchio Teatro dell’Ottocento venne sacrificato, fu per tutti il simbolo più evidente.
Una “sapiente” campagna di stampa, una pervicace ostinazione degli amministratori, una totale disattenzione ai valori storici e culturali della vecchia struttura da parte dei cittadini, dei politici e degli intellettuali del tempo, portarono alla decisione di un abbattimento sul quale oggi ci si interroga e ci si rammarica.

Martedì 1° dicembre 1959 Il Messaggero dava la notizia che il sindaco Carino Gambacorta, con accanto il ministro Giuseppe Spataro, aveva dato il primo colpo di piccone per la demolizione del Teatro. Si verificava quindi quanto lo stesso giornale aveva scritto il 16 dicembre 1958: “solo il piccone” poteva risolvere il problema del Teatro Comunale, un locale che, per le sue sedie sgangherate e i suoi pavimenti sconnessi, era  antigienico ed inadatto a poter ospitare il pubblico di una città e andava senz’altro chiuso.”

Il piccone… Se Marinetti parlava della guerra come “unica igiene del mondo”, il piccone negli sessanta fu considerato “risanatore”, ma fu, sia prima e che dopo, lo strumento urbanistico per eccellenza. Fu soggetto e oggetto al tempo stesso. Picconare per abbattere e ricostruire fu la scelta quasi obbligata per chi maneggiò gli strumenti della speculazione edilizia, ai fini del consenso elettorale ancor più e ancor prima che ai fini dell’arricchimento personale.

Le vittime del piccone teramano furono molte e rischiano di essere ancora molte, perché “Quel” piccone non è andato in pensione, ma si è preso solo qualche breve periodo di aspettativa. E’ sempre lì, pronto a tornare in azione, per il perseguimento degli stessi fini. E’ ancora assai efficiente, perché in segreto e nell’ombra non pochi lo hanno conservato efficiente, sia nella punta che nel taglio.

Oggi rimpiangiamo, e siamo in molti, il nostro abbattuto Teatro dell’Ottocento e molte altre nostre memorie pure abbattute. Piangiamo sul latte versato. Quando il Teatro fu abbattuto, quasi tutti si limitarono a restare a guardare, esattamente come fanno ancora oggi i teramani, troppi, davanti ad altri picconi che continuano ad abbattere, metaforicamente o meno, quello che rimpiangeremo domani.

 

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Commenti

Complimenti, Simon Soel.
che peccato!! e non e' l'unico.......
All'epoca avevo circa 5 anni e non posso certamente ricordare la demolizione del Teatro, ma ricordo perfettamente, negli anni successivi, quando mia mamma mi portava con se alla Standa e la felicità di noi bambini davanti ai giocattoli messi a bella posta nel piano interrato! Ricordo anche le lodi verso coloro che, con lungimiranza, portarono la modernità a Teramo. I nuovi "posti" di lavoro per tante commesse, operai, direttori ecc. ecc. Le lodi al Sindaco Carino Gambacorta divenute poi pian piano critiche efferate. Siamo così, siamo italiani , pronti a schierarci al fianco del potente di turno e subito sbeffeggiarlo e criticarlo quando non lo è più. Prima tutti fascisti e poi tutti partigiani. O no, caro Prof?
Quoto @sessantenne
Ed aggiungo ai commenti di sessantenne e G che la Standa offriva ben 60 posti di lavoro in una città che ne aveva bisogno come il pane.
C'è da restare basiti nel leggere certi commenti: una città che aveva bisogno come il pane di 60 posti di lavoro? Che vuol dire? Nel 1961? Negli anni del boom economico? Se non ci fossero stati quei 60 posti di lavoro cosa sarebbe stato di Teramo? Quanti posti di lavoro si crearono a Teramo in quegli anni? Erano vitali i 60 posti della Standa per la città di Teramo? E la Standa non poteva erigersi in altra zona? Mah! Ad Atri oggi hanno ancora il loro piccolo ma bellissimo Teatro, noi abbiamo avuto 60 posti tra commesse e magazzinieri per una ventina di anni scarsi ed oggi non abbiamo un Teatro degno di questo nome! Gli anni 60 non hanno segnato lo sviluppo economico solo a Teramo, ma in ampie aree d'Italia. Non in tutte le aree d'Italia però lo sviluppo economico ha coinciso con la perdita di tesori architettonici e della memoria storica delle città. Non tutte le città del centro-nord Italia hanno avuto come sindaco Carino Gambacorta & Com. e la differenza (purtroppo per noi) si vede! Un conto è affermare che col senno di poi è fin troppo facile capire quali scelte siano state illuminate e quali scelte siano state invece sciagurate, altro conto è continuare a considerare illuminate delle scelte che, col senno di poi, dimostrano ampiamente di essere state scelte sciagurate (già a distanza di poche decine di anni)!
Rispondo al sig. Mariobici che evidentemente non ha compreso il senso del mio commento. Condivido appieno quanto da lui affermato e anch'io sostengo che sia stato un grave errore abbattere il teatro comunale ma all'epoca tutti, dico tutti, furono concordi con la scelta del sindaco. Oggi a distanza di 55 anni critichiamo questo operato scellerato per ovvie ragioni, ma allora pochissimi la ostacolarono. La mia e' un'analisi dei difetti di noi italiani e teramani in particolare sempre pronti a schierarsi dalla parte del potente di turno. Spero di aver chiarito il mio pensiero. Grazie.
Del senno di poi son piene le fosse. A parte i soggetti dotati di capacità paranormali – che non ne esistono, quindi chi dice di esserne dotato è un ciarlatano – nessuno può dire con certezza se e quanto oggi, nel 2015, in termini sociali, economici e culturali sarebbe stato meglio per la nostra città non abbattere il vecchio teatro comunale a suo tempo. Un conto è l’opinione (se semplicemente tale, è accettabile come spunto di riflessione persino la definizione di “crimine” data alla decisione inerente il suddetto abbattimento), altra cosa è disegnare quello che CERTAMENTE sarebbe stato lo scenario attuale se, nientemeno, più di mezzo secolo fa certe cose fossero andare diversamente, con la stessa presunzione di chi afferma che uno più uno fa due (oltretutto alcuni matematici sostengono che uno più uno non fa due, vidampò…). Di fosse piene del senno di poi ce ne sono tantissime, di palle piene per polemiche sterili pure.
@Sessantenne: la ringrazio per il chiarimento. Effettivamente il suo precedente commento poteva essere vagamente "equivoco". In particolare mi è sembrato sia stato equivocato da @anonimo 7.07! Colgo l'occasione per chiarire anch'io il mio precedente commento: le responsabilità del Sindaco Gambacorta sono da contestualizzare ed il contesto teramano era sicuramente quello che lei ha ben descritto, @Sessantenne. Così come è vero che anche in altre parti d'Italia furono fatte, in quegli anni, scelte poi rivelatesi scellerate e fallimentari dal punto di vista urbanistico, infrastrutturale, industriale ed ambientale. Non solo in nome di "suggestioni futuristiche" o "sogni di modernità", ma anche per freddi calcoli ragionieristici e ciniche strategie elettoralistiche. Non solo nell'autonomia delle singole amministrazioni locali ma anche e soprattutto nella condivisione della politica economica, culturale ed industriale del governo centrale. Permettetemi, senza voler apparire saccente, di ricordare che "Le mani sulla città" di Rosi, ambientato a Napoli, è del 1963. Da Treccani :"Napoli ‒ ricorda lo sceneggiatore del film Raffaele La Capria ‒ è stata una delle città più devastate da una speculazione immobiliare oscena; era una città bellissima e sono riusciti a rovinare tutto...." Teramo, forse, non è mai stata bellissima, ma a rovinare tutto, in quegli anni, ci si sono impegnati comunque! Il brutto è che il piccone è sempre pronto a tornare in azione, come scrive il prof.
Ritiro il mio "quoto" @sessantenne. Me lo immagino ora il Teatro di Teramo buttato lì aspettando la manutenzione o l'interesse di qualcuno. Io penso che ne stiamo riparlando ora perchè ,come succede spesso e volentieri a Teramo, riescono "mode" e "passioni" del momento da parte di alcuni, come definisco io, tifosi occasionali; in questo caso è uscita fuori la questione del Teatro. Io ovviamente parlo da amante dell'arte e del Teatro stesso nonostante la mia giovane età, peró se all'epoca furono fatte determinate scelte ci saranno stati validi motivi e anche per questo quasi nessuno si oppose. In conclusione vorrei dire che sono tutti bravi a polemizzare e parlare col senno di poi, perchè nessuno si attiva veramente a cambiare le cose e farsi valere in modo concreto? Ah, e non intendo lo scrivere libri.