Il “colpo di teatro” ideato per la presentazione del mio libro sulla massoneria teramana a Bellante, due giorni dopo quella di Teramo, è riuscito alla perfezione.
In quella di Teramo qualcuno era arrivato a dire che, in fondo, della appartenenza di Melchiorre Delfico alla massoneria non si sono mai trovate prove certe e che quindi è da ritenere non certa. E’ difficile far capire a chi non vuol capire che in una materia così fluida ed incerta, tenuta riservata o segreta o perfino occultata, è difficile, se non impossibile, procedere con i metodi della ricerca storica convenzionale. E’ difficile far capire che si deve ricorrere ad un metodo di indagine diversa, basata su criteri differenti da quelli che possono portare alla “certezza storica”, che si deve puntare a quella che Cartesio chiamava “evidenza”. Per il filosofo francese il metodo a cui far ricorso era quello che attribuiva il carattere dell’evidenza a tutto ciò che appariva “chiaro e distinto”.
La certezza filosofica si distingue da quella storica proprio perché si basa sull’evidenza e per quanto riguarda la massoneria ricorrere solo all’investigazione storica risulta un limite. Non si tratta di attribuire certezza e validità probatoria a ciò che è solo indiziario. Questo sarebbe grave colpa in una investigazione penale, ma la ricerca riguardo alla massoneria e ai suoi affiliati non è né una ricerca criminale né una ricerca storica. Non è nemmeno una ricerca filosofica, ma una investigazione che deve avvalersi di una molteplicità di metodi e di criteri. A chi continua a dire che non c’è la prova che Mazzini sia stato affiliato alla massoneria si può mostrare la lettera autografa in cui il genovese, il 3 giugno 1868, scriveva ai "fratelli" della R. Loggia Lincoln all'Oriente di Lodi per accettare la presidenza onoraria della Loggia. (Archivio Storico Grande Oriente d'Italia, Collezione Lattanzi).
A chi continua a dire che non è certa l’appartenenza di Melchiorre Delfico alla massoneria, in mancanza di una prova documentaria altrettanto certa (ma ci sono testimonianze di quanti parlano di una sua affiliazione alla Loggia Philantropia di Napoli, favorita dal Filangieri) si può far notare che, se non lo fosse stato, difficilmente il suo pronipote, Filippo De Filippis Delfico (di cui si conserva nella Biblioteca Provinciale “Delfico” il diploma di affiliazione massonica) avrebbe intestato proprio a lui la loggia massonica teramana da lui fondata il 30 marzo 1870, la prima costituita in Abruzzo dopo l’Unità d’Italia. Ma chi persiste nel negare anche l’evidenza non si smuove nemmeno davanti alla considerazione che, se Melchiorre Delfico non fosse stato massone, difficilmente ben due logge teramane, di due diverse obbedienze, porterebbero ancora oggi il suo nome.
Sulla base di queste considerazioni, il colpo di teatro ideato per Bellante è stato perfetto. L’antiquario (e artista) teramano Corrado Anelli mi aveva parlato al telefono di un antico sigillo massonico della loggia teramana intitolata a Melchiorre Delfico e lo avevo pregato di venire a Bellante e mostrarlo all’uditorio sul finire della presentazione. Tutto è andato come avevamo programmato. Quando Anelli ha mostrato il sigillo, l’uditorio è entrato in agitazione. In fretta si è cercato un tampone inchiostrato e ognuno ha voluto stamparsi il timbro, su permesso di Anelli, su un foglio di carta o sulla copia del libro appena acquistata. Non lo avevo mai visto prima quel timbro, l’ho osservato poi con attenzione, guardato e riguardato, analizzandolo, nella fotografia che ne è stata fatta. Alla fine qualche idea me la sono fatta e qualche ipotesi l’ho formulata.
Usato con il tampone inchiostrato, quello per timbri di gomma o di ferro, l’impressione è risultata carente e la visibilità della scritta e dei simboli scarsa.
Infatti non si tratta di un timbro, ma di un sigillo, in ottone, da usare con la ceralacca, dove dà il meglio di sé. I margini sono sbocconcellati e questo ne dimostra l’inteso uso e l’antichità. Insieme con l’impugnatura di legno, questi dettagli dimostrano che il sigillo risale quanto meno all’Ottocento. Ma a quando, di preciso?
Questo è impossibile dirlo, ma certo è, o quanto meno evidente, che si tratta del sigillo della R.L. Massonica Delfico 196 di Teramo. Il motto che compare nel sigillo non è quello fatto proprio dalla Loggia attuale e appartenente alla famiglia Delfico (“Eat in posteros delphica laurus”), ma “Labor, Lux, Libertas” che conferma l’antichità e indica tre valori tipici della massoneria di fine Ottocento. Una caratteristica peculiare è che il sigillo riporta la scritta tradizionale: “O. di Teramo” (con i tre puntini a triangolo che, come usa la massoneria, punteggia e sostituisce la parola intera), ma invece di riportare la scritta “R.L.” (sempre con i tre puntini al posto di un puntino solo della usuale punteggiatura profana), riporta una R. seguita da un quadrato con un punto al centro. Perché? Che cosa vuol dire quel quadrato? E’ evidente che si tratta di un simbolo e nella massoneria il simbolo è essenza.
La mia ipotesi è che esso indichi ciò che indica nella tradizione massonica, simboleggiando la Quintessenza insita nel numero 4, per mezzo di un Quadrato con un punto al Centro. Il concetto e il simbolo della quintessenza sono tipici della massoneria di tradizione alchemica, che, guarda caso, è quella alla quale era assai vicino Melchiorre Delfico sia nel suo periodo napoletano che in quello successivo, quando diede vita alla cosiddetta “rinascenza” teramana. Ipotizzo che quel R. seguito da un quadrato con un punto al centro voglia dire R(egio) T(empio), variante significativa rispetto alla dicitura R(egia) L(oggia)
Ma qual è la provenienza del sigillo? A guardarlo bene, esso mostra altre due caratteristiche: a sinistra e a destra della squadra e del compasso e del circoscritto occhio onniveggente, si notano due macchie che appaiono il risultato dell’abrasione di due altri simboli, di cui rimane visibile solo una tenue traccia.
La macchia di sinistra è più riconoscibile e sembra quella (abrasa) di un cavallo con cavaliere, assai simile a quello che compare sul sigillo della carboneria teramana che ho messo sulla copertina del mio libro sulla massoneria teramana. Ipotizzo che sul sigillo in questione la presenza di quel simbolo stesse a testimoniare la tradizione carbonara della loggia teramana e che fosse stato abraso per l’evidente contraddizione con la scritta “R(egia)”.
Nel sigillo ricordato della carboneria teramana la R seguita da tre punti non sta per “R(egia)”, ma per “R(egione)”, seguita dalla dicitura “Pretuziana” e la parola “Oriente” (sempre con la O seguita da tre punti) è seguita dalla dicitura “Centrale”, facendo chiaramente intuire l’ispirazione “unitaria” dei carbonari teramani, per i quali la Regione Pretuziana sarebbe stata centrale nello stato unitario a cui essa aspirava e non più quella più settentrionale del Regno di Napoli. La macchia di destra è meno riconoscibile, ma sembra rappresentare un cavallo senza cavaliere.
La curiosità dei più a Bellante (e anche dopo), era incentrata sulla domanda: ma qual è la storia successiva di questo sigillo?
Ho motivi (che ritengo validi) di fare questa ipotesi. Usato per lunghi anni quale sigillo per ceralacca della Loggia Delfico, esso doveva essere custodito dall’avv. Francesco Di Girolamo nella sede della Loggia, sita al secondo piano di uno stabile di sua proprietà, a Teramo in Via Muzi n. 5.
E’ assai probabile che esso sia stato sequestrato, insieme con tantissimi documenti e varia oggettistica massonica, nel corso della perquisizione disposta dal regime fascista nel novembre 1925 sia nella sede della loggia che nelle abitazioni, di Teramo e di Montorio, del Venerabile Di Girolamo.
Tutto il materiale sequestrato fu affidato dal Prefetto Albini, in deposito giudiziario, al gerarca fascista cav. Carlo Alberto Cimato. Ricordo che quest’ultimo trascorse gli ultimi anni della sua vita nella casa di riposo “De Benedictis” (dove ebbi molti colloqui con lui), dopo aver disperso per mille rivoli tutto ciò che aveva in casa. Molte delle sue carte sono finite nella Biblioteca “Delfico” (Fondo Cimato), ma i mobili e gli arredi sono andati dispersi, in parte venduti, in parte ceduti a rigattieri.
E’ assai probabile che il sigillo della Loggia Delfico sia finito a qualcuno di loro, arrivando poi in possesso a Pietro Marcattili, appassionato collezionista e antiquario, il quale lo ha poi ceduto a Corrado Anelli, che ne è l’attuale depositario e proprietario. A Bellante il sigillo è tornato visibile a tutti. Dà il peggio di sé se usato con l’inchiostro e il meglio di sé se impresso sulla ceralacca. Dopo tanti anni indica ancora tre valori ai quali dice di ispirarsi anche la massoneria di oggi: Labor, Lux, Libertas. Peccato che oggi di lavoro ce ne sia sempre meno, che la luce sia poca e l’ombra troppo. Quanto alla libertà, quella che dicono che abbiamo mi sembra sempre più simile a quella di un pollo sul girarrosto.
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Salve, vorrei sapere se in passato a castelli vi era qualche figura di spicco legata alla massoneria?
Randi?