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Il paragone con il Vajont? Non nelle strutture, ma negli eventi…

di Anonimo
4 minuti

Chi mi conosce sa da quanto tempo io studi il Vajont, quanto ne sia innamorato, quanto abbia visitato quei luoghi a me così cari, quante volte sia entrato in quei cunicoli e in quell’impianto che, allora come oggi, riesce ad accostare l’orgoglio dell’ingegneria civile italiana alle lacrime per l’immensa tragedia che pure determinò.

  L’allarme appena diramato, assai inopportunamente, dalla Commissione Grandi Rischi in relazione all’invaso di Campotosto in occasione di un possibile evento sismico generato dalla faglia posta al di sotto del bacino, paventando addirittura un ipotetico «effetto Vajont», non è solo fuori luogo. Ma assolutamente sbagliato. E lo è perché Campotosto e il Vajont sono profondamente differenti.   Lo sono da un punto di vista geomorfologico. Lo sono da un punto di vista impiantistico. Lo sono da un punto di vista storico. Nel secondo caso, quello del 1963, la straordinarietà di quella Diga, capolavoro della nostra ingegneria, non si sposò con l’inopportunità del luogo nel quale venne realizzata. Non fu la Diga a crollare, fu il Monte Toc a finire dentro al lago, generando un’onda mostruosa che scavalcò la Diga, strutturalmente più che perfetta, e andò ad abbattersi sugli abitati di Erto e Casso (a monte) e sulla povera Longarone (a valle), che pagò il prezzo più alto. Nulla di tutto questo è paragonabile con il caso di Campotosto.   Un unico paragone possibile, ironia della sorte, può essere fatto solo dal punto di vista storico. E per capirlo basta leggere il comunicato ufficiale dell’ENEL, nel quale sostanzialmente si dichiara che, alla luce dell’allarme diramato dalla Commissione Grandi Rischi, si procederà cautelativamente ad un progressivo abbassamento del livello del lago di Campotosto: in un primo momento aumentando al massimo la portata verso le opere di presa (che sono collegate con le condotte adduttrici) verso le centrali idroelettriche poste a valle del bacino e, in un secondo momento, aprendo i vari scarichi della Diga del Rio Fucino.   Un successivo intervento del Dott. Leo Adamoli, geologo assai noto e coordinatore nazionale della sezione di geologia ambientale della Società Geologica Italiana, ha tutta via richiamato l’attenzione sull’opportunità di effettuare una «attenta valutazione delle eventuali variazioni che lo svuotamento più o meno rapido del bacino artificiale potrebbe apportare allo stato tensionale della faglia».   Il dilemma che quindi ne vien fuori è appunto questo: svuotare o non svuotare? Abbassare il livello dell’invaso o non farlo? E, guada caso, è un po’ il dilemma che gravò sull’Ing. Alberico Biadene, che dopo la morte del Prof. Carlo Semenza, divenne il responsabile della Diga del Vajont (nel momento immediatamente precedente il passaggio dell’impianto dalla SADE all’ENEL), in quella lunga e difficile notte del 9 ottobre 1963.   Il bacino del Vajont si trovava, fino a quel momento, alla straordinaria quota di 710 metri sul livello del mare. Alla luce dei rischi, ormai concreti, di frana del Monte Toc, l’Ing. Biadene decise di abbassare il livello del lago alla quota ritenuta di sicurezza, ossia 690 metri. Per togliere quanta più acqua possibile, diede quindi ordine di svasare, aumentando l’adduzione alla sottostante Centrale del Colomber e aprendo i primi scarichi della Diga (quello di alleggerimento e quello di mezzo fondo). Man mano che il livello dell’acqua si abbassava, tuttavia, il rischio paradossalmente aumentava: ripresero i movimenti franosi del Toc e la marcia della montagna divenne ormai inarrestabile.   Eventi che fanno parte della storia, questi del Vajont, ma che per un singolare gioco del destino sembrano somigliare al caso di Campotosto, in relazione alla difficile decisione, a carico dell’ENEL, di svasare. Meglio o peggio… non so. Ma sicuramente non facile scegliere. Così come non fu facile, in quella notte dell’ottobre 1963, per l’Ing. Biadene.   Questo è l’unico paragone possibile fra Campotosto e il Vajont. Sugli eventi e sulle decisioni… ma non certo sui rischi e sulle strutture. Niente allarmismi, dunque. Solo qualche somiglianza storica e assolutamente nulla di più.                     Fabrizio Primoli

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Commenti

Bel pezzo. Complimenti.
Concordo perfettamente con quanto scritto da Fabrizio. Anch'io sono un grande "appassionato " di questi pezzi di storia italiana, e mi fa piacere leggere come Fabrizio abbia sottolineato due aspetti fondamentali: 1) gli avvenimenti del Vajont, nella loro devastante tragicità, esaltarono la diga, che non si mosse di un centimetro nel tantativo di proteggere la popolazione sottostante. Purtroppo l'onda che si generò era troppo alta. 2) fu l'intervento umano, nella maniera meno dolosa (ma colposa a mio parere si) di questo mondo, a scatenare l'onda: se non avessero abbassato cosi drasticamente il livello dell'acqua magari la frana non sarebbe stata cosi violenta. Per dare un parere credo che la dolcezza dei monti che fanno da bacino al lago di Campostosto permettano uno svasamento cautelativo del lago senza troppe conseguenze, a differenza di quanto fece il monte Toc, che era in movimento già prima dello svaso. In definitiva "niente allarmismi" (cit. Primoli)
Bel pezzo cmq è ora di parlare anche della situazione economica, non so se ve ne siete accorti ma è tutto fermo, In tutta la provincia, dalle aziende agricole della montagna alle industrie dell'area mediana delle vallate, fino al commercio sulla costa. È un finimondo! E fra poco saremo dimenticato!
Credo che nessuno abbia parlato di "svuotamento repentino" ma di un abbassamento precauzionale del livello. Attualmento l'invaso è al 40/50 % della sua potenzialità di contenimento. Le dighe, se ben ricorso, sono tre e la più a rischio potrebbe essere quella sul rio Ficino che se maleauguratamente cedesse consentirebbe alle acque di abbattersi sul Vomano con pericolo anche per la diga di Piaganini. E il Lago di Provvidenza? Non sarebbe opportuno lentamente abbassarene anche il livello? Un piccolo inciso, ai miei tempi il lago di Campotosto, nei periodi di magra ed in alcuni punti, si attraversava a piedi. Sui paragoni fatti non val la pena neppure di esprimere giudizi.
Il sig, Primoli se è così tanto studioso del Vajont, deve rivedere la frase da lui scritta :" aprendo i primi scarichi della Diga (quello di alleggerimento e quello di mezzo fondo). Gli scarichi della diga, alle 22:39 del 9 ottobre 63' erano chiusi, quota del lago 700,30, (21,2 metri sotto il massimo invaso, e 50 metri sotto la casa dei guardiani in sponda al lago) Gli scarichi, potevano essere aperti solo su ordine, del Servizio Costruzioni Idrauliche (SCI), di cui Alberico Biadene era il direttore. Eccezione, per lo scarico di alleggerimento, (il primo) che era stato "predisposto" al funzionamento poche ore prima della tragedia, dal capo diga Gino Dal Pian, perchè poteva arrivare l'ordine di fare aprire lo scarico per accelerare lo svaso. Infatti per evitare manovre di apertura accidentali, dal banco di manovra posto nella cabina comandi, bisognava scendere nella camere scavate in roccia, ed aprire manualmente i rubinetti dei passaggi d'olio dei pistoni oleodinamici delle paratoie dello scarico, ed accertarsi dalla cabina comandi del regolare funzionamento delle paratoie. Lo svaso del lago nelle ultime ore, avvenne sia tramite l'assorbimento della sottostante centrale del Colomber di 15 mc/s, d'acqua, sia con l'apertura da 48 a 80 cm, (30 mc/s) della paratoia sulla condotta diretta dal Vajont al serbatoio di Val Gallina, facente funzione di vasca di carico della centrale di Soverzene. Inoltre poco prima delle ore 20, venne fermata la centrale di Gardona, e quindi non alimentando più il lago del Vajont. Le camere di manovra di ogni scarico, contenente i pistoni idraulici delle paratoie, (di monte e valle) era a tenuta stagna tramite la chiusura della porta blindata, e quindi portò all'ipotesi che ci fosse qualcuno all'interno al momento della tragedia. Alcuni giorni dopo si calarono attraverso il vano dell'ascensore distrutto, insieme a dei rocciatori alcuni tecnici, per accertarsi che ci fossero delle persone vive. Trovarono invece la camera aperta, con la porta stagna sfondata, le paratoie chiuse, con i rubinetti aperti. (dal libro "La storia idraulica del "Grande Vajont" rievocata da un addetto ai lavori che all'ora c'era" di Luigi Rivis)
Il paragone col Vajont, è un'offesa alla dignità dei 2000 morti che ci furono, uno schiaffo in faccia all'intelligenza, una schifezza. Chi ha diramato questa informazione dovrebbe vergognarsi e dimettersi immediatamente. Non vorrei scrivere altro. Una puntualizzazione comunque è da fare: il progetto della diga fu autorizzato da funzionari di stato corrotti ed asserviti al regime fascista (il proprietario della SADE era alto funzionario fascista e ministro dal 1922), in sfregio alle leggi ad alla dignità umana. La frana, accertata già nel 1960! Ci mise quattro anni e centinaia di avvisaglie, prima di cadere nel serbatoio, altro che ultimi giorni, ultime ore, altro che togliere l'acqua. L'unica similitudine col nostro tempo, e col nostro territorio, è proprio il fatto che il privato guarda al profitto, non al bene pubblico garantito (ogni riferimento ad enel ormai privata non è casuale). Altra triste similitudine? Il processo ai funzionari SADE, ai dirigenti SADE, a tutti i responsabili, fu dirottato da Belluno a L'Aquila. Cosi facendo cercarono, i bastardi, di far cadere le speranze di chi si costituì parte civile...che doveva sobbarcarsi un viaggio di 650km. Beh, non ci crederete, ma il processo per il terremoto dell'Aquila 2009....è stato spostato a Belluno. Saluti