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La Poesia...Wislawa Szymborska

di I due Punti
13 minuti



Il discorso della Poetessa del quotidiano, durante la cerimonia del premio Nobel nel 1996.
In un discorso, pare, la prima frase è sempre la più difficile. E dunque l'ho già alle mie spalle... Ma sento che anche le frasi successive saranno difficili, la terza, la sesta, la decima, fino all'ultima, perché devo parlare della poesia. Su questo argomento mi sono pronunciata di rado, quasi mai. E sempre accompagnata dalla convinzione di non farlo nel migliore dei modi. Per questo il mio discorso non sarà troppo lungo. Ogni imperfezione è più facile da sopportare se la si serve a piccole dosi.
Il poeta odierno è scettico e diffidente anche – e forse soprattutto - nei confronti di se stesso. Malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta - quasi se ne vergognasse un po'. Ma nella nostra epoca chiassosa è molto più facile ammettere i propri difetti, se si presentano bene, e molto più difficile le proprie qualità, perché sono più nascoste, e noi stessi non ne siamo convinti fino in fondo... 
In questionari o in conversazioni occasionali, quando il poeta deve necessariamente definire la propria occupazione, egli indica un genere “letterato” o nomina l'altro lavoro da lui svolto. La notizia di avere a che fare con un poeta viene accolta dagli impiegati o dai passeggeri che sono con lui sull'autobus con una leggera incredulità e inquietudine, Suppongo che anche un filosofo susciti un eguale imbarazzo. Egli si trova tuttavia in una situazione migliore, perché per lo più ha la possibilità di abbellire il proprio mestiere con un qualche titolo scientifico, Professore di filosofia – suona molto più serio.
Ma non ci sono professori di poesia. Se così fosse, vorrebbe dire che si tratta d'una occupazione che richiede studi specialistici, esami sostenuti con regolarità, elaborati teorici arricchiti di bibliografia e rimandi, e infine diplomi ricevuti con solennità. E questo a sua volta significherebbe che per diventare poeta non bastano fogli di carta, sia pure riempiti di versi più eccelsi – ma che è necessario, e in primo luogo, un qualche certificato con un timbro. Ricordiamoci che proprio su questa base venne condannato al confino il poeta russo, poi premio Nobel, Iosif Brodskij. Fu ritenuto un “parassita” perché non aveva un certificato ufficiale che lo autorizzasse ad essere poeta...

Anni fa ebbi l'onore e la gioia di conoscerlo di persona. Notai che a lui solo, tra i poeti che conoscevo, piaceva dire di sé “poeta”, pronunciava questa parola senza resistenze interiori, perfino con una certa libertà provocatoria. Penso che ciò fosse dovuto alle brutali umiliazioni da lui subite in gioventù.
Nei paesi felici, dove la dignità umana non viene violata con tanta facilità, i poeti ovviamente desiderano essere pubblicati, letti e compresi, ma non fanno molto, o comunque assai poco, per distinguersi quotidianamente fra gli altri esseri umani. Ma fino a non molto tempo fa, nei primi decenni del nostro secolo, ai poeti piaceva stupire con un abbigliamento bizzarro e un comportamento eccentrico. Si trattava però sempre di uno spettacolo destinato al pubblico. Arrivava il momento in cui il poeta si chiudeva la porta alle spalle, si liberava di tutti quei mantelli, orpelli e altri accessori poetici, e rimaneva in silenzio, in attesa di se stesso, davanti a un foglio di carta ancora non scritto. Perché, a dire il vero, solo questo conta.
E' significativo che si producano di continuo molti film sulla biografia di grandi scienziati e grandi artisti. Registi di una qualche ambizione intendono rappresentare in modo verosimile il processo creativo che ha condotto a importanti scoperte scientifiche o alla nascita di famosissime opere d'arte. E' possibile mostrare con un certo successo il lavoro di taluni scienziati: laboratori, strumentazione varia, meccanismi attivati riescono per un po' a catturare l'attenzione degli spettatori. Ci sono inoltre momenti molto drammatici in cui non si sa se l'esperimento ripetuto per la millesima volta, solo con una leggera modifica darà finalmente il risultato atteso. Possono essere spettacolari i film sui pittori – è possibile ricreare tutte le fasi della nascita di un quadro, dal tratto iniziale fino all'ultimo tocco di pennello. I film sui compositori sono riempiti dalla musica – dalle prime battute che l'artista sente in sé, fino alla partitura completa dell'opera. Tutto questo è ancora ingenuo e non dice nulla su quello strano stato d'animo popolarmente detto “ispirazione”, ma almeno c'è di che guardare e di che ascoltare.
Le cose vanno assai peggio per i poeti. Il loro lavoro non è per nulla fotogenico. Una persona seduta al tavolino o sdraiata sul divano fissa con lo sguardo immobile la parete o il soffitto, di tanto in tanto scrive sette versi, dopo un quarto d'ora ne cancella uno, e passa un'altra ora in cui non accade nulla... Quale spettatore riuscirebbe a reggere un simile spettacolo?
Ho menzionato l'ispirazione. Alla domanda su cosa essa sia, ammesso che esista, i poeti contemporanei danno risposte evasive. Non perché non abbiano mai sentito il beneficio di tale impulso interiore. Il motivo è un altro. Non è facile spiegare a qualcuno qualcosa che noi stessi non capiamo.
Anch'io talvolta, di fronte a questa domanda, eludo la sostanza della cosa. Ma rispondo così: l'ispirazione non è un privilegio esclusivo dei poeti o degli artisti in genere. C'è, c'è stato e sempre ci sarà un gruppo di individui visitati dall'ispirazione. Sono tutti quelli che coscientemente si scelgono un lavoro e lo svolgono con passione e fantasia. Ci sono medici siffatti, ci sono pedagoghi siffatti, ci sono giardinieri siffatti e ancora un centinaio di altre professioni. Il loro lavoro può costituire un'incessante avventura, se solo sanno scorgere in esso sfide sempre nuove. Malgrado le difficoltà e le sconfitte, la loro curiosità non viene meno. Da ogni nuovo problema risolto scaturisce per loro un profluvio di nuovi interrogativi. L'ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”.
Di persone così non ce ne sono molte. La maggioranza degli abitanti di questa terra lavora per procurasi da vivere, lavora perché deve. Non sono essi a scegliersi il lavoro per passione, sono le circostanze della vita che scelgono per loro. Un lavoro non amato, un lavoro che annoia, apprezzato solo perché comunque non a tutti accessibile, è una delle più grandi sventure umane. E nulla lascia presagire che i prossimi secoli apporteranno in questo campo un qualche felice cambiamento. 

Posso dire pertanto che se è vero che tolgo ai poeti il monopolio dell'ispirazione, li colloco comunque nel ristretto gruppo degli eletti dalla sorte.
A questo punto possono sorgere dei dubbi in chi mi ascolta. Allora anche carnefici, dittatori, fanatici, demagoghi in lotta per il potere con l'aiuto di qualche slogan, purché gridato forte, amano il proprio lavoro e lo svolgono altresì con zelante inventiva. D'accordo, loro “sanno”. Sanno, e ciò che sanno gli basta una volta per tutte. Non provano curiosità per nient'altro, perché ciò potrebbe indebolire la forza dei loro argomenti. E ogni sapere da cui non scaturiscono nuove domande, diventa in breve morto, perde la temperatura che favorisce la vita. Nei casi più estremi, come ben ci insegna la storia antica e contemporanea, può addirittura essere un pericolo mortale per la società.
Per questo apprezzo tanto due piccole paroline: “non so”. Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in territori che si trovano in noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuta Terra. Se Isaak Newton non si fosse detto “non so”, le mele nel giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto. Se la mia connazionale Maria Sklodowska Curie non si fosse detta “non so” sarebbe sicuramente diventata insegnante di chimica per un convitto di signorine di buona famiglia, e avrebbe trascorso la vita svolgendo questa attività, peraltro onesta. Ma si ripeteva “non so” e proprio queste parole la condussero, e per due volte, a Stoccolma, dove vengono insignite del premio Nobel le persone di animo inquieto ed eternamente alla ricerca.
Anche il poeta, se è vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso “non so”. Con ogni sua opera cerca di dare una risposta, ma non appena ha finito di scrivere già lo invade il dubbio e comincia a rendersi conto che si tratta d'una risposta provvisoria e del tutto insufficiente. Perciò prova ancora una volta e un'altra ancora, finché gli storici della letteratura non legheranno insieme prove della sua insoddisfazione di sé, chiamandole “patrimonio artistico”...
Mi capita di sognare situazioni irrealizzabili. Nella mia temerarietà immagino ad esempio di avere l'occasione di conversare con l'Ecclesiaste, autore di un lamento quanto mai profondo sulla vanità di ogni agire umano. Mi inchinerei profondamente di fronte a lui, perché si tratta – almeno per me- di uno dei potei più importanti. E poi gli prenderei la mano. “ Nulla di nuovo sotto il sole” hai scritto, Ecclesiaste. Però Tu stesso sei nato nuovo sotto il sole. E il poema di cui sei autore è anch'esso nuovo sotto il sole, perché prima di Te non lo ha scritto nessuno. E nuovi sotto il sole sono tutti i Tuoi lettori, perché quelli che sono vissuti prima di Te, dopotutto non hanno potuto leggerlo. Anche il cipresso, alla cui ombra stavi seduto, non cresce qui dall'inizio del mondo. Gli ha dato inizio un qualche altro cipresso, simile al Tuo, ma non proprio lo stesso. E inoltre vorrei chiederti, o Ecclesiaste, che cosa intendi scrivere, adesso, di nuovo sotto il sole. Qualcosa con cui contemplerai ancora i Tuoi pensieri, o non sei forse tentato di smentirne qualcuno? Nel Tuo poema precedente hai intravisto la gioia- che importa se passeggera? Forse dunque è di essa che parlerà il Tuo nuovo poema sotto il sole? Hai già degli appunti, degli schizzi iniziali? Non credo che dirai: “ Ho scritto tutto, non ho nulla da aggiungere”. Nessun poeta al mondo può dirlo, figuriamoci un grande come Te.
Il mondo, qualunque cosa noi ne pensiamo, spaventati dalla sua immensità e dalla nostra impotenza di fronte a esso, amareggiati dalla sua indifferenza alle sofferenze individuali ( di uomini, animali, e forse piante, perché chi ci dà la certezza che le piante siano esenti dalla sofferenza?), qualunque cosa noi pensiamo dei suoi spazi trapassati dalle radiazioni delle stelle, stelle intorno a cui si sono già cominciati a scoprire pianeti ( già morti? Ancora morti?), qualunque cosa pensiamo di questo smisurato teatro, per cui abbiamo sì il biglietto d'ingresso, ma con una validità ridicolmente breve, limitata dalle due date categoriche, qualunque cosa ancora noi pensassimo di questo mondo – esso è stupefacente.
Ma nella definizione “stupefacente” si cela una sorta di tranello logico. Dopotutto ci stupisce ciò che si discosta da una qualche norma nota e generalmente accettata, da una qualche ovvietà a cui siamo abituati. Ebbene, un simile mondo ovvio non esiste affatto. Il nostro stupore esiste per se stesso e non deriva da nessun paragone con alcunché.
D'accordo, nel parlare comune, che non riflette su ogni parola, tutti usiamo i termini: “mondo normale”, vita normale normale corso delle cose... Tuttavia nel linguaggio della poesia, in cui ogni parola ha un peso, non c'è più nulla di ordinario e normale. Nessuna pietra e nessuna nuvola su di essa. Nessun giorno e nessuna notte che lo segue. E soprattutto nessuna esistenza di nessuno in questo mondo.
A quanto pare i poeti avranno sempre molto da fare.
7 dicembre 1996

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Commenti

grazie Giancarlo.
Libro promosso questa sera a "Che tempo che fa" da Roberto Saviano. Giancà che fai copi?
Complimenti. Anche questo è giornalismo. Commemorare una grande poetessa andando a cercare un documento prezioso della Sua vita da offrire al lettore; al sua sensibilità letteraria, al suo diritto di essere informato. Come quand,o seguendo un qualsisasi fatto di cronaca, il buon giornalista se ne va a spulciare al catasto o nella cancelleria di un tribunale per scovare "documenti" preziosi da offrire al lettore; alla sua sensibilità civica, al suo diritto di essere informato. Felice, quindi, l'idea di pubblicare il Suo Discorso alla premiazione per il Nobel..!! Un documento prezioso per capire l'anima di questa straordinaria poetessa. Avrebbe meritato il Nobel solo per aver scritto due versi... che se ne stanno im mezzo a tanti altri in una lugna poesia: "Prefrisco il ridicolo di scrivere poesie al ridicolo di non scriverne". Ieri sera Saviano li ha citati in una traduzione non felice della parola "smiescnosh" ="ridicolo" (che mi sembra la piu' giusta). Anche in altre lingue purtroppo - con impropria traduzione dal polacco - viene sempre tradotta con "imbarazzo" (come ha detto ieri Saviano).

Bakunin io sono da sempre un uomo ridicolo perchè leggo le poesie. Ho inziato a sei anni con Gianni Rodari e non ho mai smesso. Wislawa Szymborska mi ricorda nonna e zia, erano loro a leggermi le poesia. Poi ultimamente le letture di  Lidia Bocci e Fabrizia Valente. Tutte donne. La poesia-----

Grazie Fiore....

L'ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”. Non c'è modo di dirlo meglio, vero Giancarlo?... diretta e lieve, come sempre :)
Caro Giancarlo, a volte mi trovo a leggere commenti pieni di cultura e, ti confesso, che vivo delle resistenze ad inviarti i miei. La mia conoscenza è purtroppo limitata, ma la mia età e le mie piccole esperienze di vita mi hanno aperto..... un po'....... a recepire segni e messaggi che non " a caso...." mi arrivano. Sono spesso d'accordo con Bakunin (è uno dei miei preferiti ) ma sento che non hai copiato nessuno, hai raccolto quello che ha colpito la tua sensibilità e la cosa più bella è che ce l'hai REGALATA...... GRAZIE...... Sono convinta che ognuno di noi possa essere strumento per far arrivare a TUTTI, sopratutto in questo periodo storico, MESSAGGI che colpendo dirattemente il nostro CUORE, ci portano a RIFLETTERE.... Ti faccio una proposta: per un periodo parliamo un po' di meno dei politici, togliamo loro la visibilità, non ascoltiamo più quello che dicono, non diamogli più potere di quello che si prendono da soli poichè il loro " SAPERE " e il loro dire non ci arricchisce ma ci rende Aridi, Rabbiosi, Insensibili ma lasciamo più spazio a COMUNICATI come questo, solo così si potranno cambiare le cose. Non c'è strada migliore........