“Crimini e Comunicazione oggi”: questo è il tema su cui si è concentrata la riflessione del nuovo ed accattivante incontro che ha interessato ieri mattina tutti gli studenti dell’Università “ G. d’Annunzio” di Chieti, questa volta protagonisti, presso il Dipartimento di Studi umanistici e sociali, di un dialogo privilegiato con la nota criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone, esperta in psicologia investigativa, criminalistica, Bloodstain Pattern Analysis e Criminal Profiling, volto ormai conosciuto del mondo televisivo, poiché ospite esclusiva del programma Porta a Porta, condotto dal giornalista Bruno Vespa.
Un evento che ha scosso gli animi, che ha fatto vibrare le corde più nascoste dell’animo umano, che ha posto nuovi interrogativi e che ha totalmente coinvolto studenti, professori e giornalisti. Tutti intenti a comprendere, capire, trovare spiegazioni razionali sul perché l’uomo possa macchiarsi di crimini efferati, perché possa essere oggi “vittima” e domani “offender”, perché la vita si giochi spesso sul filo sottile di un’ equilibrata follia o di un folle equilibrio.
Ad aprire le danze, noti e stimati professori del mondo universitario che hanno introdotto, con i loro specifici interventi, il tema dell’importanza della comunicazione legata al mondo dei media, dove spesso si assiste alla spettacolarizzazione di un crimine efferato, pur di vendere e fare audience: il prof. Marco Santarelli, esperto di comunicazione interdisciplinare presso l’Università di Teramo, il Prof. Ezio Sciarra, Ordinario di Sociologia generale del Dipartimento di Studi Umanistici e Sociali, Raffaele Mascella, ricercatore presso l'Università di Teramo e docente nelle Facoltà di Scienze della Comunicazione.
Una riflessione, quella di apertura, che è arrivata a molti come provocazione o che ha volutamente suonato note stonate per quei giornalisti di cronaca pronti a scendere in piazza e a schierarsi visibilmente con la loro penna, quando questo porta frutti, visibilità, nel gioco barbaro di un “do ut des” che arricchisce contenitori televisivi, in cui essi stessi si posizionano come ospiti fissi, al fine di vendere quella che dovrebbe essere “la notizia”.
Ma tutti ieri, nell’ascoltare la criminologa Roberta Bruzzone, si sono fermati almeno un secondo ad interrogarsi su un quesito: “Chi è l’assassino?”. Pungente e distaccata la risposta della criminologa: “ Tutti noi siamo in grado di uccidere: ho visto con i miei occhi cosa la nostra specie è in grado di fare sotto impulsi e stimoli diversi. L’offender, l’assassino è uno di noi. Ed è su questo che dobbiamo confrontarci.”
Un confronto che è arrivato subito per tutti i presenti alla conferenza e che si è tinto dei colori più forti e passionali, quando la psicologa forense, nel presentare il suo libro appena pubblicato da Mondadori “ Chi è l’assassino: diario di una criminologa”, ha confessato di averlo voluto scrivere perché stanca di vedere nel suo ambito professionale colleghi che presenziano in televisione parlando di casi e di crimini di cui personalmente non si sono mai occupati, che parlano di dati e referti senza aver mai fatto un sopralluogo tecnico in vita loro. Insomma...un libro che le è servito a togliersi qualche sassolino dalla scarpa( o qualche macigno, come lei stessa ha affermato) e che tira le somme di ben 15 anni di carriera spesi in qualità di CT (Consulente tecnico) e analista della scena del crimine dei più importanti casi di cronaca giudiziaria.
Il libro, infatti, comincia con questa riflessione: “ Voi vi fareste operare da un chirurgo che sulla carta si dice bravissimo, ma che in realtà non ha mai tenuto un bisturi in mano?”.
Ebbene, scontata la vostra risposta, come scontata la posizione della criminologa, quando sostiene che mai affiderebbe l’analisi di una scena di un crimine a chi non ha fatto molta “pratica” in un simile lavoro, esercitando, per così dire, la sola ed esclusiva capacità intellettiva. Questo perché il rischio di poter incorrere in gravi errori giudiziari è enorme ed è concreto; questo perché lavorare senza competenza o con superficialità, quando l’oggetto d’interesse sono vittime e analisi di tracce comportamentali di un crimine, potrebbe portare all’assoluzione di un probabile assassino o, cosa ancor più grave, alla condanna di probabili innocenti.
Ecco, è proprio sul concetto di “probabile innocenza” che si è dibattuto successivamente quando, con puntualità, precisione di analisi, ricchezza di contenuti e di immagini, tutte tratte dagli atti ufficiali dei processi, Roberta Bruzzone ha ricostruito il caso della “Strage di Erba”, sostenendo una posizione diversa da quella pronunciata dalla Suprema Corte di Cassazione di Roma, che ha riconosciuto i coniugi Olindo Romano e Angela Rosa Bazzi colpevoli, condannandoli all’ergastolo.
Roberta Bruzzone sostiene nel suo libro qualcosa di forte, ma di comprovato, sensato, che è frutto dell’analisi svolta da lei stessa e dalla sua “squadra” sulla scena del delitto della strage di Erba: un appartamento di una corte ristrutturata nel centro della cittadina, dove l’ 11 Dicembre dell’anno 2006 furono uccisi a colpi di coltello e spranghe Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la nonna del bambino Paola Galli, e la vicina di casa Valeria Cherubini. Suo marito Mario Frigerio, presente sul luogo, si salvò perché creduto morto dagli assalitori. Dopo la strage, l’appartamento venne incendiato.
La criminologa è chiara nel presentare la sua posizione in qualità di CT: «Io credo a ciò che vedo e analizzo e, se una traccia non la vedo, allora vuol dire che non c’è. Questo secondo il principio di interscambio di Locard, secondo cui si afferma che ogni criminale lascia una traccia di sé sulla scena del crimine e porta via su di sé una traccia. Ci si riferisce ossia all’ipotesi riguardante il contatto che avviene tra due oggetti, persone o cose; qualcosa rimane sulla vittima e qualcosa rimane sul reo».
Ebbene la Bruzzone smonta pezzo per pezzo quanto viene certificato dal RIS di Parma e dai Carabinieri di Como che si sono occupati delle indagini, sostenendo che i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi in quell’appartamento non c’erano. Chi lo dice? Non di certo la sua fantasia, non di certo le tracce presenti. Ma di certo le tracce che avrebbero dovuto esserci e che non sono state trovate.
Tante le incongruenze che legge negli atti, dove si evince un netto scollamento tra quanto è stato dichiarato e ratificato dalla condanna di primo grado(condanna all’ergastolo) e quello che è stato presentato dal RIS come prove presenti sulla scena del crimine.
Innanzitutto la Bruzzone fa riferimento alle tre sentenze: il 3 maggio 2011, la Suprema Corte di Cassazione di Roma ha definitivamente riconosciuto come autori della strage i coniugi Olindo Romano e Angela Rosa Bazzi; già condannati all'ergastolo con isolamento diurno per tre anni il 26 novembre 2008 dalla Corte d'Assise di Como, e il 20 aprile 2010 dalla Corte d'Assise d'Appello di Milano che confermò la medesima condanna.
Tra le tante incongruenze rilevate, la criminologa afferma:
- Tre condanne, tre sentenze, tre parti emotive che descrivono una strage in maniera sempre diversa. Come psicologa forense percepisco subito un’errata e condizionata ricostruzione dell’accaduto, dove si evince una non conoscenza dei fatti da parte degli accusati Olindo e Rosa.
- Sulla scena del delitto sono state trovate altre due impronte messe agli atti: non sono dei Romano e non sono state associate a nessuno dei soggetti morti sulla scena o ad altri testimoni, operatori, tecnici, condomini, vicini di casa che frequentavano o hanno frequentato la casa durante le indagini. Di chi sono?
- I coniugi negano di aver usato dell’accelerante per favorire l’incendio dell’appartamento. Domanda: “Perché dichiarare con lucidità l’uccisione a sprangate di un bambino di due anni e mezzo con tanti “non so, non ricordo, forse” e invece ostinarsi a negare l’evidente uso di materiale infiammabile nell’appiccare l’incendio che ha devastato e carbonizzato l’appartamento?
- Rosa Bazzi probabilmente non dice il vero sulla dinamica dell’uccisione del bambino: la ricostruzione delle tracce di sangue parlano di un’altra verità.
- La prova regina: secondo i rilevamenti con il Luminor realizzati dai Carabinieri di Como( foto agli atti) sull’automobile di Olindo Romano, era presente la traccia di sangue di uno dei corpi offesi nella strage. La Bruzzone mette in dubbio la veridicità della prova e il corretto modus operandi del rilevamento svolto. La traccia non è visibile , quindi non c’è.
- Altro dato: tutte le vittime sono state uccise con ferite a scannamento, tipiche di un modo preciso e puntuale di agire, quando si vuole uccidere in maniera premeditata. Olindo e Rosa potevano essere così precisi, operare con fredda lucidità e in un mare di sangue riuscire a non lasciare impronte, tracce di sé e sui cadaveri?
Sulla base di tutti questi ragionevoli dubbi è giunto il momento di riflettere:
- sull’operato e la professionalità di chi opera nella psicologia forense e sulle scene del crimine;
- sull’operato della magistratura italiana;
- sull’operato dei giornalisti e sulla trasfigurazione dell’informazione, spesso pagata a caro prezzo da chi è oggetto dell’informazione stessa;
- sull’operato di tutti noi, lettori di sempre, pronti a giudicare prima che qualunque sentenza terrena venga pronunciata.
La conferenza si è conclusa con queste parole: «Mi auguro vivamente che il caso venga riaperto. Io ho un unico datore di lavoro: la verità. Ed ogni giorno combatto perché essa possa fare un passo in avanti. Auguro a tutti voi di vivere una vita così, come la mia, con tutte le sue frustrazioni, difficoltà, invidie, ma una vita che ho scelto e che non ho mai pensato di cambiare. Vi auguro di poter avere altrettanto e di poter guardare chiunque negli occhi senza mai abbassare lo sguardo, perché state facendo il vostro lavoro e lo state facendo al meglio delle vostre possibilità.»
Alessandra Angelucci
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