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Il Corrosivo. Banche, banchine, bancarelle e banchetti

di Elso Simone Serpentini
9 minuti

Una banca è un organo finanziario, ma non è solo questo. E’ anche un organo sociale, politico, economico e va considerata sotto molteplici aspetti. La sua attività si esplica in numerosi campi e molteplici attività singole e collettive sono direttamente o indirettamente sottoposte al controllo di una banca, anche e soprattutto di una banca locale. Queste attività possono essere dalla banca alimentate o soffocate, a seconda che le loro finalità collimino o contrastino con quelle della banca. E’ del tutto naturale che una banca venga a incrociare le proprie strade con quelle della politica dominante e che mediante le scelte del consiglio di amministrazione si eserciti un controllo più o meno stretto sul ceto imprenditoriale.

Questo si trova a svolgere un ruolo del tutto diverso da quello dei piccoli risparmiatori che si servono della banca come clienti più che come investitori. La funzione storica della banca è quella di commercializzare il denaro. E’ una funzione mediatrice tra chi ha denaro disponibile e non sa come utilizzarlo e chi, potendo utilizzarlo, non ne ha disponibile. La banca raccoglie denaro dai primi e lo distribuisce ai secondi. La banca, perciò non raccoglie solo i depositi, ma interviene in vario modo, con azioni dirette o indirette, mascherate o non, riuscendo a orientare, a indirizzare, a determinare le sorti di chiunque si trovi ad avere con essa dei rapporti. Taluni di questi rapporti sono privilegiati e il privilegio viene distribuito secondo criteri dettati dall’orientamento politico dei consigli di amministrazione.

E’ innegabile che in tutti i decenni del secolo scorso e nei due iniziali del presente, le banche teramane siano state governate da un ceto politico che le ha utilizzate a proprio piacimento, dettando regole e criteri o facendoseli dettare da consorterie, spesso anche di struttura massonica, che non sempre hanno considerato primario l’interesse stesso della banca. Una storia della politica teramana non potrebbe prescindere da una storia del sistema bancario e di come esso si è concretizzato e sviluppato nel territorio della nostra provincia. La storia del Banco Abruzzese, della Banca Popolare, della Cassa di Risparmio, del Mediocredito e della Banca di Teramo sono capitoli della storia sociale, economica ma soprattutto politica del nostro territorio. Ciò che è inquietante è che la parte politica che avrebbe dovuto rappresentare l’opposizione democratica alla maggioranza egemone non ha mai condotto un’azione di contrasto a chi l’egemonia la concretizzava non solo sul piano politico ma anche sul piano della gestione delle banche.

Questa minoranza non è mai stata opposizione e si è sempre accontentata delle briciole in una spartizione del potere del tutto connivente. Intanto nel partito egemone la spartizione era garantita da un equilibrio di poteri non contrapposti ma ben bilanciati. La sopravvivenza economica di imprese ed imprenditori era assicurata dalla maggiore vicinanza possibile a chi deteneva le chiavi del potere bancario e a chi restituiva consenso, anche elettorale, in cambio di elargizioni di credito, in qualche occasione senza misura e senza controllo. Così, da una parte negli enti pubblici si assisteva ad una vera e propria spoliazione di risorse a beneficio di privilegiati, negli enti bancari si mostravano i muscoli di un’arroganza incontrastabile ma si accumulavano ugualmente perdite di bilancio mascherate da operazioni disinvolte di contabilità.

Alla fine della giostra, vale a dire quando la giostra si è fermata – doveva farlo prima o poi – ci ritroviamo deficit di bilancio paurosi, ai quali come al solito si dovrà rimediare ricorrendo ad una richiesta di sacrifici avanzata nei confronti dei ceti più deboli e meno responsabili.
Le gazzette magnificavano trionfi e scalate delle nostre banche, i successi vantati da consigli di amministrazione dove si giocava come con una specie di Monopoli, ma sotto sotto un fiume carsico scavava e creava profonde voragini nelle quali è poi sprofondata la nostra economia. Le nostre banche, dopo aver rinunciato al nostro territorio, lasciando credere di poter andare alla conquista del territorio altrui, appaiono ora come falliti in mutande o con le pezze al sedere. Le inchieste della Banca d’Italia, quelle ufficiali e quelle non ufficiali, hanno mostrato quanto il re fosse nudo e una spada di Damocle è sospesa su ogni sportello dei nostri istituti di credito.

Le nostre banche avevano il vizietto di voler apparire delle bancone e invece si sono poi rivelate delle banchine, delle bancarelle, nelle quali si sono organizzati troppi banchetti da generosi crapuloni in vena di divertirsi. Le scalate tentate e fallite si sono rivelate delle discese rovinose, conseguenza inevitabile di disastrose disfatte.
Le soluzioni non sono dietro l’angolo, a portata di mano. L’alleanza politico-bancaria, oggi lo sappiamo con certezza, era basata nella nostra provincia su un programma rivelatosi distruttivo. La crisi attuale ha accentuato le rovine nelle quali la nostra economia, da sempre basata sui depositi bancari, si è sempre trovata a languire, come in uno stagno nel quale l’acqua non può che essere putrida.

Nella nostra memoria sono ancora presenti tanti episodi di tracotanza, di indisciplina, di vandalismi, di sabotaggio, di sperpero e di disorganizzazione e troppi casi in cui chi osava denunciare come stavano veramente le cose veniva punito e costretto al silenzio e all’impotenza. Paghiamo oggi, come comunità, la colpa di aver lasciato che tutto il nostro sistema bancario fosse monopolizzato da un solo partito politico.

Questo è avvenuto anche in altri regioni, per esempio le Marche o la Toscana, dove il partito monopolista è stato per decenni un altro rispetto a quello che ha monopolizzato dalle nostre parti. A completare il quadro della nostra disgraziata e lacrimevole politica bancaria, è arrivata ultimamente qualche improvvida decisione a cui si cerca di attribuire una credibilità non meritata e ancora una volta ci si affida ad una presunta lungimiranza di logge più o meno occulte. La speranza è quella di coinvolgere responsabilità altrui per veder diminuite le proprie, ma è una speranza destinata ad essere vanificata se non ci sarà una totale e completa rinuncia ad ogni auto-determinazione.

Così il martirologio delle nostre imprese, tutte piccole più che medio-piccole, che chiudono i battenti sempre più frequentemente, rappresenterà tra breve una resa incondizionata della nostra economia, una vanificazione di ogni possibilità di ripresa autentica e il trionfo di una mentalità miope, incerta e tentennate dei nostri amministratori, a qualsiasi livello, comunale, provinciale e regionale.

Solo il tempo, e forse un giorno la storia, potrà dire se la malattia che ha colpito mortalmente i nostri istituti di credito sia stata una incomprensione dei problemi e dei fenomeni, una insipienza colpevole, dolosa o colposa, o se si è trattato di qualcosa di più: dell’istaurarsi e del perpetuarsi di una sorta di malavita politico-bancaria quale quella che molti osservatori credono sia stata sul piano nazionale la vera padrona dell’Italia. Intanto all’ombra di questi misfatti, se ne commettono altri. Alle piccole imprese che sono la linfa vitale dell’economia teramana è stato chiuso ogni canale di credito e la necessità di rapidi stringenti rientri le sta portando al fallimento o alla chiusura. Resistono solo i titolari di depositi bancari che considerano il proprio denaro come un bene non da investire ma da conservare e quanti sono convinti che investire nella necessità che ha la gente di bere e di mangiare sia un’ancora di salvezza.

La Cia (non l’agenzia di intelligence americana, ma, più prosaicamente la Confederazione Italiana Agricoltori) ha avuto il permesso di istallare i suoi gazebo, in pratica delle bancarelle, lungo il Corso, coprendo del tutto la visuale e l’accesso ai negozi, già impegnati a fronteggiare una terribile crisi. Il vulcanico Topitti ha giustamente gridato ad alta voce la sua rabbia per l’arrogante insolenza degli amministratori che hanno consentito lo scempio. Insomma, dalle banche alle banchine e dalle bancarelle ai banchetti.
                                                      
 

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La lettura di articoli come questo, porta giorno per giorno a consumarti il fegato, ma allo stesso tempo ti fa salire l'INDIGNAZIONE, quel sano e vivo risentimento verso tutto quello che porta offesa alla moralità, all'umanità, alla giustizia... Un risentimento necessario, che ha la sua ragione di essere, che non dovrebbe mai affievolirsi, che occorre mantenere vivo per farci dire: NO, IO NON CI STO!
C'è crisi, l'uomo vive un lasso di tempo molto ristretto, molte volte sentiamo la tiritera "lavori e produci per lasciare agli eredi"? Si sono susseguite le guerre e le distruzioni, poi i boom economici, le maggioranze politiche pro tempore si sono aggiudicati i meriti, e hanno lasciato i meriti ai loro figli, ma questi eredi non sanno i sacrifici costati per le crescite economiche, e allora prima di lasciare il mondo avranno mangiato tutto. Il nuovo boom economico ripartirà solo dopo la scomparsa di questi padroni delle banche, degli stati. del mondo. Inutile illuderci tanto non siamo capaci di togliere il potere a questo sistema.
"I PERMESSI! CE LI AVETE I PERMESSI?!? *€$£!"*)/&%$ç°é§**€$£!"*)/&%$ç°é§**€$£!"*)/&%$ç°é§*! " ...si".
Ottimo articolo, scritto molto bene. L'Autore, non da ora, e' peraltro garanzia di "buona penna". Due appunti: 1) fino agli anni '70 dello scorso secolo, le banche teramane erano guidate da galantuomini competenti, irreprensibili, duri ma portati a favorire i buoni progetti degli imprenditori locali con indubbi vantaggi per tutta la collettivita' teramana. Fino agli anni '70 la politica non dominava CDA e Fondazioni delle banche anzi ne era tenuta a distanza. Ai potenti dell'epoca (leggi Gaspari, Natali) si rispondeva " Onorevole quante volte glielo devo dire, la banca non ha bisogno di personale". ( la frase e' virgolettata perche' , da ragazzo, l'ho sentita pronunciare piu' volte). Dopo e' successo di tutto di piu' con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti. 2) cosa c'entra Topitti?