Ho seguito per tutto il giorno (certo non continuativamente per 24 ore, ma dando ogni tanto uno sguardo) ad una webcam istallata di recente a Teramo, che inquadra Piazza Martiri e la facciata del Duomo. Tra una pioggia che ogni tanto bagnava il selciato e un raggio di sole che lo illuminava e lo asciugava, per tutto il giorno ho visto montare con una lentezza da “slow-motion” un palco proprio davanti alla scalinata della facciata posteriore della Cattedrale.
Solo qualche ora dopo ho capito che il palco era stato fatto montare da Teleponte per uno spettacolo che avrebbe accompagnato lo spoglio elettorale, che poi in effetti è iniziato, alle prime ombre della sera, in una piazza assolutamente vuota, che non si è mai riempita. In televisione si vedeva e si sentiva un guitto fare battute, cantare e ballare, senza che mai venisse inquadrato il pubblico, che solo dalla webcam risultava del tutto inesistente. Uno spettacolo surreale: l’esibizione in una piazza vuota era la metafora esatta dei risultati elettorali che si sono registrati a Teramo, ancora una volta in assoluta controtendenza rispetto ai dati nazionali e regionali.
A Teramo nelle elezioni europee il successo del Pd è stato assai meno clamoroso, in quelle regionali il candidato presidente più votato è stato Chiodi e non D’Alfonso, in quelle comunali il sindaco uscente è stato confermato al primo turno, come se fosse stato il miglior sindaco della storia e non il peggiore. Piazze piene urne vuote, urne piene piazze vuote: questa la didascalia della fotografia delle elezioni teramane. Più tardi una giornalista armata di microfono inseguiva davanti al suo operatore sparuti passanti che al solo vederla si allontanavano per non farsi intervistare, salvo i pochi soliti esibizionisti desiderosi di farsi inquadrare e di dire qualche cosa al microfono.
In studio venivano snocciolati dati numerici di una vittoria e di diverse sconfitte, la vittoria di D’Alfonso, che diventava sempre più definitiva, la sconfitta di Brucchi che non è riuscito sul filo di lana e per un pugno di voti ad evitare il ballottaggio, ma senza che questo suoni un trionfo e nemmeno una vittoria per i suoi competitori, rivelatisi un po’ a sorpresa assai poco competitivi.
La sorpresa è stata tale anche per me, così come lo è stata, per loro addizionata alla delusione, per quanti avevano immaginato di poter avere suffragi in numero superiore a quelli ottenuti. Ma gli elettori hanno sempre ragione, anche quando hanno torto, anzi, non hanno mai torto. Alle loro decisioni bisogna sempre inchinarsi o piegarsi o arrendere senza replicare. Io stesso mi sono dovuto arrendere assai spesso e lo faccio anche questa volta. Questa è Teramo e questo sono i teramani. In moltissimi hanno ritenuto che Brucchi sia stato un ottimo sindaco e che meritasse la conferma, che chi lo aveva sfidato non meritasse credito, che le critiche rivolte al primo cittadino e alla sua giunta fossero ingiustificate e che i loro meriti fossero addirittura molti e certificati.
Hanno ritenuto che la loro città avesse bisogno di un nuovo re e hanno scelto Paolo Gatti, che non avesse bisogno di rinnovarsi e di cambiare, ma di muoversi in una linea di continuità. In moltissimi hanno detto che chi si lamenta di come si vive a Teramo non ha alcuna ragione di farlo, che non c’è bisogno di denunciare soprusi e prepotenze perché non ci sono, che la crisi economica e la disoccupazione non ci sono e, se ci sono, Brucchi e quanti avrebbe scelto come propri assessori sarebbero stati in grado di affrontarle e di offrire decisive soluzioni. Quanti lo hanno votato hanno stabilito che a Teramo si vive bene e che tutto deve rimanere com’è. Chi ha governato e amministrato lo ha fatto bene e può e deve continuare a farlo. Chi si è levato a protestare e a proporre cambiamenti anche radicali è un visionario che vede la realtà con occhi distorti o in malafede.
Chi, nonostante tutto, si vuole avventurare sul piano delle analisi politiche, sempre difficili quando si ha a che fare con il voto dei teramani, non può non riflettere su alcuni elementi fin troppo evidenti: l’evanescenza di alcuni candidati, la cui poca consistenza è documentata da percentuali bassissime, l’acquosità degli elettori dei pentastellati alle europee, che poi hanno spostato i loro voti in gran numero su Chiodi alle regionali e in numero ancora maggiore su Brucchi alle comunali (anche per l’assoluta pochezza della lista e del candidato sindaco), il più che deludente risultato del PD, ancor più di quello del suo candidato sindaco, davvero assai poco sostenuto e supportato, facendo perfino sospettare accordi elettorali sottobanco di alcuni candidati alle regionali, il risultato pure deludente di Pomante, che pure molto aveva supposto di sé.
Chi, esulando dalle analisi politiche, intenda riflettere sul piano antropologico dovrà spiegare a se stesso perché l’elettore teramano vota come vota, cioè come ho ironicamente rappresentato nel mio diario di un elettore, cioè rimanendo del tutto indifferente alle valenze ideologiche e programmatiche e accordando la propria preferenza proprio sulla base di considerazioni personali, di conoscenza diretta di questo o quel candidato, o della sua famiglia o del suo gruppo di amici o di legami clientelari.
Su questo terreno capirà di aver molto sbagliato chi aveva interpretato l’elevato numero di liste che appoggiavano Brucchi (ben sei) come un segno di debolezza, perché il gran numero di candidati rappresentava una grande capacità di intercettamento di voti di preferenza. Capirà anche di aver molto sbagliato chi aveva pensato che l’accresciuto numero di candidati sindaci contrapposti a quello uscente (ben sei, non solo due come cinque anni fa) potesse ostacolare maggiormente la possibilità di una vittoria al primo turno di Brucchi, che solo all’ultimo minuto e quasi all’ultimo voto scrutinato è stata vanificata.
Sul piano dell’analisi storica, invece, una sola è la conclusione possibile: Teramo, città neghittosa e indifferente, si abbandona stancamente e languidamente al corso degli eventi, lasciandosi guidare da una apatica tendenza alla flemma e ad un rifiuto di ogni cambiamento. Anche quando cresce il numero di coloro che si lamentano, non si deve pensare che la lamentazione possa portare ad una bocciatura di coloro nei cui confronti ci si lamenta, perché al massimo essa porta ad una richiesta di favori e di concessioni benigne. Le elezioni comunali si vincono e si perdono nelle frazioni, che sono tante, dove il controllo del voto dei singoli è spietato e il radicamento dei signori dei voti profondo e antico.
Ogni altra, alta, analisi o qualsiasi altra dotta considerazione è aria fritta: pura evanescenza. Una cosa è certa e definitiva: al ballottaggio quanti si sono contrapposti a Brucchi votando candidati a lui alternativi dovranno adesso unirsi e fare fronte comune per evitare che lui vinca al ballottaggio. In caso contrario i teramani per cinque anni non avrebbero più alcun diritto ad alcuna lagnanza, perché, anche se avessero qualche ragione per avanzarne, dovrebbero considerare se stessi come responsabili.
Commenta
Commenti