Arrivò un momento, un bel momento, nel quale qualcuno decise che, a tanti anni di distanza dalla costruzione del nuovo cinema teatro comunale di Teramo (che aveva preso il posto del vecchio, inaugurato nel 1868 e demolito nel 1959), andava finalmente affrontato e risolto il problema della pessima acustica del locale.
Se ne erano lamentati tutti, attori, registi, concertisti... Tutti ne avevano detto peste e corna.
Una sera il grande violinista Uto Ughi aveva fatto addirittura una sparata senza precedenti, dicendosi quasi intenzionato a non suonare, ma indotto a farlo solo da spirito di dovere e da amore per la musica. Anche se, per amore della musica, avrebbe voluto e dovuto non suonare. Suonò, precisando che quella sarebbe stata l’ultima volta. La gente di teatro e i concertisti non si lamentavano soltanto della pessima acustica, ma anche di altro.
L’addetto alle scene del cinema teatro, Franco Cavallin, ricorda ancora quanto dovette più volte spendersi più del dovuto nel tentativo di convincere, e quasi costringere, alcune attrici ad entrare in scena ed esibirsi davanti a spettatori seduti su splendide poltrone, ma viola, proprio il colore odiato dalla gente di teatro (che riteneva e ritiene che pori sfiga. Ad alcune attrici era stato perfino impedito, con vari stratagemmi, di vedere quelle poltrone, sì che di quell’orrendo colore si erano accorte solo a sipario alzato, quando ormai ritrarsi non era più possibile. Ma era stato evidente il loro sobbalzare davanti alla scoperta del colore delle poltrone.
Quasi tutti si erano anche sempre lamentati del freddo che faceva nei camerini, un freddo che non si riusciva ad addolcire in alcun modo.
C’era chi sapeva bene perché, essendo i camerini sistemati a contatto con le pareti esterne del cinema teatro, e quindi esposte al freddo più di qualsiasi altra parte del locale.
Chi aveva progettato quel locale, allocando i camerini a contatto con le pareti esterne e scegliendo il colore viola per le poltrone? Ovviamente il progettista, l’arch. Narciso Mariotti, ritenuto da tutti il migliore della città, sia pure forestiero (anzi proprio perché forestiero, perché a Teramo, lo sapevano tutti, per fare fortuna e avere successo era indispensabile venire da fuori). Così l’architetto umbro era passato e passava ancora per un innovatore, per un raffinato interprete dell’architettura, autore di progetti di edifici pubblici e privati di caratura ritenuta notevole. Ma come mai aveva pensato proprio al colore viola?
Non sapeva che era odiato dalla gente di teatro? E come mai aveva sistemato i camerini a contatto con le pareti esterne?
Non aveva pensato che sarebbero stati sempre freddi, anzi gelidi, soprattutto d’inverno? Ma, soprattutto, la gente si chiedeva: come mai quella pessima acustica?
Che non si fosse posto il problema era ipotesi da scartare, perché del progetto faceva parte una planimetria la cui didascalia era eloquente sul fatto che il problema se lo era posto.
Infatti diceva: “Pianta del nuovo cine-teatro, con lo schema di diffusione del suono”. nella planimetria erano evidenti frecce e freccette che indicavano la diffusione delle onde sonore, gli angoli di incidenza. Insomma tutto calcolato. Ma qualcosa non aveva funzionato, perché l’acustica era pessima e tutti se ne lamentavano. Era una continua doglianza.
Così alla fine qualcuno decise che il problema andava affrontato e risolto. Ci si rivolse al Politecnico di Torino, al quale si chiede di trovare una soluzione.
Furono inviate carte e mappe, con relative misurazioni. Con grande sorpresa di chi le aveva spedite, il Politecnico rispose chiedendo di effettuare di nuovo, e con maggiore precisione, le misurazioni.
Chi le aveva fatte doveva essersi sbagliato, perché la larghezza della platea risultava essere di 17 metri. Le misurazioni furono rifatte.
La larghezza risultò essere proprio quella: 17 metri. Questa volta al Politecnico rimasero allibiti e risposero che il problema era irrisolvibile.
Perché? Ma perché la platea era larga 17 metri. E quindi? I tecnici spiegarono in che cosa consistesse il “busillis”.
Il nostro orecchio percepisce come “separati fra loro” due suoni emessi ad almeno 1/10 di secondo uno dall’altro. Poiché la velocità del suono è di 340 metri al secondo, in un decimo di secondo il suono della nostra voce percorre 34 metri. Se esso va a infrangersi contro un ostacolo posto ad una distanza superiore ai 34 metri, si produce l’eco, che fa sì che, la parola pronunciata torni indietro, ma quando è già stata pronunciata tutta, quindi la si sente chiaramente una seconda volta.
Il cosiddetto rimbombo, invece, fa sì che la parola pronunciata sul palcoscenico rimbalza e torna all’ orecchio prima che si sia finita di dirla tutta. Risulta perciò assai fastidioso, perché, mentre il suono dell’eco è ben distinto (quindi, prima si sente la tua voce, poi l’eco), il rimbombo si “mescola” alla voce emessa, sovrapponendosi alla stessa. Ora, spiegarono i tecnici, dove si verificava il fastidiosissimo fenomeno del rimbombo? A 34 metri fratto due. Quindi? A 17 metri: l’esatta misura della larghezza della platea del nuovo (nel frattempo non più tanto nuovo) cinema teatro Comunale di Teramo. Il “rimbombo” fa sì che un suono, prodotto all’interno di un luogo chiuso, come un teatro, persiste per un certo periodo di tempo. Ecco spiegato perché tutti si lamentavano della pessima acustica del cinema teatro Comunale di Teramo. I tecnici misero tutto in formula: velocità del suono nell’aria = 340 m / s; tempo di percezione di n. 2 suoni distinti da parte dell’orecchio (1 / 10) s; perciò 340 (m / s) . 1 / 10 (s) = 34 m; 34 m / 2 = 17 m.
Era un principio elementare dell’acustica e della fisica. Nessun progettista che lo conoscesse avrebbe mai progettato un teatro la cui platea fosse larga proprio 17 metri! Ma chi aveva progettato il teatro teramano lo aveva fatto. Aveva “ignorato” quelle formule. Aveva ignorato quella proibitiva “larghezza” di 17 metri. Si era trattato di una “ignoranza larga 17 metri”!
Ci si dovette arrendere all’evidenza. L’acustica del teatro Comunale non sarebbe mai stata buona. Non si poteva correggere, a meno che... a meno che non lo si rifacesse tutto da capo. O a meno che... non si allargasse quella larghezza troppo stretta. Ma come fare? C’era la possibilità di metterci una pezza, ma non avrebbe funzionato più di tanto. Visto che allargare non si poteva, si poteva provare a “stringere” la platea, con qualche protesi di materiale speciale che ne rendesse la larghezza più vicina a quella del palcoscenico, che era di 14 metri.
Il tentativo fu attuato, ma il risultato non fu incoraggiante. Si provò con materiali fono assorbenti, ma era peggio, perché quei materiali attenuavano il fenomeno dell’eco, ma non quello del rimbombo e potevano funzionare quando la sala era adibita per proiezioni cinematografiche, non quando veniva usata per spettacoli di prosa, musicali o (Dio ce ne scampi !) per concerti.
Così ci siamo tenuti e ancora ci teniamo il rimbombo, conseguenza di una “ignoranza larga 17 metri”!
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