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La cultura cancella l'ignoranza. Intervista a Moreno Fieni sulle scritte xenofobe di San. Massimo...

di Giancarlo Falconi
8 minuti

Vi basta?
Le scritte xenofobe, volgari, violente, razziste di San Massimo ( Isola del Gran Sasso) si combattono con la bellezza di una comunità e con la cultura.
Risponde Moreno Fieni, esponente del Partito Democartico e Presidente del Bim ma soprattutto, sono quelle mani che cancellano il brutto dell'animo umano a tenere alta la memoria.
L'intervista https://www.youtube.com/watch?v=fxU5eA9wfUU

Ricordi.

Noi siamo la nostra memoria,
noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti,
questo mucchio di specchi rotti.
(Jorge Luis Borges)

Dove vien meno l’interesse, vien meno anche la memoria.
(Goethe)

Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere.
(José Saramago)

Una cattiva memoria preserva da tanti rimorsi.
(John James Osborne)

Oggi più che mai, è necessario che i giovani sappiano, capiscano e comprendano: è l’unico modo per sperare che quell’indicibile orrore non si ripeta, è l’unico modo per farci uscire dall’oscurità.
(Elisa Springer)

Se dall’interno dei Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui.
(Primo Levi)

Tanto grande è il rischio di dimenticare, che occorrerebbe un anniversario di Auschwitz al giorno!
(Elisa Springer)

Ad Auschwitz
pile di occhiali
montagne di scarpe
sulla via del ritorno
ognuno fissava fuori dal finestrino in direzione diversa.
(Ko Un, di ritorno da una visita al campo di Auschwitz, 2001)

“Se Dio esiste, dovrà chiedermi scusa”
(Scritta apparsa su un muro di Auschwitz)

La domanda: Ditemi dove era Dio, ad Auschwitz. La risposta: E l’uomo dov’era?
(William Clarke Styron)

È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo.
(Anna Frank)

L’opposto dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza. L’opposto dell’educazione non è l’ignoranza, ma l’indifferenza. L’opposto dell’arte non è la bruttezza, ma l’indifferenza. L’opposto della giustizia non è l’ingiustizia, ma l’indifferenza. L’opposto della pace non è la guerra, ma l’indifferenza alla guerra. L’opposto della vita non è la morte, ma l’indifferenza alla vita o alla morte. Fare memoria combatte l’indifferenza.
(Elie Wiesel)

Gli altri prigionieri di Auschwitz popolano la mia memoria della loro presenza senza volto e se potessi racchiudere in un’immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia del pensiero.
(Primo Levi)

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
(Primo Levi, breve testo in versi liberi che apre il romanzo “Se questo è un uomo”. La poesia si intitola “Shemà”, che significa “ascolta”)

Chi ascolta un superstite dell’Olocausto diventa a sua volta un testimone.
(Elie Wiesel)

Gli abitanti del pianeta Auschwitz non avevano nomi. Non avevano né genitori né figli. Non si vestivano come si veste la gente qui. Non erano nati lì né li concepivano. Respiravano secondo le leggi di un’altra natura e non vivevano né morivano secondo le leggi di questo mondo. Il loro nome era Ka-Tzenik e la loro identità era quella del numero tatuato nella carne dell’avambraccio sinistro.
(Testimonianza resa al processo Eichmann a Gerusalemme)

Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso.
(Hannah Arendt)

Perché la memoria del male non riesce a cambiare l’umanità? A che serve la memoria?
(Anonimo)

La memoria è determinante. È determinante perché io sono ricco di memorie e l’uomo che non ha memoria è un pover’uomo, perché essa dovrebbe arricchire la vita, dar diritto, far fare dei confronti, dar la possibilità di pensare ad errori o cose giuste fatte. Non si tratta di un esame di coscienza, ma di qualche cosa che va al di là, perché con la memoria si possono fare dei bilanci, delle considerazioni, delle scelte, perché credo che uno scrittore, un poeta, uno scienziato, un lettore, un agricoltore, un uomo, uno che non ha memoria è un pover’uomo. Non si tratta di ricordare la scadenza di una data, ma qualche cosa di più, che dà molto valore alla vita.
(Mario Rigoni Stern)

Più si allontanano gli eventi, più si accresce e si perfeziona la costruzione della verità di comodo.
(Primo Levi)

La verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta.
(Anna Frank)

La Shoah, come in ambito ebraico viene chiamato l’Olocausto, termine a suo modo improprio, fu un evento senza precedenti perché mai era stato deciso a tavolino lo sterminio, l’annientamento di un popolo in quanto tale, non perché fosse un nemico in guerra o perché si fosse macchiato di colpe. I nazisti hanno eliminato un milione e mezzo di bambini ebrei, e al di là della tragedia umana, ciò spiega meglio di ogni altra cosa l’intento di questo immane progetto di sterminio: non un pretesto, né una ragione se non quella di far scomparire un popolo dalla faccia della terra. E’ in questa totale mancanza di senso che va ricercata la necessità della memoria: non bisogna dimenticare, perché così come è accaduto può accadere di nuovo.
(Elena Loewenthal)

In un angolo del campo di concentramento, a un passo da dove si innalzavano gli infami forni crematori, nella ruvida superficie di una pietra, qualcuno, chi?, aveva inciso con l’aiuto di un coltello forse, o di un chiodo, la più drammatica delle proteste: “Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia”.
(Luis Sepúlveda)

Qui non ho visto nemmeno una farfalla
L’ultima, proprio l’ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla,
l’ultima,
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere del castagno
nel cortile.
Ma qui non ho visto nessuna farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.
(Pavel Friedman, internato nel 1942 nel ghetto di Theresienstadt e morto nel lager di Auschwitz nel 1944)

La prossima venuta dei Van Daan, che è stabilita per martedì, mi rallegra molto; ci sarà più compagnia e meno silenzio.
È il silenzio infatti che mi rende nervosa di sera e più ancora di notte. Non so quel che darei perché qualcuno dei nostri protettori dormisse qui.
Non poter mai andar fuori mi opprime indicibilmente, e ho una gran paura che ci scoprano e ci fucilino.
Non è certo una prospettiva piacevole. Di giorno bisogna camminare piano piano e parlare a bassa voce, perché nel magazzino potrebbero udirci.
Ora mi chiamano.
La tua Anna
(Anna Frank)

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