Stando a quel che leggo, presentando l’edizione di quest’anno del “Maggio Festival” e nell’affermare che ben difficilmente l’anno prossimo ce ne potrà essere un’altra, il suo ideatore e mentore, Silvio Araclio, ha detto che non esiste una politica culturale a Teramo.
Ha basato la sua affermazione sulla mancanza di fondi erogati da enti pubblici e fondazioni private (tale è la Fondazione Tercas), ma anche su un asserito straordinario livello di disattenzione generale ai temi culturali che si registra a Teramo.
E’ difficile dargli torno, anche se si è costretti a dire che ha detto una banalità; è stato costretto a farlo, perché che non esista una politica culturale a Teramo sono stati in molti a dirlo prima di lui, sia tra quanti si sono ormai arresi e si limitano a fare gli spettatori di uno spettacolo desolante (consistente in un avvilente degrado cittadino) sia tra quanti, come lui, hanno continuato ad arrabattarsi nel tentativo, inane e ciclopico, di salvare il salvabile (per usare una sua espressione).
Purtroppo sono costretto a dire cose che in parte lo smentiscono, non perché neghino le sue asserzioni e i suoi giudizi riguardo la cultura teramana, ma perché sono aggiuntive e peggiorative rispetto a quelle che ha detto lui.
A Teramo non è che non esiste una politica culturale... ormai siamo costretti a dire che a Teramo non esiste niente... non esiste più niente.
Se qualcosa esiste, è il Nulla, che rischia di essere perpetuo ed eterno.
Gli amministratori teramani hanno confermato una inadeguatezza che era stata già ampiamente certificata.
Il Comune capoluogo è vittima di camarille che si fronteggiano per la conquista di un tozzo di pane; la Provincia, o quel che ne rimane, è vittima dell’impotenza di un Presidente che ormai risponde solo a se stesso e alle proprie ambizioni politiche, oltre che ad alcuni piccoli potentati che rientrano nel suo bacino elettorale, quello bellantese, nel quale ci sono dei piccoli pesci d’acqua dolce che credono di essere degli squali e si comportano di conseguenza.
Ma l’uno e l’altra, il Comune e la Provincia, sono il regno del Nulla, così come lo è la Regione, il cui Presidente, o Governatore, se lo si vuol chiamare così, a sua volta governa il Nulla e le sue vuote promesse, condendo con belle parole le difese d’ufficio di scelte prive di senso. Se stiamo diventando il Regno del Nulla, in cui Nulla esiste, non solo la politica culturale, ma la politica “tout court”, intesa come buona e saggia e oculata amministrazione della cosa pubblica, è perché a loro volta coloro che hanno, votando, scelto questi sedicenti politici e incapaci amministratori, sono, come elettori, nella stragrande maggioranza, non in grado di scegliere i migliori, ma capaci di individuare, con estrema precisione, i peggiori.
Recentemente sono stati diffusi i risultati di uno studio (“Adults skills in Focus”, di marzo, pubblicato dall’Ocse-Piaac) dal quale emerge che gli analfabeti come si consideravano un tempo, cioè le persone che non sanno neppure leggere il proprio nome o associare un oggetto disegnato al sostantivo scritto, non esistono quasi più in Italia, ma è altissimo il numero di adulti, persone tra i 16 e 65 anni, che sono in grado soltanto di comprendere frasi semplici.
Vengono considerati “i nuovi analfabeti”, che hanno un bassissimo livello di lettura e comprensione di testi anche semplici. Ne derivano handicap gravi, quali la difficoltà nel trovare lavoro, nel poter usufruire dei servizi pubblici – dalle cure mediche al welfare - nel comprendere ed esprimersi.
Figuriamoci cosa combinano quando devono interpretare le comunicazioni elettorali e trarne le conseguenze al momento di votare. Il 28 per cento di italiani resta escluso da qualsiasi attività sociale, politica e anche da qualsiasi possibilità di miglioramento economico e di partecipazione, per cui la loro unica risorsa è legare il proprio destino alla fortuna elettorale del politico e dell’amministratore al cui carro si aggregano e al cui seguito si pongono.
E’ stato così anche in passato, ma oggi è peggio. Sfogliando presso l’Archivio di Stato alcuni faldoni contenenti documenti sul Giugno Teramano, sul Premio Teramo, su alcune residuali stagioni liriche e di prosa e su alcune altre iniziative (dalla Fiera dell’Agricoltura alla Settimana dell’Artigianato) che furono il fiore all’occhiello di alcune stagioni teramane che sono ancora oggi considerate come fortunate, ci si trova di fronte ad una miriade di lettere con le quali i nostri amministratori, sindaci e assessori, chiedevano “clientelarmente” l’intervento bonario di questo o di quel potente, di questo o di quel ministro di Stato, per ottenere riconoscimento, elargizioni, privilegi e sostegni.
E’ tutto un florilegio di “Caro Lorenzo”, “Caro Remo”, “Caro Onorevole”, “Caro Ministro”, con sperticati elogi e umili ringraziamenti. Da allora, anno per anno, è diventato tutto peggio, sono finite le vacche grasse, sono morti i santi in paradiso, ed è subentrato il Nulla, l’acquario dove sguazzano le papere pigmee.
Ma anche l’acqua è ormai finita, e tra poco nessuna di loro riuscirà più a galleggiare.
Commenta
Commenti