Pinocchio attraverso l'arte ( Pino Procopio ), la musica ( Paolo Di Sabatino) l'analisi ( Giuseppe
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Bacci) da un'idea di Raffaele Daidone e la libera partecipazione di Luciano D'Amico, Raffaella Morselli, le maestre della scuola dell'infanzia e primaria coordinate dalla dirigente scolastica Lia Valeri, Eleonora Magno preside dell'arte di Castelli- una scuola per noi che dovrebbe rappresentare l'Italia, Italo Di Giovine e i non vedenti, Enrico Benetel e i ragazzi dell'Anffas, Alba Impicciatore dell' associazione sordo muti, Italo Canaletti ed Elvia Rega Delegati Coni Parilimpico, Francesca di Boscio, Responsabile della Scuola di danza Backstage di Teramo.
L'intervento del Preside Lino Befacchia, il libero pensiero, meritava una platea molto più ampia.
Ecco a voi un piccolo stralcio...tutto il resto è un burattino senza fili.
"PINOCCHIO (qualche riflessione filosofica sul burattino e la sua storia)
Poche altre favole, antiche e moderne, risultano così ambigue nel significato e così suscettibili di interpretazioni, come la favola di Pinocchio o più precisamente Storia di un burattino di nome Pinocchio, come titolò il suo autore Carlo Lorenzini Collodi.
Essa si offre sia ad una lettura per così dire di superficie, dove l’Autore racconta la storia del burattino che diventerà un bambino attraverso un travagliato percorso dove incontra, si unisce, subisce personaggi più disparati. E’una storia ora ingenua, ora grottesca, ora truffaldina, ora generosa; ma che offre la possibilità, direi la necessità per uno studioso non superficiale, di una lettura più attenta e disincantata, perché come le scienze umane del XX secolo hanno dimostrato, sia i fenomeni linguistici, sia quelli sociali, sia quelli famigliari,anche le fiabe, tutti i miti, tutti i racconti celano altri significati possibili.
La favola fu scritta a puntate e a puntate pubblicata sul giornale dei ragazzi dal 1881 al 1883, anno dell’edizione completa. E’ difficile dire se l’Autore amasse la sua creatura e la sua opera, visto l’incostanza nella redazione dei capitoli, significato talvolta da una caduta di ritmo narrativo, altre dall’inserimento di vicende apparentemente pleonastiche rispetto al filo del narrato.
Alla sua pubblicazione un giornale del tempo ne sconsigliava la lettura ai figli di buona famiglia perché il contenuto,” le gesta e i personaggi avrebbero potuto essere di cattivo esempio educativo”. Infatti Pinocchio è tutto cò che un bambino-burattino non deve essere: bugiardo, disubbidiente, resistente alla volontà paterna, svogliato, rifiuta la scuola (vende infatti l’abbecedario comprato dal povero Geppetto), frequenta le peggiori compagnie, a partire da Lucignolo, che lo conduce al paese dei balocchi dove è toccato da una radicale metamorfosi: diventa un somaro, perde la voce e incomincia a ragliare.
Una storia in apparenza semplice, che induce al sorriso, scritta per bambini, ma che alimenta nel lettore un sorriso amaro, ogni volta che risultano vane o senza seguito le buone intenzioni di Pinocchio di cambiare vita e vivere da bravo burattino.
C’è da domandarsi perché Pinocchio sia cattivo e indisciplinato, perché così arrogante perché fa del male a suo padre. La prima risposta è “ poteva farlo”, perché era libero di farlo, forse perché antecedente Il legno di pino, materia vivente, possedeva una sua anima, ancor prima che l’ascia di Geppetto lo segnasse; anima ancora sorda, riottosa e ondivaga nella scelta degli itinerari della vita, ma pur capace di muovere i passi in totale autonomia.
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Il nostro burattino in ciò non appare dissimile da Adamo, anch’egli fatto , seppure di terra, ovvero di materia grezza quanto il legno di pino; anche Adamo, come Pinocchio, appena plasmato, diventa disubbidiente, bugiardo e ribelle al suo Costruttore. Pinocchio ed Adamo hanno la consapevolezza del bene e del male e la libertà di scegliere. E scelgono volutamente il male, l’uno mangiando il frutto proibito, dandone la colpa alla donna, l’altro esercitando scelte e commettendo azioni ripovevoli e inqualificabili.
Emblematica in Pinocchio è la fine procurata al grillo-coscienza parlante che, nel riprenderlo per le malefatte, lo ammonisce “guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che abbandonano la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo”.
Pinocchio , come il primo uomo, reitera puntualmente le scelte scellerate, non occasionalmente egli erra, sperimentando a sue spese, senza peraltro trane utili insegnamenti,tutte le brutture del mondo e vivendo fino in fondo il calvario delle azioni compiute: , va a fuoco, incontra Mangiafuoco, si trasmuta in animale, si unisce al Gatto e alla Volpe, cattivi truffaldini consiglieri, viene messo in prigione, incatenato come un cane da guardia e, infine, inghiottito dal pesce cane.
Questo viaggio in apparenza senza ritorno ha una svolta, quando nel ventre del mostro marino, come novello Enea riconosce in Geppetto suo padre, lo prende sulle spalle e, nell’assunzione di responsabilità, diventa adulto, decide di mutare vita e... viene premiato.
Da queste premesse schematiche si sono sviluppate le analisi più disparate:non poteva mancare la lettura massonica della favola, né tantomeno quella psico-pedagogica, ancor meno quella socio-economica, oppure quella psicanalitica, che ha cercato nel vissuto di Collodi significati ancora più radicali nella favola.
Gli amici con il compasso si sono sforzati di acclarare l’appartenenza del Lorenzini alla grande famiglia dei grembiulini, ricordando la sua simpatia mazziniana, anche egli massone da giovane, e poi per l’ arruolamento volontario alla prima e alla seconda guerra di indipendenza. Solo che il Collodi già qualche anno dopo la proclamazione del regno palesava la sua sfiducia nel nuovo ordine unitario monarchico liberale. Per la Grande Fratellanza la favola di Pinocchio è un evidente itinerario iniziatico, la conquista lenta della ragione che emerge attraverso e nostante gli errori che segnano i segmenti della vita, L’abbandono della natura lignea o burattina e la conquista della natura umana, affiorata come effetto di una metamorfosi irreversibile, è il cammino compiuto verso la luce (l’occhio nel triangolo, simbolo universale della logge, che illumina) e la piena conquista di sè.Il passaggio dall’una al’altra natura è quindi il compimento di un processo iniziatico dalle tenebre dell’ignoranza ai primi barlumi della ragione fino alla definitiva illuminazione.
Anche l’approccio socio- politico ha una sua ratio: riflette sullo scenario in cui si snoda la trama della favola, caratterizzato in particolare dalla miseria e dall’ottusità delle masse, da una atavica e irrecuperabile povertà, ovvero dalla marginalità di un mondo senza storia e senza futuro, che vive di piccoli espedienti, di piccoli e grandi angherie, che non coglie il valore dell’istruzione, che sarebbe l’irrinunciabile occasione per una possibile emancipazione sociale. Pinocchio vende l’abbecedario comperato da Geppetto e si aggrega con chi è peggiore: Lucignolo assolutamente indifferente verso lo studio, il lavoro e l’istruzione..
In un mondo siffatto si muovono da protagonisti i furbi, anzi i furbastri e i truffatori che la fanno franca e che vivono perennemente alle spalle dell’ingenuità credulona della povera gente , i gendarmi , simbolo del potere costituito,palesemente schierati con i potenti , la magistratura che, invece di punire i malvagi, imprigiona le vittime indifese e inermi. Probabilmente l’ambiente del racconto è la trascrizione fedele di un mondo e di una società minimamente sfiorata dalla storia recente del paese, dove se qualcosa è cambiato, tutto in realtà è rimasto uguale: uguali i soprusi, uguali le sopraffazioni dei potenti e dei furbi sui semplici,uguale il meccanismo o il sistema delle ingiustizie e del potere
Dal punto di vista della psico-pedagogia i meccanismi profondi della trama, partendo dalla menzogna,sono il tratto identificativo di ogni condizione umana. La favola elabora il difficile passaggio dell’essere umano dall’infanzia all’età adulta. Non tanto quindi un itinerario iniziatico caro alla massoneria, ma un passaggio obbligato pieno di travagli, di errori, di cadute, di fuori pista, di scelte insensate indispensabili per l’acquisizione della coscienza di sé. Come ognuno può sperimentare, se riflette sulla propria storia personale, potrà leggere nella storia di Pinocchio la storia della sua vita, dalla opposizione preconcetta all’autorità, in particolare paterna, alla inclinazione a marinare la scuola e a frequentare i compagni ‘furbi e scafati’, che fumano precocemente e precocemente si imbucano in bravate per nulla esemplari, salvo, poi, da grande riscoprre l’amore e il valore della figura paterna che per buona parte degli ...entenni, diventa la guida insostituibile della vita,
Ad arricchire ulteriormente le variabili esegetiche del racconto, si profilano una lettura ‘iniziatica’ ed una teologica.
La prima, attingendo a piene mani nella classicità nei misteri incontrati tra le pagine ‘liceali’, crede che le metamorfosi di Pinocchio sono il segno di un percorso iniziatico verso l’alto, grazie ad una maturazione interiore, di contro ad un percorso verso il basso di Lucignolo, con la regressione a stadio animale significato dal somaro, simbolo inequivocabile di abbrutimento senza fine. A conforto di questo assunto si analizzano i nomi, i simboli che riempiono la favola, le presenze di animali, il gatto, la volpe, mangiafuoco, la fata turchina: la favola di Pinocchio rimanda puntualmente a miti più antichi e a culti ‘misterici’, di rinascite, cadute, rigenerazione,vedansi per esempio Attis e Cibele o la figura di Geppetto, che non è padre che genera, ma semplice Demiurgo che dà forma ad un pezzo di legno ma che non infonde la coscienza, senza la quale il burattino diventa ingestibile e ribelle ad ogni richiamo di buon senso. Da qui la regressione nel mondo della bestialità, con l’assunzione della forma asinina, tipica della masse brute, secondo la migliore tradizione classica che va dai misteri orfici, a Dante ad Apuleio.
Anche la lettura teologica che ne fa in cardinale Biffi ha una sua significatività: essa vede in Pinocchio il riproporsi del mistero dell’uomo, dalla sua creazione dal fango fino alla sua redenzione finale, con il valicamento della sfera del male e la sua salvezza. Si rimarca in questa ipotesi il valore della libertà, come essenziale dote di cui il burattino è dotato, che è all’origine dei suoi errori e dei successivi ravvedimenti, l’emergere della coscienza responsabile che prevale, attraverso le cadute e le peregrinazioni peggiori, sulle seduzioni della carne e della mondanità. Pinocchio e Lucignolo sono accomunati dalla stessa condizione: entrambi liberi, entrambi sedotti dalla banalità del male. Lucignolo sceglie di perdersi e di sprofondare nell’inferno, Pinocchio di elevarsi e di redimersi. In questo cammino salvifico un ruolo fondamentale assume la Fata dai capelli turchini, che evoca la figura della Madonna, che permette, con il suo amore sconfinato e gratuito, di stendere la passerella che conduce Pinocchio alla salvezza a al cielo. Come la Madre del Figlio dell’uomo, trafitta dal dolore dal destino segnato della Croce, anche la Fatina muore di dolore per il suo burattino.
Ma si sostiene anche che il creatore vuole essere padre, non semplice assemblatore di materia e di forma. Geppetto vuole che Pinocchio sia sua figlio e non semplicemente un pezzo di legno. Tutta la storia quindi è la rincorsa di un padre ad un figlio ribelle e stolto che , pur non negando la sua origine, stenta a restituire l’amore ricevuto con la creazione, riconoscendo nel Padre la sua origine e la fonte della sua esistenza.
Quando avviene il miracolo della salvezza? La sua salvezza si realizza solo quando nel ventre del pesce cane Pinocchio ritrova Geppetto e e lo riconosce com ‘carne della sua carne’: babbino, babbino mio, esclama, con sentimento filiale.
Una recente analisi sposta i termini in chiave psicanalitica ed apre sttrade inesplorate: la figura di Pinocchio oggettiva il desiderio di Mastro Geppetto il di avere un figlio senza il contributo femminile, per la ‘indisponibilità’ a condividere con la donna tale progetto generativo. Si adombra in questa visione una inclinazione omosessuale del Collodi e ancor più qualche tendenza null’affatto plausibile, secondo la morale e il diritto corrente.
Qui, però, mi taccio ...per ragioni di tempo e di...luogo.
Leggi anche https://iduepunti.it/19-05-2017/video-pinocchio-dafrica-sbarca-teramo
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Commenti
Caro collega, grazie.
Mi hai costretto a un altro tipo di analisi.
Quasi contemporanea.
Sarà un piacere nella mia prossima visita teramana avere l'occasione di un confronto.
Nel frattempo studierò.
Ps: Controllami Giancarlo. Grazie.
Volevo ringraziare Giancarlo perché distratto dai miei figli non avevo colto alcuni passaggi. Grazie Prof. Befacchia. Altra classe.
Caro Preside, mio preside, una lettura contemporanea?
Chi sono i Pinocchio a Teramo?
Invito il curatore del Blog a pubblicare molto più spesso simili interventi.
Leggo spesso il prof. Serpentini e mi piacerebbe leggere i due colleghi, duellare su temi a scelta dei lettori. Si può fare?
Intanto, il mio piccolo contributo che lessi anni fa sulle pagine de Il Manifesto...
potesi sui moventi che spingono Pinocchio a una ipercinetica refrattarietà alla stasi, portandolo a non perdurare mai nello stesso stato. Una nuova edizione nei Millenni Einaudi, illustrata dagli splendidi e inquieti disegni di Lorenzo Mattotti
di Ivan Tassi
Scriveva Italo Calvino nel 1981, in occasione del centenario di Pinocchio, che la fiaba di Collodi è in grado di generare nella fantasia dei lettori immagini di straordinaria potenza: «ogni apparizione si presenta in questo libro con una forza visiva tale da non poter più essere dimenticata». È forse anche per questo motivo che le avventure del burattino di legno, fin da quando apparvero per la prima volta a puntate sul «Giornale per i bambini», furono accompagnate dalle illustrazioni. Dal 1881 ad oggi, sono state circa duecento (in media più di una per anno) le edizioni illustrate che si sono susseguite in una varietà di realizzazioni sorprendente e inesausta. Anche le edizioni più «tecniche», destinate in ultima istanza ad un pubblico squisitamente adulto, non sanno rinunciare agli apparati grafici: al di là delle consuete esigenze editoriali dei libri per ragazzi, Pinocchio sembra intriso di una prodigiosa, enigmatica carica, sempre pronta a rimettere in moto l’estro figurativo dei suoi cultori.
Un burattino in fuga
Che una simile energia possa dirsi tutt’altro che esaurita, ce lo dimostra del resto anche l’ultima edizione delle Avventure di Pinocchio (introduzione di Tiziano Scarpa, con una nota alle illustrazioni di Emilio Varrà, I Millenni, Einaudi, 315 pp., 75 euro), in cui Lorenzo Mattotti, maestro del fumetto e della graphic novel, torna per la seconda volta nella sua carriera ad accompagnare la storia del burattino di Collodi con immagini splendide. Come testimonia l’intervista inclusa nella nota introduttiva di Emilio Varrà, a sollecitare l’interesse di Mattotti è stata la natura inquieta delle incessanti metamorfosi di Pinocchio, che per tutta la durata del racconto si rivela in preda al demone della trasformazione. Prima di risvegliarsi, nell’ultimo capitolo, con le sembianze di un ragazzo in carne e ossa, il burattino recita come marionetta per il teatro di Mangiafuoco, svolge le mansioni di cane da guardia contro le faine in un pollaio, si tramuta in ciuco in seguito alla gita nel Paese dei Balocchi; e dopo essere diventato cibo per la digestione del terribile Pescecane, finisce per convertirsi in bestia da soma al servizio di un ortolano.
È quasi impossibile, allora, non lasciarsi trascinare da questa anomala, ipercinetica refrattarietà alla stasi, e non interrogarsi sui moventi che spingono Pinocchio a non perdurare mai troppo a lungo nella medesima condizione.
Le metamorfosi senza tregua potrebbero innanzitutto costituire un’agile strategia di difesa. Pinocchio – notava già Benedetto Croce – è «la vita»: rappresenta un istinto dinamico e primigenio, ostile a qualsiasi forma di coercizione. A partire da Mastro Ciliegia e da Geppetto, tutti i personaggi che nel corso del libro si imbattono nel burattino desiderano imprigionarlo in un ruolo o sottoporlo a un progetto, per poi ricavare dal suo legno «da catasta» un tornaconto privato; eppure ognuno di loro è destinato a veder prima o poi delusi, trasgrediti o sbeffeggiati i propri piani. Come ha specificato Giorgio Manganelli, Pinocchio risulta, in questo senso, un «animale da fuga»: sempre «di corsa» da un capitolo all’altro, non si sottrae soltanto ai raggiri del Gatto e della Volpe, alle brame di quanti vogliono friggerlo in padella o alle ambizioni materne della fata Turchina, ma anche al proposito scioperato di «correre dietro alle farfalle», che lui stesso, nelle prime pagine della fiaba, formula per sé al cospetto del Grillo-parlante. Incapace di ubbidire ad ogni sorta di programma definitivo, il burattino si configura dunque, a tutti gli effetti, come un personaggio determinato a scappare di mano. Il primo a dover scontare le conseguenze di questa riottosa vitalità, d’altro canto, fu lo stesso Collodi, che si trovò ben presto prigioniero di un’entità narrativa ingombrante.
Quando lo scrittore consegnò a Guido Biagi, responsabile del «Giornale per i Bambini», i primi episodi della fiaba, aveva già alle spalle una carriera di giornalista e romanziere, che lo aveva condotto a pubblicare Un romanzo in vagone (1856), I misteri di Firenze (1857) e due raccolte di racconti, cronache, schizzi umoristici intitolate Macchiette (1879) e Occhi e nasi (1881). Si tratta – secondo Alberto Asor Rosa – di una produzione «frastagliata» e «sfarfallata», che nei confronti del lavoro letterario testimonia un atteggiamento trascurato e «riduttivo», pronto a riversarsi anche su Pinocchio. Come ci rivela il discontinuo ritmo di pubblicazione delle diverse avventure, Collodi cercò infatti, in più di un’occasione, di abbandonare la stesura delle peripezie del burattino prima della sua agognata trasformazione in ragazzo. Furono le esigenze economiche e le insistenze del pubblico che, tuttavia, lo convinsero a proseguire anche controvoglia, e a sviluppare fino in fondo le potenzialità inscritte in un personaggio dalle dirompenti attrattive.
Non c’è da stupirsi allora se l’indolente Collodi, sopraffatto dalle forze di un’idea letteraria ribelle, reagì manifestando nei suoi confronti una sorta di punitivo, insofferente sadismo. Basta rileggere il racconto, e inseguire Pinocchio nei suoi andirivieni, per accorgersi che alle sue spalle si profila l’ombra di uno scrittore-burattinaio spietato e ingegnoso nell’architettare un percorso di vessazioni, torture, patimenti a catena. Da una parte all’altra del libro, il burattino viene colpito, truffato, deriso, mutilato, sottoposto in continuazione ai morsi della fame, alle ristrettezze della miseria, ai colpi, agli insulti e alle angherie mortali di quanti lo circondano. «La crudeltà di Collodi – ha commentato a questo proposito Mario Lavagetto – è raffinata, sottile, instancabile». E non sempre la vediamo impiegata a punire la trasgressione o la disobbedienza del burattino: persino quando è ancora un immobile e innocente pezzo di legno da dirozzare, Pinocchio è costretto a subire le gratuite percosse di Mastro Ciliegia, che, inquietato dalla sua «vocina», prende a «sbatacchiare» il ceppo di legno contro le pareti del suo laboratorio di falegname.
«Seguimi brutale lettore»
Può darsi allora che il sadismo vada ricollegato a ragioni d’ordine più generale, riguardanti l’universo delle fiabe. Le fiabe – scriveva Calvino – sono «vere», perché nelle loro trame è possibile riconoscere una specie di catalogo esaustivo dei destini umani. Non importa poi che quelle stesse trame siano dotate di un dispositivo consolatorio, e che nei loro finali, all’insegna di una magica politica del riequilibrio, il male venga per lo più soppiantato e sconfitto dal bene. Quando varchiamo l’incantato territorio della narrazione fiabesca, possiamo star certi che accanto a principi azzurri, nani servizievoli e provvidenziali cacciatori, ci imbatteremo in fanciulle schiavizzate, tetre matrigne, mele velenose, boschi infestati da lupi voraci, e in tutta una nutrita serie di eroi ed eroine costretti a sopportare prove disumane e atroci supplizi. Se dunque possiamo concordare ancora una volta con Calvino in merito alla paradossale «verità» della fiaba, dovremo accettare allo stesso tempo il fatto che il narratore delle fiabe, gettando un ponte sul vero, ci chiama ad essere spettatori e complici delle feroci brutalità connaturate alla vita «reale».
«Seguimi, brutale lettore, e considera a quali mani ingegnose e crudeli sono stato capace di affidare il mio eroe ridicolmente vulnerabile». È questo – secondo quanto affermava Nabokov in una delle sue Lezioni sul Chisciotte – l’appello che sentiamo risuonare fra le pagine della letteratura crudele; ed è questo stesso appello che, in qualche modo, ci apprestiamo a seguire quando entriamo nella singolare «stanza di tortura» rappresentata dalle Avventure di Pinocchio. Chi insegue Pinocchio lungo un itinerario di errori dovuti alla sua incorreggibile ingenuità, non cerca nel burattino un eroe con cui identificarsi. E dal momento che la liberatoria trasformazione in bambino viene rimandata fino all’ultimo capitolo, il piacere del lettore non può che concentrarsi sugli spettacoli di un patimento quasi senza sollievo; risiede, in altre parole, nel veder precipitare il burattino fra le reti delle prevedibili sciagure, di volta in volta profetizzate, con puntuale chiaroveggenza, dalla «vocina» del Grillo-parlante e di altri personaggi-oracolo. Anche le immagini – in particolare quelle di Mattotti – collaborano, in questa prospettiva, a cristallizzare e ad esaltare il processo di tortura e lo spettacolo del patimento. Da una parte, i disegni di Mattotti, con le loro linee mobili e inquiete, tentano di riprodurre con verve «espressionistica» le spericolate corse di Pinocchio verso la sofferenza; dall’altra, le congelano in una galleria di icone memorabili, suggellando le sequenze essenziali di una fiaba che – dichiara Mattotti nell’intervista a Varrà – ha da sempre esercitato sull’artista un «potere orrorifico».
A quanti si domandassero se poi, in questo modo, Pinocchio sia stato definitivamente catturato, replica Mattotti: «Per quanto ci lavori da anni, credo di no. E forse non si dovrebbe nemmeno».
Pubblicato sul Manifesto, sabato 6 dicembre 2008
Ho trovato la manifestazione veramente ben fatta.
Idea vincente e organizzazione che ha voglia di imparare dai propri errori.
Un artista come Di Sabatino andava fatto suonare all'inizio per evitare la classica fuga dei teramani per la pasta con le pallottine. Sapevo della sensibilità del dott. Daidone e ho trovato l'intervento del Professore Befacchia veramente ben prodotto. Conoscevo la prosa di Falconi ma il mio corteggiamento ha avuto meno fortuna di quello del dott. Daidone. A Ottobre, caro dottore mi presenterò così da farmi spiegare.
Vi auguro ogni bene.