In Corso San Giorgio si continua a scavare. Sotto controllo da parte della Soprintendenza Archeologica di Chieti, il cantiere aperto per il rifacimento dei principali assi viari del centro storico continua a regalare sorprese. E parlo di sorprese, evitando riferimenti alle scoperte, poiché nulla di definitivo è attualmente all’orizzonte. La Soprintendenza, giustamente, ha chiesto tempo per valutare ciò che è emerso e chi conosce i beni culturali sa che per verificare con la dovuta precisione l’importanza storica, artistica o antropologica di un elemento sinora sconosciuto occorrono tempo, mezzi e serietà scientifica nell’approccio ad esso.
La Soprintendenza attende e studia.
La Città attende e si informa.
Il sindaco dichiara che probabilmente si tratta dei resti di un porticato ottocentesco.
Questione di serietà, di scientificità o forse di magia.
Nel frattempo, come ben si rileva da queste fotografie, gli archeologi studiano le tracce del famoso porticato ottocentesco del rabdomante Brucchi.
Sul “Bollettino mensile del Comune di Teramo” dell’aprile 1934, Luigi Savorini pubblicava la sua “Introduzione storico-artistica agli studi del piano regolatore” della Città. Opera senz’altro assai nota al sindaco per il quale ciò che è presente sul Corso San Giorgio «di storico non ha nulla».
Quel fesso di Savorini, pace all’anima sua, addirittura definiva questo grande asse viario come «l
a diretta prosecuzione del cardo dell’antica Interamnia». E come Savorini, anche Melchiorre Delfico, anche Pietro Marcozzi, anche Francesco Statella di Spaccaforno, anche Berardo Costantini (tutti nomi che il sindaco e gli assessori conoscono profondamente, s’intende) vedevano quella strada nella stessa maniera. Nulla di importante, ovviamente, a fronte della magnificenza delle scelte delle giunte Brucchi.
Ebbene, prima dei lavori di ampliamento e di abbellimento del Corso, di cui il Savorini ci ha lasciato notizia, «una fila di angusti portichetti fiancheggiava» la strada, «comodo ricetto al commercio ambulante e riparo contro le intemperie alle genti del contado nei giorni di fiera». Questi portichetti «a lungo andare avevano acquistato un aspetto indecentissimo, per cui Melchiorre Delfico, dopo il 1823, pensò di abbatterli». Ebbe inizio così «quell’opera grandiosa di ampliamento del Corso teramano (il più maestoso che vi sia in Abruzzo)», che spinse lo stesso Savorini ad auspicare che i teramani potessero, «per questa via così ampliata ed abbellita, veder passare in perpetuo la gloria d’Italia»
Tra «portichetti», «gloria d’Italia» e «cardo dell’antica Interamnia», Corso San Giorgio di storia da raccontare ne avrebbe pure. E non solo quella ottocentesca. Se soltanto, tra una cretinata e l’altra, tra un ipogeo e un museo della fantasia con annesso hotel per graffitari, si avesse non dico l’approccio scientifico, ma quanto meno il buon senso di attendere e di valutare con serietà ciò che la storia ha da dire, senza sparare sentenze e proporre arbitrarie conclusioni, probabilmente si riuscirebbe a rendere un servizio migliore alla Città, ad evitare brutte figure nell’eloquio su aree urbane «che di storico non hanno nulla» e soprattutto ad evitare lo scontro con grandi personaggi del passato, quale quel povero fesso di Savorini, che di storia, ahimé, qualcosina sapeva.
Scontro ovviamente sfavorevole per gli attuali inquilini di Piazza Orsini. Ma è superfluo anche soltanto sottolinearlo. Sarebbe come paragonare il manierismo pittorico cinquecentesco con le pitture rupestri dentro qualche caverna. Sant’Antonio e il porco, per intenderci.
Fabrizio Primoli
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