Quando nel 1994 Silvio Berlusconi scese in campo, l'italiano medio (lo stesso che aveva indossato e contestualmente subito il cattivo costume della Prima Repubblica) ritenne che finalmente una rivoluzione in senso liberale e liberista sarebbe stata possibile nel Paese.
Autorevoli opinionisti, inoltre, affermarono che un imprenditore di successo avrebbe potuto applicare le regole della new economy anche alla politica, all'Amministrazione dello Stato, modernizzando e producendo buone leggi. Ricordo quel 26 gennaio del '94 quando con un radioso e "commerciale" sorriso il Cavaliere pronunciò il famoso discorso: «L'Italia è il Paese che amo..........». Il nuovo "miracolo italiano" si rivolgeva ad attori ben precisi: gli italiani del Nord, quelli delle partite IVA, gli italiani piccolo-borghesi sempre più impoveriti ed emarginati, gli italiani delle periferie, dei quartieri popolari che avevano votato da sempre a sinistra e che continuavano a vivere nei ghetti, i meridionali orfani della DC etc. etc.
A quasi vent'anni di distanza il bilancio, a dir poco deludente, è sotto gli occhi di tutti. Anche di coloro che del "cerchio magico" berlusconiano fanno (facevano) parte: Martino, Pisanu, Letta, Micciché, Urbani e tanti altri. C'è chi tra gli italiani, scevro da partigianeria politica ma forse più lungimirante, avveduto, smaliziato, si consola affermando: «io l'avevo detto».
Bene! Prima o poi gli italiani torneranno a ridisegnare il loro futuro politico e, magari, ci si augura, con una legge elettorale decente e degna di un paese civile. Ci si confronterà su programmi, ricette, soluzioni, formule di buon governo. Il tutto condito dalla volontà espressa da molti di abbattere la "casta", i privilegi, lo spreco. Una battaglia giusta ed un traguardo legittimo da raggiungere, a patto che si accompagni ad essa il rifiuto categorico dell'ipocrisia.
In che senso? E che c'entra l'ipocrisia?
Corre l'obbligo di fare due premesse.
1) La storia degli italiani così come la tradizione della nostra educazione, impartita a scuola e dai genitori, ha da sempre evidenziato un profondo rispetto per le Istituzioni e gli uomini che le rappresentano. Ma si ha rispetto dell'altro se in primis se ne ha della propria coscienza.
2) Dalla seconda metà degli anni '90 in poi -complice inevitabile proprio l'avventura politica di Berlusconi - gli italiani hanno cominciato ad associare sempre di più la politica ai termini "produttività, prodotto, lavoro"; ragion per cui il politico di mestiere, almeno nella volontà dell'elettore, deve essere sostituito dall'uomo pratico, concreto, meglio ancora se proveniente dal mondo delle più svariate professioni.
Ecco allora che, in forza delle premesse e da giovane precario, osservo l'ipocrisia del nostro Presidente della Repubblica. E, nel rispetto della carica che egli ricopre e grazie alla quale impartisce con giustezza lezioni di politica ( ma in un mondo di orbi l'uomo da un occhio solo impera ) non mi chiedo quanto costa agli italiani la Presidenza della Repubblica (se ne conoscerà mai la reale cifra?), bensì mi domando: che lavoro ha svolto nella sua vita il Sig. Giorgio Napolitano? E non mi rispondo, in perfetto politichese, che è stato "uomo delle Istituzioni", poiché ciò non è da considerarsi un mestiere ma un "servizio" nel senso più aulico del termine e soprattutto, a termine.
Alla fine della Prima Repubblica nel 1992 è stato Presidente della Camera, successivamente Ministro degli Interni, Europarlamentare, Senatore a vita. Precedentemente fin dal 1953 deputato, tranne nelle VI legislatura. Dirigente del PCI, appartenente all'ala migliorista - quella togliattiana per intenderci- abile nel passare dall'essere filosovietico (per i fatti d'Ungheria del 1956 sostenne che l'URSS sparando sui cittadini di Budapest contribuiva a "rafforzare la pace nel mondo", salvo poi pentirsi) ad essere tra i pochi di "Botteghe Oscure" ad avere libero accesso nelle cancellerie d'Occidente.
Insomma! Professione politico.
Ecco, dunque, il Premier ed il Presidente. È diventato sport nazionale criticare l'uno ed osannare l'altro. Mi piacerebbe, viceversa, che gli italiani nell'augurarsi respiri di libertà, la svolta del Paese, il cambiamento, il lavoro che non c'è, la sicurezza che manca, il futuro per i giovani, la dignità che è avvilita........, e senza vilipendere alcuna Istituzione cominciassero ad avere più rispetto per la propria coscienza e conseguentemente fossero meno ipocriti.
Alessio D'Egidio
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