Quando penso al romanzo “Thérèse Raquin” di Emile Zola immagino sempre un quadro di Edgar Degas, “L’Assenzio”, che ritrae in un Caffè di Parigi l’attrice Ellen Andrée e l’incisore Marcellin Desboutin, storditi dall’assenzio.
I due soggetti siedono vicini, ma il loro sguardo non s’ incrontra: la coppia è logora e l’amore che un tempo li ha legati è consumato.
Anche l’ambiente acquista una propria vita, diviene macchina scenica più o meno casuale che stritola l’esistenza dei personaggi.
Fuori è rumore, frastuono, movimento, ma dentro quelle anime c’è solo il vuoto. Sono atomi di un mondo frenetico, con le loro speranze e le loro giovinezze deluse e umiliate, travolte nei vizi della città. Dietro le apparenze entusiasmanti della Belle Epoque si nascondono ambienti sordidi, povertà, lacerazioni emotive.
“Thérèse Raquin” è del 1867 ed è già pensato dall’autore come “tranche de vie”: Thérèse è un’adultera come Emma Bovary e anche il suo carattere appare alla stessa maniera fragile e appassionato, anche se sotto parvenze di energia e coraggio. A lungo tutti pensano che la donna sia passivamente piegata al grigiore dell’esistenza.
Vive con una zia di cui sposerà il figlio paralitico, Camillo, senza riuscire a trovare in sé la forza per ribellarsi al proprio destino già segnato.
Poi, però, arriva imprevisto l’amore, quello travolgente e totalizzante che libera con violenza la sua personalità assopita.
E medita allora con l’amante Lorenzo l’omicidio del marito, che non realizzerà materialmente, ma ispirerà. Camillo viene ucciso durante una gita in barca. Allora Thérèse sposerà Lorenzo, con l’approvazione della vecchia zia, ingenua e ingannata.
Tuttavia non sarà la giustizia a condannarla, ma la legge morale: dentro sé maturerà un acuto male interiore, gravato da incubi che la tormenteranno. L’amore non reggerà al delitto e la follia del gesto si tradurrà in un rancore profondo. Il mondo allora diventerà insostenibile e Thérèse e Lorenzo si avveleneranno di fronte alla vecchia Raquin, paralizzata e ormai muta.
Gli occhi della donna avranno allora un lampo di conforto: finalmente potrà morire sapendo che gli assassini del figlio non le sopravviveranno.
Nella premessa alla seconda edizione del romanzo, Zola, per difendersi dall’accusa di immoralità, così scriveva: “In Thérèse Raquin ho voluto studiare dei temperamenti e non dei caratteri: gli amori dei miei due protagonisti sono il soddisfacimento di un bisogno; l’assassinio che commettono è una conseguenza del loro adulterio (…); insomma quello che sono stato costretto a definire il loro rimorso consiste in un semplice disordine organico, in una ribellione del sistema nervoso teso fino a spezzarsi(…).
Il mio scopo è stato anzitutto uno scopo scientifico”.
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