11 giugno 2004 - Ancora storditi dal brusco risveglio, cerchiamo conforto nell’ottimo caffè di Tonino e ci imbattiamo nel “proletario” di turno*, torvo e incravattato alla “forzista”, che inveisce ad alta voce contro i “falsi compagni imborghesiti”. La provocazione è destinata ad un dignitoso e serio esponente DS che sopporta in silenzio lo stupido e gratuito dileggio. Ci defiliamo, per non assistere all’ennesima becera speculazione di certa sinistra pacifista e corta di memoria che non ricorda quel che non conviene. Il pensiero corre alle sotterranee incursioni notturne di fine festival provinciale, quando l’Armando (Cossutta), dopo il comizio di chiusura, circuiva il compagno oppositore di turno e lo comprava a suon di rubli, mettendolo contro la linea ufficiale del Partito.
Zizzania contro Enrico, zizzania prezzolata, seminata a piene mani dai compagni di Mosca, nemici della pace e del proletariato, amici storici del compagno Diliberto. Cerchiamo altri pensieri. Tra qualche giorno si vota, e siamo un poco insoddisfatti ed inquieti. Consapevoli che tutto è campagna elettorale, tutto è funzionale a questo, senza rispetto neanche per i morti. Anche l’annuncio di Fassino per la commemorazione post-elettorale di Enrico Berlinguer, (è prevista il 17 giugno in parlamento) ci appare come un sapiente esercizio mediatico e niente più. Pensiamo male perché a questo la politica ci ha abituati.
Non ci sono più uomini che muoiono in una triste sera di giugno su di un palco (era l’11 giugno 1984), rapiti da un ictus che già s’era preannunciato in albergo. Un whisky una turmac e via, tra la folla, tra la sua gente che di lui si nutriva come ci si nutre di un ostia pagana. Dolce Enrico, un poco goffo nelle sue ruvide giacche di taglio popolare, tanto distanti da quelle d’alta sartoria del compagno Bertinotti, alfiere del proletariato pacifista. Onesto Enrico, ricco di famiglia ma sempre rispettoso della dignitosa povertà di chi “ciecamente” lo votava. La sua morte apparve a tutti come un dramma, una perdita incolmabile, raccontata per settimane dai giornali e dalle deferenti testimonianze dei suoi avversari. Per lui Almirante varcò per la prima ed unica volta la soglia di Botteghe Oscure e rese omaggio all’avversario politico. Per lui Pajetta accolse il “nemico” senza inveire, accompagnandolo alla bara. Altri tempi, sicuramente più dignitosi di questi giorni infami e vigliacchi che sempre più ci allontanano dalla politica. Ogni italiano dovrebbe conoscere le parole che Enrico volle dedicare alla memoria di un giovane fascista. Pervenuteci solo grazie a un bell’articolo di Sebastiano Messina datato 1998: (…) Quando seppe che un ragazzo di vent’anni, Paolo Di Nella, era stato ucciso a Roma mentre attaccava manifesti del Fronte della Gioventù, mandò alla famiglia un telegramma che conteneva “il commosso compianto dei comunisti per il vostro giovanissimo Paolo, vittima di una aggressione disumana”. Un telegramma certo, ma un telegramma più pesante di mille manifestazioni contro Berlusconi. Oggi sappiamo che Berlinguer ed Almirante s’incontrarono più volte. Segretamente, contro la volontà dei loro militanti. Lo facevano per tentare di sconfiggere la violenza politica di rossi e neri l’un contro l’altro armati. Al suo segretario particolare una volta Almirante spiegò: “Vedi, io ho vissuto la guerra civile italiana. E’ stato allora che ho imparato a camminare radente i muri e ad ascoltare i passi alle mie spalle. Ecco, questo paese non può permettersi un’altra guerra civile. Per la semplice ragione che non ha nel suo sangue gli anticorpi per sopravvivervi”. Berlinguer, il comunista, il nemico, aveva ai suoi occhi il merito di essersi schierato nettamente e con coraggio contro i terroristi rossi. E dopo quei colloqui segreti, Almirante volle dargliene un pubblico riconoscimento: “Voglio essere onesto – disse in un’intervista – io non credo che il Pci alimenti il terrorismo…” (...) Noi convinti anti-comunisti, strenui anti-fascisti… sostanzialmente anarchici; vogliamo dedicare ad Enrico queste nostre modeste parole che sinceramente si mescolano alle lacrime ricacciate in gola quando ricordiamo il suo nome.
Palmiro il peggiore
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