Un sabato italiano. Sergio Caputo, qualche anno, celebrava ovvietà e scontatezze del fine settimana. Un sabato lontano dal villaggio e da Leopardi. Il sabato dei teramani è da sempre strutturato su amabili luoghi comuni: lo struscio classico con le “vasche” che ti spingono fino ai portici dell'Aci e ti fanno rigirare tassativamente alla Prefettura, confini di un microcosmo ovattato e periferico in cui è difficile sganciarsi dalle abitudini. E' lì che si consumano gli sguardi ricambiati oppure no, il gossip leggero da “venticello calunnioso” e quello più avvelenato, il bustone della boutique da portare a spasso per dire a tutti che ci siamo comprati qualcosa di nuovo e di bello che ora si è autorizzati ad invidiarci.
Tutto stipato in quel mozzico di corso. Da sempre. In quell'ora. In quel giorno di sabato che, di tutto questo, è la summa. L'apoteosi. E' vero che centri commerciali e piazze e corsi “virtuali” hanno apportato qualche modifica ma che i ragazzini il sabato pomeriggio si danno appuntamento davanti all'Oviesse è un dato di fatto, così come lo è la passeggiata di anziani che camminano in gruppetti di tre o di quattro gustandosi i passi. Il sabato teramano è questo. Familiare come l'odore nella cucina di casa del ragù della domenica, come lo specchio del bagno dove controlli di esserti tirato a lucido per le aspettative della serata che, ci puoi scommettere, finirà invece solo “a tazze”.
Per questo è intollerabile quello che si è visto sabato in corso San Giorgio. Rossi e neri, l'un contro l'altro armati. Di violenza. Di slogan che trasudano odio. La sensazione è di essere risucchiati, come Alice, nel gorgo. Trent'anni prima. Gli anni di piombo. È intollerabile che in un posto come Teramo l'odio tra fazioni politiche si tagli a fette come il pane, dentro a un sabato sera messo all'improvviso sotto assedio e sotto scacco da qualcosa che non ci appartiene. È intollerabile che la città si presenti blindata alle famigliole che con queste cose non hanno dimestichezza e nemmeno ce la vogliono avere, vogliono solo mangiarsi una pizza mentre guardano nelle vetrine se c'è qualcosa a buon prezzo da comprare per il Natale di qualcun altro perché per il proprio non bastano i soldi.
È intollerabile che non ci si interroghi a sufficienza, altrimenti si sarebbe trovata una qualche risposta!, su questo nuovo spirito di odio politico. E non basta parlare di intolleranza, che fa venire in mente quella alimentare e non calza a quello che si è visto. Non ci appartiene il corso con le forze dell'ordine in tenuta antisommossa. Non ci appartengono i cori violenti, gli insulti, lanciati tra i ragazzini che passano e intanto scattano foto e video perché è figo e loro una cosa così non l'hanno mai vista. Malessere. Disagio. Una città come non l'avremmo voluta vedere.
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