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Come Herr Ulrich Schmidt acquistò l’appartamento della signora Maria a Giulianova.

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Come Herr Ulrich Schmidt acquistò l’appartamento della signora Maria a Giulianova.
 
La signora Maria ha sempre seguito con finto disinteresse le scelte fondamentali della sua amica, la signora Giovina. Quando nel lontano 1988 quest’ultima le annunciò trionfante, nel corso di un invito per un tè che le sembrò convocato appositamente, che lei e il marito avevano appena firmato il compromesso per l’acquisto di un appartamento “in prima fila” a Giulianova, “vicino al Marechiaro” e “a un piano alto”; la signora Maria ebbe una grande difficoltà a nascondere il risentimento e l’invidia che irresistibilmente le salivano da sotto il cameo di Padre Pio che portava sempre al petto.
 
“Stasera mi riviene Gesualdo dalla Svizzera col camio e non ho preso ancora il pane” disse abbassando gli occhi in cerca di un veloce congedo. In 180 secondi sgambava già veloce nel sottopasso di Piazza Garibaldi e si chiedeva, confusa e smarrita, come avesse fatto la sua amica a prendere in così poco tempo tanto vantaggio. “Senza fare il mutuo” aveva rincarato la signora Giovina, concludendo con “adesso abbiamo chiamato l’impresa per rifare i bagni e mettere il parquet”. Il colpo di grazia, praticamente. Non le aveva risparmiato nulla.
 
Ripresasi dallo choc, si era decisa che, magari non per quella estate, ma per il 1989 avrebbe avuto anche lei un appartamento al mare. Ne aveva parlato con Gesualdo, il quale aveva proposto un piccolo mutuo e l’acquisto di un terza fila ad Alba Adriatica. Era, effettivamente, tutto quello che si potevano permettere. Anche se secondo Gesualdo potevano andare benissimo avanti con l’affitto agostano davanti al molo sud di Giulianova.
 
Era stato coinvolto nella discussione anche Guerino, suo figlio, titolare di una piccola impresa di sub-appalti edili. Guerino  di recente aveva anche lui praticamente in contanti comprato casa in zona Piano Solare, e aveva acconsentito ad accompagnare la madre da un suo amico che lavorava alla Banca Popolare. Alla fine il diavolo ci aveva messo la coda, e tra un mutuo ventennale, un discreto anticipo tirato fuori da un pegno sull’appartamento di Guerino, e un suggerimento proprio di Giovina “che di recente aveva cercato a Giulianova”; avevano tirato fuori la somma necessaria per accontentare un signore di Milano che vendeva proprio sul lungomare a Giulianova davanti al Venere, sopra la gelateria “Oasi”.
 
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Gli anni ’90 e gli anni 2000 erano andati tutto sommato bene per la signora Maria, nonostante la scomparsa del marito Gesualdo, morto di infarto nell’estate 2007. Nel 2009 il mutuo sull’appartamento di Giulianova era stato regolarmente chiuso, e le estati erano passate serene tra qualche screzio con la sua dirimpettaia di ombrellone.
 
A novembre del 2011, però, l’attività di Guerino era arrivata ad un binario morto: pochissime commesse, ritardi anche di anni negli incassi dai clienti e, dopo qualche mese di anticipi per gli stipendi dei 5 operai, la banca aveva bloccato i conti e chiesto il rientro per oltre 120 mila euro. Quando Guerino era andato a discutere la sua pratica con il responsabile dei crediti del Monte dei Paschi, avevano pesato non poco le posizioni personali del piccolo imprenditore, ancora esposto personalmente per il leasing della sua BMW X6, comprata l’anno prima dopo la separazione con la moglie, e una sfilza di bimestri della carta di credito da oltre 6mila euro con strisciate di alberghi, casinò e ristoranti a Campione, Saint Vincent, Venezia e Montecarlo.
 
Era dovuta intervenire Maria col suo appartamento al mare, dato in garanzia a fronte di un piano di rientro del figlio basato sul consolidamento dei 120mila euro e fidi ulteriori per altri 50mila, il necessario per far ripartire una commessa su un cliente importante a L’Aquila.
 
All’inizio il non più giovanissimo Guerino aveva tirato dritto, andando a dormire preso la notte e coprendo le prime tre rate trimestrali del consolidamento del debito, per un totale di oltre 20mila euro. Poi il diavolo ci aveva di nuovo messo la coda, materializzatasi sia nella forma di un blocco ai lavori del cliente importante dell’Aquila per sospette vicinanze camorristiche che in quella molto meno resistibile di una fidanzatina brasiliana conosciuta in un ristorante a Francavilla a Mare.
 
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Il 9 novembre del 1989 Ulrich Schmidt guardava sgomento i ragazzi che saltavano sul muro a Friedrichstrasse. Il check-point era stato aperto da qualche ora, e degli agenti della polizia avevano detto dai megafoni della loro vecchia Lada 124 che sarebbe stato possibile andare a fare una passeggiata a ovest ma che “non avevano informazioni in merito al diritto di rientro nel settore di loro competenza”. Lui aveva oltrepassato il gate, che era stato aperto poche ore prima, tra un fiume di gente che sembrava impazzita. Alcuni, appena arrivati a ovest, si buttavano per terra, baciavano il selciato e si facevano innaffiare di birra nonostante il freddo della notte.
 
Vestiva il suo dignitoso completo nero con la cravatta appena slacciata sotto al cappotto un po’ infeltrito dal tempo. I suoi concittadini più giovani erano corsi a casa a mettere su le scarpe adidas e le felpe sportive comprate ai mercatini abusivi prima di effettuare il grande debutto all’ovest. Le ragazze più carine avevano la minigonna e si abbracciavano e baciavano con i nuovi amici dell’altra parte del muro. Tutti urlavano, bevevano e saltavano. Lui, come in trance, proseguì fino alla fine del viale alberato e stette a sedere su una panchina in una via deserta della parte ovest della città. Aveva alle spalle un canale che portava una fredda brezza densa di umidità e davanti le finestre illuminate dei soggiorni in cui si intravedevano persone che brindavano e indicavano gli schermi dei televisori accesi.
 
Si era già accorto, a 47 anni, che la sua vita sarebbe cambiata. Ulrich era il direttore dell’Ufficio Postale di Weissen See, e quella sera aveva camminato per i 2 km che lo separavano dal muro con un misto di eccitazione e apprensione. Già nelle ultime settimane si parlava che qualcosa sarebbe successo, che tutto sarebbe cambiato, ma lui non ci aveva dato peso. Avrebbe dovuto rivedere la sua vita, imparare ad usare un computer, forse rifare il guardaroba. Impossibile. Sarebbe rimasto tutto uguale.
 
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Gli anni ’90 erano stati difficili, per Ulrich. L’ufficio postale lo aveva sostituito nel 1992, quando gli occidentali di Deutsche Post avevano implementato il nuovo sistema di controllo di gestione basato sul software SAP. Gli era stato riservato il ruolo di capo usciere alla sede centrale di Unter den Linden, vicino alla Porta di Brandeburgo, ma aveva resistito qualche mese. Dopo aver risposto ad un annuncio su un giornale, era stato assunto dalla Commerzbank come autista al servizio del team dell’amministratore delegato. Almeno se ne andava in giro ben vestito, con un cappello quasi da ufficiale e una fiammante S-Klass nera, che aveva il compito di tenere sempre lucida e con benzina e tagliandi a posto. La sua passione per le lingue gli aveva consentito di fare bella figura al colloquio, e ora andava a prendere i pezzi grossi che arrivavano da Londra o da New York e intratteneva con loro conversazioni sullo stato dell’economia o sui migliori ristoranti di Berlino.
 
La sua vita personale, però, non poteva riservargli grandi soddisfazioni. I suoi risparmi in marchi tedeschi erano sì stati convertiti alla pari nel 1990, evitandogli così un crollo del 80% e oltre di valore, ma sua moglie lo aveva lasciato solo pochi anni prima e il suo stipendio dell’ovest, date le misure di austerity imposte per finanziare la riunificazione, gli consentiva molto poco oltre a coprire il mutuo agevolato dei dipendenti Commerzbank per il suo nuovo appartamento. Si era da poco trasferito in una casa piccola ma localizzata proprio nella via in cui anni prima si era fermato ad ammirare i nuovi concittadini chic e occidentali guardare la storia che passava, quella sera, sugli schermi dei loro TV color.
 
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Le misure di ristrutturazione del debito nazionale italiano del 2013 avevano comportato un taglio del valore dei titoli di Stato del 30%, e il Monte dei Paschi, che aveva fatto ricorso spinto ai “soldi di Draghi”, si era ritrovato in condizioni di patrimonio netto negativo per oltre 25 miliardi di euro. La gloriosa banca italiana, fondata nel XV secolo e letteralmente prima culla mondiale dell’innovazione finanziaria, era così passata ad un consorzio di salvataggio di cui facevano parte Commerzbank, Deutsche Bank e Goldman Sachs.
 
Tra gli attivi di Monte dei Paschi c’era anche l’appartamento di Giulianova della signora Maria, che era stato escusso come garanzia nell’estate dell’anno prima quando Guerino aveva mancato il pagamento delle rate della ristrutturazione dei suoi debiti per la terza volta consecutiva.
 
Questo appartamento era stato assegnato, nell’ambito della negoziazione di un pacchetto di pensionamento, proprio a Ulrich Schmidt che ne aveva fatto richiesta specifica una volta che aveva saputo che la banca proponeva a titolo di liquidazione anche alcuni tra i suoi beni. Giulianova gli era rimasta nel cuore, dopo quella volta che ci era stato con la moglie in un settembre verso la fine dei ‘90. Era stata l’ultima vacanza con Christine prima dell’abbandono, e lui ricorda che, passeggiando sul porto, l’aveva stretta a sé e aveva pensato che sin dai tempi del liceo a Pankow lei sarebbe sempre rimasta l’unica donna che avrebbe mai potuto amare.
 
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“Mammà mi raccontava dei tedeschi con le armi, ma che non aveva paura” – commentava la signora Maria con le amiche seduta sulle scalette di casa sua giù allo zoo profilattico. “Questi, mò, arrivano tutti belli rivestiti e – “crazie, preco” ti si pìgliano tutto!”


 

               Marco Moschetta

Tavola tratta dal Sor Paolo 295 del 7 agosto 2011
 

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Commenti

Bello! La globalizzazione spiegata in forma di racconto. Marco Moschetta, ci stai a candidarti a Teramo se nasce una lista civica seria?
Bello! Proprio bello!
Gradevole e istruttivo sulla crisi che attraversa il ceto medio. Adesso mi aspetto un racconto ispirato a Giovanni e Pasquale, i quali alla fine degli anni settanta, da ventenni disoccupati, viaggiavano agevolmente in autostop e riuscivano a sbarcare il lunario racimolando facilmente, dai passanti di Corso San Giorgio e dei Tigli, gli spiccioli per il panino e le sigarette. Oggi gli stessi Giovanni e Pasquale, più che cinquantenni e ancora disoccupati dopo brevi periodi di lavoro precario, non riescono più a competere con l'agguerrita concorrenza cercatana e spesso saltano il panino del pranzo, rinviando l'indispensabile sostentamento allo spuntino serale offerto dalla Caritas. Per gli spostamenti hanno da tempo rinunciato alla ormai inutile autostop (non si ferma più nessuno a caricarli), e quando (il più delle volte) non possono permettersi il mezzo pubblico, ricorrono alle loro privatissime gambe. Anche loro rimpiangono i bei tempi che furono.
Onestamente mi chiedo dove vediate spiegata la globalizzazione in questa sorta di romanzo. E soprattutto dove incontriate qualità sufficienti per "canidare" l'autore. Spiegatemi perchè davvero mi sono perso.
Caro Bakunin: onorato ma per il momento ho il mio lavoro che mi assorbe e mi consente, ancora, di far fronte ai crescenti impegni fiscali. credo di essere più utile alla causa da questa parte della barricata, e spero ve ne siano meno di politici. Non intendo, per il momento, unirmi alla prevedibile ressa di vecchi & nuovi che si prepara a sbarcare il lunario a spese della collettività. In bocca al lupo per la vostra lista e se volete e ci troviamo con i programmi sono a disposizione per prestare nel mio piccolo la mia opera, gratis, nell'elaborazione di un "Manifesto". Qualche idea ce l'ho. Ma mi devi dire chi sei. La curiosità mi divora. Puoi sempre trovarmi alla mia email marcomoschetta@yahoo.com Caro Sottoproletario: se Giovanni e Pasquale, invece di bighellonare a spese dei buonisti tra il corso e i tigli, magari si fossero chiamati Yuri e Uliano, e avessero frequentato le sezioni del Pci che so io di Reggio Emilia o di Modena, avrebbero assorbito l'orgoglio socialista del lavoro e della realizzazione materiale (e materialista), sarebbero diventati tornitori specializzati o periti meccanici superando vari obiettivi Stakanovisti e oggi avrebbero varie alternative, anche se la loro ditta, Maggi&Ghisolfi Srl, fosse fallita. Alla soglia dei 50 sarebbero lavoranti "consulenti" alla Rossi Riduttori di Modena o alla Ima di Bologna, e andrebbero in giro per il mondo a rettificare macchinari complessi rientrando al fine settimana a fronte di compensi di oltre 5.000 euro/mese. Caro Veritas: la mamma dell'Euro è la riunificazione tedesca, il suo papà il processo di globalizzazione. Il frutto di questa unione di destini storici è proprio lui, l'Euro, che oggi dovrebbe consentirci due cose: 1. nell'immediato, di competere come area economica a livello globale vs. l'area USA e quella emergente Asiatica 2. in termini "mediati" di arrivare ad una unione politica più stretta che crei la disciplina di bilancio comune e regole condivise a livello continentale I risultati di 1. si sono visti dall'immediata costituzione dell'Euro (vedi il crollo del costo del debito pubblico italiano, ad esempio, dal 12% al 4% a partire dal 1998-99). La linea di unificazione politica più stretta è stata da qualcuno presa sul serio (Germania) da altri (Grecia, Italia) ignorata per oltre 12 anni. Oggi tutti chiedono alla Merkel di "aprire i cordoni della borsa" per salvare la baracca, ma 1. La Germania ha già tirato fuori oltre 250 miliardi per i vari "fondi salvastati" e 2. Non si vede perchè gli elettori tedeschi che vanno in pensione a 67 anni debbano pagare per greci o francesi che vanno in pensione a 60 e che pretendono una settimana lavorativa di 35 ore. PS. Per il momento non ho nessuna intenzione di candidarmi. E ti confesso anche che se lo facessi, non avrei speranze: vedo che ancora oggi la gente chiede "il postarello" al politico, io gli racconterei delle verità scomode che non vuole sentirsi dire e che forse anche in buona fede ignora = = = Grazie a tutti per il seguito e gli spunti critici, anche se siete pochi proverò a continuare a scrivere, inventare personaggi e raccontare la realtà economica in cui viviamo in termini spero semplici.
Caro Marco, forse non hai compreso chi sono Giovanni e Pasquale. Non parlo di 2 ex giovani che non hanno mai avuto voglia di lavorare e che hanno passato la loro vita a "bighellonare a spese dei buonisti di Teramo". Da giovani frequentavano proprio la sezione del PCI, non nella rossa e ricca Emilia, ma nel bianco monocolore democristiano della nostra città e dei nostri paesini montani, quando essere comunisti in un comune amministrato dalla DC voleva dire disoccupazione certa. La povertà delle loro famiglie aveva contribuito a rendere difficoltose la programmazione e l'organizzazione di un futuro lavorativo, attraverso un apprendistato che non permetteva di sopravvivere. In Romagna ci sono stati a lavorare, alla catena di montaggio dove non si impara nulla, con contratti a tempo determinato, alla cui scadenza hanno preferito, magari sbagliando, ritornare alla loro terra. Nella vita hanno avuto accesso solo ai lavori precari, nell'edilizia e nell'agricoltura, lavori brevi, malpagati e pesanti. Nei più o meno lunghi periodi di disoccupazione, non potendo contare su parenti o amici benestanti e non volendo intraprendere una carriera criminale, vincendo l'orgoglio, hanno chiesto piccoli aiuti alla generosità dei loro concittadini. Oggi, come ho accennato in precedenza, l'agguerrita concorrenza ha reso impossibile anche le richieste di elemosine. "Sono disoccupati perchè non hanno voglia di lavorare..." E' una frase che ho ascoltato migliaia di volte da persone più fortunate e brave di Giovanni e Pasquale, da raccomandati che hanno venduto l'anima al politico di turno, dallo stesso politico di turno. Non è sempre così, anzi, spesso non è così. A volte si è meno fortunati, a volte meno bravi, altre volte la propria libertà è più importante della vita stessa. Non confondere il sottoproletariato con i nullafacenti per partito preso. Un saluto.
per sottoproletario Giovanni e Pasquale hanno sbagliato a "tornare". Non si lotta contro i mulini a vento, non si prova a farsi valere nel ventre della balena bianca dove tutto va avanti tra buffet, matrimoni, pranzi cene fidanzamenti e pacche sulle spalle. Nel ventre della balena bianca contano odori, sapori, suggestioni, forme, profumi. Come in Tomasi di Lampedusa. Di merito si sa che è una cosa astratta, buona per raccontare le gesta prodigiose di qualche cugino emigrato a Milano. Ma non si sa che farsene. Il sottoscritto da sottoproletario ha iniziato, da "proletario del terziario avanzato" va avanti, e quando ha lavorato (una volta) nella propria terra si è trovato con un credito di un anno di lavoro buttato nel cesso e una causa attiva che, iscritta a ruolo inizio 2007, mi dicono sia "ancora giovane". Il mio weekend è a Teramo ma la mia settimana lavorativa è in Lombardia o Emilia. Nel periodo '70-2008' a nord del Tronto non lavorava proprio chi non aveva voglia. Possibile che Giovanni e Pasquale non ne fossero informati? Sulla situazione qui nel ventre della balena sono al 100% d'accordo con te. Grazie cmq per gli stimoli e i commenti. Ogni bene a Giovanni, Pasquale e quanti si trovano nelle loro condizioni. m