Salta al contenuto principale

Il Libro...Niente di nuovo sul fronte occidentale

di Maria Cristina Marroni
4 minuti

In “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque, che appena diciottenne aveva partecipato alla Grande Guerra rimanendovi ferito, la tragica esperienza personale dell’autore, diventa simbolo di “una generazione distrutta dalla guerra anche se sfuggita alle bombe”.
Remarque denuncia le cause del conflitto come conseguenze di una politica aggressiva; ancor di più si scaglia contro l’educazione faziosa e corruttrice che i giovani hanno ricevuto nelle scuole. Paradigmatiche a tal riguardo le figure del professore che incita gli allievi ad arruolarsi attraverso una smaccata retorica militarista e il sergente che li addestra prima dell’esperienza diretta con il fronte. Anche a loro lo scrittore addebita la responsabilità del destino funesto e della perdita di coscienza di quei giovani.
“Fuoco tambureggiante, fuoco d’interdizione, cortina di fuoco, bombarde, gas, tanks, mitragliatrici, bombe a mano: sono parole, parole, ma abbracciano tutto l’orrore del mondo”.

Precipitati all’improvviso nell’esperienza della guerra, alcuni giovani tedeschi ne scoprono tutto l’orrore. La guerra non è una questione di orgoglio e di eroismo. La guerra è un inferno senza ritorno: anche se da quel baratro si riuscirà a risalire verso la luce, la vita ne sarà comunque compromessa. Il protagonista del racconto è il soldato Paul Bäumer, di umile estrazione sociale e ragazzo dal cuore puro. Egli  assurge “al ruolo di giudice simbolico di una situazione storica vissuta, senza possibilità di rivolta, dal popolo. I suoi compagni di guerra sono osservati in tutte le manifestazioni, debolezze, tentazioni e sussulti che il fronte impone anche agli uomini più corazzati”. Paul morirà, proprio alla fine della guerra, in un giorno placido,  quel giorno era stato annotato:  "Niente di nuovo sul fronte occidentale".

L’autore sceglie una prosa oggettiva, lasciando che il lettore rilevi dai fatti un’interpretazione autentica, lontana dalla parzialità dei commenti personali. A scene caratterizzate da un crudo realismo si alternano momenti commoventi nel ricordo della pace di un tempo. In questo modo la polemica antimilitarista “non riaffiora nei termini metafisici cari agli espressionisti, ma secondo lo stile distaccato della Neue Sachlichkeit (“Nuova oggettività”)”.
Elemento costante dell’opera di Remarque è il richiamo alla responsabilità morale degli uomini. Nella guerra si vive un disorientamento morale devastante: “Andando avanti diventiamo belve, poiché solo in tal modo sentiamo di poterci salvare. Vogliamo vivere a ogni costo, e perciò non possiamo ingombrarci di sentimenti, che, decorativi in tempo di pace, sarebbero quasi assolutamente fuori luogo”.

 “L’orrore del fronte sparisce quando gli voltiamo le spalle:ne parliamo con freddure volgari e rabbiose: anche quando uno muore, usiamo un’espressione triviale; e così tutto. È un modo come un altro di non impazzire”.
Il corpo potrà essere ferito, ma la coscienza, sebbene lacerata, troverà in sé la forza, il bisogno di amore supererà anche l’esperienza più tragica. “Non sono mai stato tanto attaccato alla vita”, scriverà Ungaretti, vegliando il cadavere di un commilitone. Un inno alla vita, alla forza morale dell’uomo. Nell’esperienza più feroce o si soccombe privandosi della vita stessa o si trova il coraggio per sopravvivere.

Il romanzo raggiunge la Spannung, la massima tensione morale, quando Paul Bäumer, rifugiatosi nel cratere prodotto da una granata, pugnala un soldato francese, partecipando angosciato alla sua morte. “Compagno –gli dice- io non volevo ucciderti. Se tu saltassi un’altra volta qua dentro io non ti ucciderei…Ma prima tu eri per me solo un’idea, una formula di concetti nel mio cervello, che determinava quella risoluzione. Io ho pugnalato codesta formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me...Perdonami, compagno!”.

“Allora, a che scopo la guerra?”
domanda il soldato Katzinski. L’altro alza le spalle: “Ci deve essere gente a cui la guerra giova”.





 

Commenta

CAPTCHA

Commenti

Ecco perché la Germania non ha firmato, la Merkel questo libro lo avrà letto, LETTa non lo avrà LETTo o, diversamente, non gli è stato d'insegnamento.
Con una recensione spumeggiante e con la solita verve la sig.ra Cristina traccia i lineamenti di una guerra sanguinaria e come tutte le guerre senza senso. Ai giorni nostri una persona di intelletto normale,capace di riflettere sul futuro del pianeta,non puo' essere che pacifista. Certo,alcuni riterranno necessario combattere per impedire la prevaricazione di un popolo sull'altro,altri saranno per un pacifismo ad oltranza,"senza se e senza ma":ma nessuno si azzarderà a dire che la guerra e'bella. Eppure le cose non sono andate sempre cosi' ,non sempre si e'pensato alla guerra come un fatto negativoE non c' bisogno di andare tanto indietro nel tempo,non c'e'bisogno di guardare al Medioevo o all'antica Roma per trovare qualche esempio. Tra i nostri nonni o bisnonni a seconda delle generazioni,c'e sicuramente qualcuno che e'andato a combattere la prima guerra mondiale con entusiasmo e con spirito di avventura. Il mito della guerra che si era venuto lentamente e frammentariamente componendo era pronto per essere accolto dalle generazioni "1914". Con la prima guerra mondiale il mito raggiunse la sua apoteosi e il culto dei caduti domino' a lungo nel I dopoguerra ,influenzando la politica e le coscienze. Tuttavia " la grande guerra" mise a dura prova l'entusiasmo di chi era partito e dei famigliari che lo avevano salutato con l'ammirazioone negli occhi. Appena arrivati al fronte questi ragazzi scoprirono con sorpresa che la guerra non era un gioco e che il nemico rispondeva al fuoco e nel giro di pochi mesi chi era sopravvissuto si rese conto che sarebbe stato un conflitto lungo e logorante. I caduti in guerra e soprattutto i giovani erano presentati come martiri della nazione e questo era un modo perfetto per distrarre l'attenzione dalla realta' della carneficina,dalla realta' che fece di una guerra sanguinaria una vicenda eroica di significati patriottici. Grazie e felice inizio settimana.
Un libro bello e terribile. Peccato che non ci sia nulla di paragonabile nella nostra letteratura. I vari Lussu (Un anno suull'altipiano), Monelli (Le scarpe al sole), Salsa (Trincee), pur essendo belli e toccanti non hanno quella carica di denuncia del libro di Remarque, o forse non ebbero il tempo di diventare tali visto che dopo il 22 tutto fu coperto dal nero della dittatura.
Buonasera prof è sempre un piacere passare a trovarla. Il suo vero nome è Remark, letto al contrario, kramer ( cognome ebreo). Anche per questa strana coincidenza i nazisti bruciarono i suoi libri antimilitaristi. Fu così preso ad emblema dei pacifisti di tutto il mondo. Il racconto odierno, scritto da chi ha visto il fango della trincea, è crudo e diretto; alla fine tutti muoiono, compreso il giovanissimo protagonista. Non ho letto il libro ma ho visto il film ( è un genere che non attira molto la mia attenzione). Tuttavia lo dovrebbero leggere quei giovani che hanno per la testa strane idee. Oggi la guerra ha cambiato forma, le guerre oggi si fanno con il camice bianco affiancate alle guerre dell'informazione che con l' eco mediatica diffonde i messaggi. Proprio per questo oggi abbiamo perso pericolosamente,la percezione dell'orrore della guerra. Oggi le guerre sono solo guerra civili, perché siamo "cives" del viaggio globale!! ...aurevoir
Mio nonno, il mio caro nonno, soldato nella prima guerra mondiale, diventò zoppo a seguito di una scheggia di bomba in una gamba. Papà, il mio caro papà, soldato nella seconda guerra mondiale e deportato dalla Grecia in Germania dai tedeschi, non riusciva a trattenere le lacrime nemmeno in tarda età, quando gli capitava di ricordare gli orrori della guerra. Le genti alle quali le guerre giovano hanno nomi e indirizzi e i profitti sono enormi. Industrie militari, mantenimento o conquiste di fette di mercato... Le "guerre commerciali" come le ha definite oggi Papa Francesco, giovano in primo luogo alle più potenti lobby commerciali. Un tetto, un limite all'arricchimento egoistico sarebbe un segno di civiltà di inestimabile valore, oltre che un necessario provvedimento a tutela della convivenza civile. Pare poco!......
Ricordo con tenerezza quando, adolescente o poco più, lessi per la prima volta questo libro. La lettura fu un consapevole atto trasgressivo, o qualcosa del genere. Trasgressivo nei confronti di molte realtà nelle quali ero immerso. "A destra" il libro era mal visto, e anche a scuola, dove solo pochi, come me, leggevano la letteratura americana o internazionale quando i nostri insegnanti tutt'al più erano fermi a Manzoni o a Nievo. Di queste letture "trasgressive" mi cibai a lungo, Remarque è oggi tornato di attualità, anche se il pacifismo è polimorfo e quello di oggi ha assunto forme che non mi piacciono molto. Il taglio critico qui proposto mi convince, anche se sarebbe opportuno che i lettori di oggi del libro avessero una sorta di introduzione alla lettura. Lasciati a se stessi i contemporanei potrebbero non capire, non distinguere, non fare differenze e questo non sarebbe bello. Né utile. Insomma il pacifismo non è universale, ma, come ogni cosa, va "storicizzato".