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IVANOV

di Maria Cristina Marroni
3 minuti

Nel 1887 fu rappresentato “Ivanov”, il primo dramma di Čechov, in quattro atti. Esso racconta la crisi morale di un uomo di trentasei anni, fallito e disincantato per la sua vita trascorsa in una insignificante e intorpidita cittadina della Russia.
Ivanov disprezza ormai la propria moglie, alla cui morte per tubercolosi parteciperà con estrema indifferenza.
Cerca una chimerica rinascita nell’amore per un’altra donna, Saša, che intravede in lui un animo spiritualmente elevato, al contrario dei suoi mediocri concittadini.
Sposare Saša significherebbe salvarsi dalla precarietà finanziaria. Ma ciò non si verificherà, perché un giovane e onesto medico, L’vov lo insulterà pubblicamente, quale arrampicatore sociale e approfittatore. Allora, in un sussulto d’orgoglio, Ivanov si ucciderà.

Ivanov è un personaggio controverso: c’è chi lo ama, riconoscendo in lui un animo nobile, e chi, invece, lo disprezza perché volgare e superficiale. Tuttavia non bisogna interpretarlo come un eroe di un dramma classico, con un’azione lineare. “Nella tragedia classica, il dramma dell’eroe finiva sempre con lo sviscerarsi completamente; invece Ivanov si denuncia, ma non enuncia mai il suo vero dramma. Forse perché non esiste. Chi davvero sia questo psicastenico, aldilà dell’ammirazione delle innamorate e degli insulti dei nemici, resta un enigma, anche per se stesso” (Sergio Benvenuto). Čechov introduce un eroe che “non è più tragico: è psichiatrico”. Ivanov assiste come attore e spettatore al progredire della propria malinconia: “Adesso non faccio niente e non penso a niente, eppure sono stanco nel corpo e nell’anima. La coscienza mi tormenta giorno e notte, sento di essere profondamente colpevole; ma in che cosa consista la mia colpa non capisco”.

Il protagonista si lamenta della sua condizione, ma non riesce a comprendere veramente le inclinazioni e i desideri personali. Nel rammarico per la propria indolenza “si compie il passaggio dalla malinconia classica e romantica alla depressione moderna”.
La paura che pervade il racconto è che gli uomini spesso disattendono le proprie ambizioni a causa della “skuka”, ovvero la mancanza di mordente, la pigrizia, la noia.
La noia è lo specchio grazie a cui avvertiamo il greve fluire del tempo”. La noia è rivelatrice del nulla dell’essere rinchiuso in se stesso.
Senza comunione con gli altri, un uomo nella solitudine “intristisce, deperisce e sente (oscuramente) che da solo, non esiste”.

L’atmosfera e gli stati d’animo qui presenti si ritroveranno nel più tipico teatro cechoviano: da “Il gabbiano”, 1896, a “Zio Vanja”, 1897, a “Le tre sorelle”, 1901. Questi tre drammi ebbero molta risonanza, cui contribuirono anche le magistrali interpretazioni del Teatro d’Arte di Mosca. In esso l’autore trovò i segni di quella rivoluzione culturale a cui egli stesso aspirava, creando un teatro precocemente moderno che “ci fa trarre un piacere struggente dalla noia”. Un teatro che “non ci purga, bensì ci commuove con la noia altrui”.



 

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Commenti

In "Zio Vanja" Cechov, parla della vita in provincia, ricordando Taganrog, il posto dove era nato. Così si esprime: "la provincia ci ha afferrato e con i suoi putridi miasmi ci ha avvelenato il sangue".. Dirà ancora di Taganrog che è "sporca, insignificante, ignorante (...). L'indifferenza è generale". Le stesse parole si potrebbero attribuire a Teramo.
Mi sono piaciute le sfumature sulla noia ( comunque anche il resto) , fanno riflettere e meditare.Grazie per i capolavori che ci propone.
I personaggi di Cechov ci disturbano perché irretiti nella loro mediocrità e, come faranno poi Beckett e Bernhard, "filtra con il tedio dello spettatore".
IN VERITà NON SONO MAI RIUSCITO A LEGGERE PIù DI80 PAGINE DI UN OPERA DI ANTONIO CECHOV.dialoghi astratti tra indistinti personaggi e noiose conversazioni che si trascinano nel nulla non mi hanno consentito di andare oltre. verosimilmente non leggerò il dramma, anzi la commedia dai toni tragici, di un benestante irrimediabilmente psicopatico al quale, benevolmente ,la critica gli ha diagnosticato una depressione primaria....no grazie ...au revoir.
Perchè non proporre alla Riccitelli di mettere in cartellone, per l'anno prossimo, un'opera di Cechov? Magari questo proposto o Zio Vania, che rivedrei volentieri?
Gent.le Sig. Antoine, La ringrazio per il suo cortese commento e per la sua puntuale lettura. Nel mondo di Cechov assistiamo a prime, timide primavere di "storia", che non riescono però mai a diventare estati dell'Evento. Gli atti cechoviani restano sempre in un'irrisolta battigia tra la terra della pura noia e il mare del tragico. I suoi personaggi sognano spesso il tragico, e talvolta lo tentano, ma di solito falliscono. La noia rappresenta in queste opere lo specchio grazie a cui avvertiamo il greve fluire del tempo. Percepiamo certi organi solo quando fanno male; così riflettiamo dolorosamente lo scorrere del nostro vivere quando questo ci fa sentire il suo scheletro fatto di tempo. La noia cronica segnala che qualcosa non va nella nostra salute temporale. Buona settimana.
Gent.le Sig. Aznavour, le dispiacciono solo i lavori teatrali di Cechov o anche i racconti? Sono poi curiosa di sapere cosa pensa di Goncarov, penso in particolare a "Oblomov", dato che dimostra di essere lettore poliedrico e attento. Buona settimana.
@ristina m.GONCAROV, OBLAMOV CHI ERANO COSTORO? ho ruminato tra me e me alla domanda della della sig.ra cristina . mi scuso per la ignoranza , ma onestamente non li ho mai sentiti nominare questi gentiluomini. conosco superficialmente solo i mostri sacri della letteratura della grande madre russa dei quali abbiamo, per molte lune, parlato e riparlato. non mi ritengo nè poliedrico nè attento , nè mi entusiasma " leggere" il noioso teatro di cechov, nè i grotteschi suoi racconti con i suoi, volutamente, impresentabili personaggi.....praticamente sono cieco per cechov!....pardonne moi.