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LA NAUSEA

6 minuti

Jean Paul Sartre pubblicò nel 1938 “La nausée”, un romanzo paradigmatico della condizione dell’uomo nel ‘900.
Presentato come il diario di Antonine Roquentin, questo libro è una lente di ingrandimento della situazione intellettuale di un intellettuale, ma al contempo il ritratto spietato della solitudine nella disperata ricerca del senso dell’esistenza.
La nausea è il risultato degli sforzi che la coscienza e la mente compiono per dare significato alla gratuità e assurdità di tutte le forme e di tutti gli aspetti del reale.
Roquentin è l’ultima incarnazione dell’eroe volubile e negativo che imperversa nella letteratura occidentale, l’ultima incarnazione di un eroe che non può tornare alle illusioni della propria adolescenza.

La lucidità consente un approdo solo verso una maturità mesta e confusa.
Roquentin è consapevole della propria miseria, ma con coraggio compie il proprio autoritratto, e il quadro che ne risulta è allarmante. Gli oggetti che lo circondano smarriscono la loro funzione, la loro fisionomia e, in una visione allucinata, si caricano di significati angosciosi. Contemporaneamente la coscienza del protagonista si identifica nella propria corporeità, intesa come contingenza priva di ragione.
La vita ha tinte fosche, dunque: è orrendo il suo vegetare, osceno il suo proliferare assurdo e ossessionante.
Eppure, nonostante la spigolosità e fragilità del tessuto narrativo, privo di una trama che possa definirsi lineare, questo romanzo scorre agilmente sotto gli occhi del lettore che ne avverte tutta la carica a basso voltaggio del fastidio di un mal di testa permanente.
La nausea è un affresco del mondo come appare quando rinunciamo a guardarlo con i filtri della speranza e della progettualità; è l’universo della gente senza volontà, svogliata, senza avvenire, senza la coscienza dell’orizzonte di un avvenire.

La coscienza esiste come un albero, come un filo di erba. Essa sonnecchia, s’annoia…Ed ecco il senso della sua esistenza: essa è coscienza d’essere di troppo. E si diluisce, si dissipa, cerca di perdersi sul muro bruno, lungo il riverbero o laggiù nel fumo della sera. Ma non si dimentica mai; è coscienza d’essere una coscienza che si dimentica. È la sua parte”.
Roquentin vive in un paese “tra feroci persone dabbene”. Scrive una tesi di storia. La donna che ha amato si è definitivamente allontanata.
Si dedica al protagonista della propria tesi, sperando che un personaggio del passato fornisca la chiave di lettura del presente e faccia emergere una giustificazione per vivere.

Ma la lingua del protagonista batte incessantemente dove il dente duole, nella dicotomia fra fra senso e realtà, e questa ossessione - vissuta interamente e senza alcun paracadute fideistico o ideologico – lascia esplodere uno stucchevole senso di nausea che ricopre come fuliggine ogni cosa ed avvolge ogni appiglio dell’esistenza su cui si soffermi lo sguardo di Roquentin.
E poi, il primo giorno di primavera, capisce il senso della sua avventura: la Nausea è l'Esistenza che si svela”.

Il protagonista viene sfiorato dall’idea di chiamare in soccorso altri uomini, “Ma gli altri uomini sono gente dabbene: si scambiano gran scappellate e ignorano d'esistere”.
Inevitabile sprofondare nuovamente nella propria solitudine, dalla quale emerge una timida consapevolezza: niente e nessuno può aiutare a cercare con perseveranza un senso alla propria esistenza che sia superiore alla coscienza della propria precarietà.
E forse è la percezione della propria pochezza, che nel libro si traduce nella pochezza del mondo e dell’umanità, a scatenare quella nausea esistenziale che nessun emetico può far superare.
Anche la cultura è un’illusione, un’illusione che il protagonista sperimenta su se stesso e che viene cristallizzata nella figura dell’autodidatta che studia in ordine alfabetico i libri della biblioteca.
Forse, nella nebbia nauseata e nauseante della coscienza, Roquentin scorge una timida possibilità di accettarsi, ma l’autore non concede mai esplicitamente questa possibilità come chiara via di fuga e di uscita.

Tredici anni prima che Sartre pubblicasse “La Nausea”, un altro filosofo, mai passato alla storia come tale, aveva già affermato (negli “Ossi di seppia”) l’impossibilità di dare una risposta all’esistenza: Eugenio Montale.
Montale usava le note della poesia e non quelle della narrativa, e a differenza di Sartre (che lo rifiutò nel 1964) accettò il premio Nobel per la letteratura nel 1975.
Sartre compì il suo vero capolavoro non accentando il Nobel perché “nessun uomo merita di essere consacrato da vivo”, con ciò dimostrando nei fatti l’autenticità del proprio pensiero e la preminenza del valore della libertà che sentiva minacciata dalla istituzionalizzazione della propria figura.
Montale compì il suo capolavoro dipingendo in otto versi gli esiti delle filosofie del XIX e del XX secolo (delle quali Sartre è stato indubitabilmente un protagonista):

Forse un mattino andando in un'aria di vetro, 

arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: 

il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro 

di me, con un terrore di ubriaco. 

Poi come s'uno schermo, s’accamperanno di gitto 

alberi case colli per l'inganno consueto. 

Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto 

tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.


Maria Cristina Marroni
 

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Commenti

da un mio diario di scuola, del secolo scorso, ho ritrovato annotato la definizione che il mio prof. di storia e filosofia dette del filosofo sartre "..quello che nacque stanco di vivere , con l'occhio sinistro totalmente anarchico ( strabismo ) e che trascorse tutta la sua esistenza priva di avvenimenti." naturalmente il mitico prof. ferrante - stoico convinto - scherzava. l' intellettuale spesso ripeteva che " dio non esiste e in ogni caso se esistesse sarebbe lo stesso, per cui l'uomo è l'unica fonte di valore e di moralità " scusate se è poco! le sue teorie sono state ritenute inconciliabili con le sue convinzioni socio politiche marxiste ( favorevoli alla cultura popolare ) che nulla ha a che fare con il suo intellettualismo e la sua teorizzazione della coscienza. il pensiero di sartre è proprio difficile,sconosciuto per i più! si può così sintetizzare: NON SO SE ESISTO, E, SE ESISTO, NON ESISTO. arduo, davvero arduo. in un periodo come quello che stiamo attraversando caratterizzato dalla meledetta crisi economica ed anche morale avrei preferito di leggere qualcosa di più entusiasmante come Passione secondo G.H. di clarice lispectar oppure Tokio Blues di murakami e..perchè no Il Piccolo Principe di antoine de sant exputery. "..tutti gli adulti sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se lo ricordano.". .....au revoir
Ho sempre considerato "La nausea" un libro troppo difficile, ma oggi è di grande attualità. Sarebbe utile rileggerlo con l'occhio di un adulto.