Esistono personalità seducenti le cui azioni disegnano un modo di vivere mai scontato e prevedibile. Emanano un’energia magnetica della quale non possiamo disinteressarci: ne siamo attratti, consci che non può darsi spiegazione finale del genio e del dolore assoluto.
Oscar Wilde rientra tra queste, sebbene la rivista “Punch” nel 1881 commentasse il suo primo volume di poesie come scarsamente originale “Si chiama Wilde –selvaggio- ma la sua poesia è mansueta”. “Francoise de sympathie, je suis Irlandais de race, et les Anglais m’ont condamné à parler la langue de Shakespeare” così parlava di sé Wilde a Edmond de Goncourt.
Fra le opere di Wilde quella che più apprezzo per la genuinità delle parole e per il pathos è la lunga e straordinaria lettera, nota come “De Profundis”, che lo scrittore indirizzò all’amato Lord Alfred Douglas, il suo “Bosie”, dal carcere di Reading.
L’opera rappresenta “uno straordinario documento umano”; Wilde vi ha dismesso l’habitus del dandy per apparire autentico e sincero.
Leggere “De Profundis” significa entrare nell’intimità, cui il titolo allude, inabissarsi fin dentro l’anima del poeta per riemergere consapevoli di riconoscere ora un cuore affranto e innamorato. Le parole sono struggenti e oscillano tra il rimprovero per l’ingrato amante e per se stesso, poiché lo scrittore ha compromesso la sua Arte per quella cieca passione.
Wilde scrive la lettera nei primi mesi del 1897, mentre sta scontando in carcere la pena ai lavori forzati per il reato di sodomia.
Durante uno dei processi il giudice Charles Gill gli aveva domandato di spiegare cos’era “quell’amore che non osa pronunciare il proprio nome”, citando proprio un verso della poesia “Two Loves” di Douglas. Wilde aveva risposto con una tale naturalezza da strappare “applausi sonori” dalla galleria del tribunale.
“L’Amore, che non osa dire il proprio nome’ in questo secolo, è un grande affetto di un uomo più anziano per un altro più giovane, quale vi fu fra Davide e Gionata, quale Platone mise alla stessa base della sua filosofia, e quale si trova nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare – quell’affetto profondo, spirituale, che non è meno puro di quanto sia perfetto(…). E’ bello, è elevato, è la più nobile forma di affetto. E’ intellettuale, e si dà ripetutamente fra un uomo più anziano e uno più giovane quando l’uomo più anziano possiede intelletto e quello più giovane ha tutta la gioia, la speranza e il fascino della vita. Che così sia, il mondo non lo capisce. Se ne fa beffe, e a volte mette qualcuno alla vergogna per questo”.
Nella lettera Bosie diventa l’emblema dell’amato indegno (“la futilità e la follia della nostra vita erano spesso molto stancanti per me; ci incontravamo solo nel fango” e lo scrittore quello dello schiavo d’amore “la forza di volontà costituisce la base del carattere, e la mia volontà era completamente soggetta alla tua”).
Alfred è arrogante, egoista, insensibile, vanesio, superficiale, ingrato. Eppure Oscar lo ama.
Infatti non c’è mai in queste pagine pentimento per quella relazione, semmai c’è il rammarico di non essere riuscito a cambiare il ragazzo moralmente.
“Respingere le nostre esperienze è arrestare il nostro sviluppo. Rinnegare le nostre esperienze è costringere la nostra vita alla menzogna. È niente di meno che rinnegare l’Anima”.
Wilde è lucidamente consapevole di essere passato “da una specie di eternità di fama a una specie di eternità di infamia”. In carcere sperimenta il dolore: “dietro al Dolore vi è sempre il Dolore. La Sofferenza non porta maschera, al contrario del Piacere”, ma capisce solo allora che “il segreto della vita è la sofferenza”.
La lettura del “De profundis” svela un uomo che ha superato la contingenza e raggiunto il piano in cui vita, letteratura e morale sono contigui.
Ci sono momenti che sfiorano il sublime, perché il fulcro della narrazione è un cuore palpitante, appassionato e consapevole.
I contemporanei di Wilde intesero come perversione quello che era un sentimento autentico e sincero.
L’Amore infatti sopravvisse all’esperienza del carcere.
Commenta
Commenti