Ero una ragazzina quando ascoltavo alla radio “Questa insostenibile leggerezza dell’essere” di Antonello Venditti. Solo molto tempo dopo ho scoperto che quella canzone citava il titolo di un libro tanto famoso quanto complesso ed enigmatico.
I protagonisti sono quattro, ma né la trama né le loro storie sono essenziali per godere delle vibrazioni di uno dei romanzi più inquieti ed inquietanti della letteratura moderna. L’autore, Milan Kundera, è un maniaco delle parole che usa con l’attenzione di un bisturi perché è di esse che si compone lo spirito stesso dei suoi personaggi.
Se all’apparenza il libro racconta di un quadrilatero amoroso che attraversa i dispetti del caso e le vicissitudini della storia, in realtà l’attenzione è costantemente rivolta alla fisiologia umana e alle questioni filosofiche e metafisiche che le sono proprie.
I fatti meritano di essere raccontati nella misura in cui siano rappresentativi di altrettante domande che turbano la coscienza e la scuotono alla ricerca di senso.
L’esistenza umana è intessuta della tragedia che la rende unica e per ciò stesso irripetibile, con il risultato della perdita di ogni valore e della evanescenza di ogni singola vita.
È un libro che si occupa della fedeltà e delle sue ombre, come la paura dell’abbandono e il senso di dipendenza che lega gli amanti, ma l’introspezione conduce all’analisi di come e quanto sia condizionante per l’io essere l’oggetto dello sguardo altrui, con le conseguenti modifiche dei propri atteggiamenti.
I rapporti fra uomo e donna possono a volte sembrare leggeri, e tale leggerezza appare perfino una dote, ma il tempo capovolge le sensazioni, tramuta in difetti quelli che erano pregi, appesantisce la leggerezza al punto da renderla insostenibile e far schiantare le relazioni su un muro di delusione.
Rimane l’urgenza di vivere, di farlo sempre al presente, di comprendere i contrasti e di unificare gli opposti, in ogni caso di non tralasciare niente e di spingersi comunque al fondo di ogni questione, svelando l’Ulisse che è in ognuno di noi, con i suoi contrasti e le sue inquietudini.
Certamente ogni singola esistenza, così come le esperienze che la compongono, osservata dall’esterno con la freddezza di un entomologo appare insignificante e di nessun rilievo. Eppure l’assenza di senso e l’inconsistenza delle umane vicende stride indicibilmente con la coazione a cercare comunque un significato alla vita e a dare un peso alle cose, poiché la leggerezza le priva finanche della loro vita intrinseca.
Romanzo bellissimo e angosciante, “L’insostenibile leggerezza dell’essere” racchiude nell’ossimoro del titolo l’intero caleidoscopio delle sensazioni contrastanti e perturbanti che lo costituiscono, delle emozioni percepibili e sotterranee, dei sensi di colpa incancellabili, dei detti e non detti, delle vicende che si vedono come di quelle invisibili o nascoste, di cui si avverte comunque la caliginosa presenza.
Il vuoto, alla fine, pesa sulla coscienza più di ogni altra cosa e la vertigine provoca disturbi anche a chi si trova a terra e non sale mai in alto, ma precipita comunque nelle spire del proprio destino.

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