Forse lessi la prima volta “Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino incuriosita dal titolo. Non ho mai avuto paura dei ragni, sebbene fossi abituata ad animaletti di piccola taglia.
“Il sentiero dei nidi di ragno”, pubblicato nel 1947, parla della Resistenza vista con gli occhi di un bambino, Pin, per cui assume il significato di un gioco, di un’avventura entusiasmante e decisiva per l’approdo alla vita adulta.
Pin è un ragazzino ligure, lentigginoso, malizioso e ruffiano, che proviene da un ambiente degradato: sua sorella infatti è una prostituta. Un giorno sottrae una pistola a un soldato tedesco, cliente della sorella e la nasconde sottoterra in un luogo che tutti ignorano e che è interamente coperto da tele di ragno, “segno di una natura non contaminata dall’uomo”. Pin si unisce casualmente ai partigiani, condividendo con loro l’esperienza della guerra e acquisendo solo tardivamente “un barlume di coscienza politica”.
Il lettore prova tenerezza di fronte alla spavalda monelleria di Pin, al suo disprezzo degli adulti falsi e bugiardi, al suo profondo dolore. Attorno a lui si muovono personaggi di estrazione popolare, mossi tutti da un desiderio di rivalsa, per questo diventano “forze storiche attive”. Un personaggio delineato con cura, tanto che Alberto Asor Rosa lo ritiene “un trasparente travestimento dello stesso Calvino”, è il commissario Kim, che ha piena coscienza del significato profondo della Resistenza.
Calvino non presenta la guerra partigiana come un periodo senza macchia, ma ne evidenzia anche le zone d’ombra e la crudeltà.
Il romanzo fu presentato da Cesare Pavese, che sottolineò l’”astuzia” del giovane scrittore, che era riuscito a descrivere la vita partigiana come una favola singolare, picaresca, variopinta. L’arguzia di Calvino consisteva nella capacità di eludere le strette di un verismo troppo documentario per lasciare spazio alla propria vocazione fiabesca. Il suo libro infatti è assai lontano dal Neorealismo, che si stava affermando in quel periodo nella letteratura e nel cinema. L’autore non contamina la propria lingua con il dialetto, come avevano fatto altri scrittori per accentuare il realismo della materia narrata. La lingua di Calvino è limpida e precisa e lo stile procede senza dissonanze.
Il libro comunica il desiderio di trovare il proprio sentiero. Perché noi adulti non abbiamo più un posto magico per i sogni, non sappiamo più dove i ragni fanno il nido. Non ci sporchiamo più le mani di terra per nascondere i nostri segreti.
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