Da un paio di giorni il Ministero dello sviluppo economico ha avviato una “consultazione pubblica” online sulla strategia energetica del nostro Paese, che resterà aperta fino al 30 novembre prossimo. I motivi di questa scelta sono chiari: il contesto nazionale e internazionale è difficile; la crisi economica attanaglia anche l’Italia; il settore energetico è strategico per le sorti dello Stato; occorre, pertanto, rilanciarlo.
Per rispondere alle domande formulate dal Ministero è necessario indicare le proprie generalità, l’indirizzo e-mail e la società di appartenenza. Dunque, la consultazione pubblica non è indirizzata solo ai cittadini. Ed è legittimo supporre che non sia neppure riservata solo agli italiani, essendo evidente che molte società che operano nel settore energetico sono straniere. La prima domanda che vorrei porre a chi pone domande è: vi pare normale che una società estera venga a dirci in che modo vada sviluppata la strategia energetica nazionale?
Per rispondere alle domande formulate dal Ministero è necessario avere almeno tre lauree. Sfido chiunque a comprendere esattamente una sola delle domande poste. Si dirà: ma per comprendere correttamente quanto chiesto è sufficiente seguire il “documento per la consultazione pubblica” ivi allegato. Bene, apriamo, allora, l’allegato.
Esso si compone di ben 114 pagine e a leggerlo un punto sembra essere abbastanza chiaro: il Ministero dello sviluppo economico non vuol sapere dagli italiani quale strategia energetica occorra mettere in atto per superare la crisi. No. Il Ministero rende noto agli italiani quale strategia energetica nazionale porterà avanti nei prossimi anni. E, piaccia o no, ribadisce a chiare lettere che questa strategia passerà attraverso un rilancio delle attività petrolifere. Come? Per il tramite di una semplificazione degli iter autorizzativi (prevedendo il rilascio di un titolo abilitativo unico); una “rimodulazione” dei limiti di tutela offshore imposti dal codice dell’ambiente (cancellando o riducendo il limite delle 12 miglia marine per le attività petrolifere in mare); il rafforzamento dei “poli tecnologici/industriali” in Emilia-Romagna, Lombardia, Abruzzo, Basilicata e Sicilia (sviluppando ulteriormente i distretti energetici già presenti in detti territori; il che – se tanto mi dà tanto – per l’Abruzzo potrebbe, ad esempio, voler dire rilanciare il progetto sul Centro Oli di Ortona).
Sorvolo su altre questioni più tecniche (e assolutamente discutibili, come ad esempio quella relativa alla disciplina della politica energetica dell’UE dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona; al fatto che in sede europea ci sia una “proposta” di direttiva che miri a cancellare la distinzione tra permessi di ricerca e concessione alla coltivazione – come se fosse diritto vigente!) e mi fermo a pag. 114. Mi fermo qui perché le parole finali contenute in questa pagina la dicono lunga sullo spirito che anima l’intero documento: “sarà più importante accelerare la rimozione di ostacoli di natura normativa e autorizzativa alla realizzazione di grandi opere”. Proprio così: ostacoli di natura normativa. Senza che ci si interroghi troppo sul perché di alcune scelte legislative passate. Sul perché, ad esempio, nel 2010 si sia inteso tutelare il mare italiano con i limiti che conosciamo.
È evidente, allora, che se il diritto viene visto come un ostacolo non resti molto da aggiungere. Ed è altresì evidente che, dinanzi a dichiarazioni di questo tipo, anche il valore di una consultazione pubblica lasci il tempo che trova.
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