La goccia sono in realtà le gocce, e diciamo pure un fiume in piena, che deve sfociare in un bel mare azzurro dove non compaia, se non sull’altra costa del Mediterraneo, e visibile solo per via satellitare, il D’Amico “Magnifico Rettore”.
Ci dovrebbe salutare anche senza una sontuosa festa fatta di paggetti o altri attori.
L’Ateneo di Teramo è in condizioni drammatiche: il diverso trattamento e reiterato delle Facoltà umanistiche, l’aggiogamento del personale amministrativo, i malcelati umori punitivi a destra e manca, le continue interferenze nell’attività sovrana dei docenti, le spese folli (vedi i 20mila euro per gli articoli della Costituzione sulle pareti interne di Spol), la pluralità di incarichi accumulati, il procedimento cui è interessato dalla Procura o Finanza di Teramo, tutti questi capitoli – iniziati con una elezione in cui nessuno dei colleghi presidi ha osato contrastare la marcia trionfale del candidato unico, 'forte’ di una bandiera dove comparivano ‘100 firme di studenti’: una ridicola americanata che confligge con la serietà dei momenti elettorali in quale che sia istituzione – devono indurre al suo dimissionamento rapido.
Gli esempi? La notte dei ricercatori edizione 2014
Comincio dalla posta di oggi: ricevo la locandina della notte dei ricercatori. C’è solo la ricerca scientifica, niente Facoltà umanistiche; c’è il Braga musicale, di cui è presidente il D’Amico; c’è D’Alfonso, di cui è stato garante elettorale il D’Amico, e che si è insediato solo alcuni mesi fa, alla fine dell’anno accademico appena trascorso, mentre una riflessione profonda sulla ricerca in quel di Teramo e d’Abruzzo dovrebbe coinvolgere sul versante istituzionale anche l’ex presidente Chiodi. Il tutto, arroccati sulle colline che hanno asfaltato il tratto di strada titolato a SantAgostino, per sostituirlo con lo sconosciuto laico o laicista di turno, Renato Balzarini. Nel 2011, la notte dei ricercatori era nel centro della città di Teramo – a contatto con una popolazione che è stata a poco a poco deprivata delle sue risorse, l’Ateneo urbano è solo l’ultima tappa – e lì, in mezzo alla folla, ogni Facoltà aveva il suo stand. Tutto accademically correct, comprese le duecento persone presenti a un dibattito su Auriti e la sovranità monetaria, svolto da Tarquini, Sciarra, Donato e altri, nel Liceo classico di Piazza Dante.
Il XXX° dottorato di ricerca.
Vado avanti, cioè indietro, e leggo solo oggi la posta del 22: il collega Paolo Savarese si dimette dalla presidenza del dottorato in Multi-level governance: analisi critica dell’azione pubblica e delle sue trasformazioni. Non conosco i contorni della decisione, ma so per certo due cose: la prima è che i rapporti professionali del collega con una Università messicana – che aveva collaborato al dottorato del XXIX ciclo – risultano bypassati e sostituiti dal consorziato della nuova edizione, e cioè l’Università internazionale di Roma. Una vera internazionalizzazione, la prima, coerente con le indicazioni del Miur, sostituita da altra, più casareccia e di facciata. Di chi la decisione? Del rettore D’Amico, che ha messo il naso nell’autonomia decisoria dei Collegio docenti del Dottorato?
La seconda cosa certa è che il Dottorato dello scorso anno- il XXIX appunto – ha avuto una vita travagliata a dai tratti oscuri. Ricordo qui due episodi: la pubblicazione sul sito Unite, in fase di domanda degli aspiranti al dottorato, di soli due nomi come referenti e contatti con cui i partecipanti al concorso avrebbero potuto e dovuto interloquire. Due ricercatori, all’epoca. Diversa e corretta – dal punto di vista della trasparenza e della validità della consulenza – la scelta di Giurisprudenza: nella pagina del dottorato di questa facoltà. comparivano i nomi dei colleghi del Collegio docente del corso, ciascuno con l’indicazione del settore disciplinare di appartenenza. Ebbene, ho dovuto protestare – come al solito da solo, i colleghi non difendono nemmeno i propri interessi corporativi – per ottenere quel che mi spettava come professore ordinario e rappresentativo delle discipline storiche, e cioè che il mio nome comparisse tra i contatti possibili, scelta che è dovuta passare addirittura per un Consiglio di Facoltà, pochi giorni prima che scadesse il termine per le domande al Dottorato. E inoltre e comunque, non si adottò la linea corretta di Giurisprudenza, i nomi venivano caricati solo su domanda di chi ‘osava’. Pazzesco.
Secondo episodio del Dottorato, alla conclusione del concorso per le ammissioni dei vincitori. Sono di nuovo stato l’unico a chiedere quel che non doveva essere nemmeno chiesto, ma condiviso normalmente da tutta la commissione: e cioè il verbale controfirmato da tutti i componenti, di quel che si era deciso, le modalità, i criteri, i nomi dei vincitori. Mi sono ritrovato così solo per una banale procedura che ho seguito, assieme agli altri commissari, in tutti i concorsi cui ho partecipato. Perché questa paura dei colleghi a prendersi quei fogli di carta frutto ed espressione del loro lavoro? Perché? Pressioni? E di chi?
L’attacco alla CGIL.
Vado ancora indietro, e apprendo dell’incredibile misura punitiva, in piena estate, nei confronti del collega amministrativo Massimiliano Di Pietro, da anni se non decenni responsabile del Personale. Dimissionato. Forse qualcuno ne potrà godere per quelle classiche beghe interne ad ogni luogo di lavoro, senza però pensare che un domani potrebbe capitare anche a lui la stessa cosa. E comunque restano i fatti: la scarsa trasparenza della decisione, avvenuta ai primi di agosto; la mancata motivazione del trasferimento ad altro settore; la professionalità del collega, attestata da numerose testimonianze e dal suo quotidiano lavoro, sempre a disposizione di docenti e amministrativi. La domanda è: perché il dimissionamento? La risposta è per me semplice, e non c’entrano nulla le etichette o le sigle: perché nei fatti, la Cgil di Uniteramo ha voluto essere negli ultimi mesi se non anni, grazie anche a un suo sito, un luogo di riflessione e di dibattito sui problemi di Ateneo e dell’Università in generale. Non va bene al Rettore: solo lui decide, solo lui comanda, bypassando e prevaricando tutti, a cominciare dai Senatori.
Il ‘convegno storico’ ‘antifascista’ sì, le foibe no.
Quarto episodio, a fine anno accademico scorso. Una ventina di cartelloni murali lungo il corridoio principale di Scienze Politiche, a illustrazione di un convegno ‘antifascista’ doc, che mescolando l’immigrazione di oggi con i campi di concentramento in Italia durante la seconda guerra mondiale, finiva per sostenere - al di là dell’assurdo paragone - che Mussolini perseguitava gli ebrei anche in siffatta maniera. Non è vero, è vero per quel che attiene la criminali leggi razziali del 1938 che espulsero illegittimamente gli ebrei italiani dalle Forze Armate (unica consolazione: evitarono, i perseguitati. la morte che colpì tanti altri italiani durante la guerra), dalle Scuole, dalle istituzioni pubbliche. Ma non è vero per quel che attiene alla vicenda dei campi abruzzesi: nei fatti – come attestano documenti d’archivio – Mussolini aiutò gli ebrei provenienti dalla Germania nazista a transitare nel nostro paese – in condizioni non di prigionia, ma di “internamento libero”, con casi emblematici come quello di un medico ebreo che svolgeva la sua professione nel paese ospite – e ad imbarcarsi per gli Stati Uniti, l’Argentina, Shangai, il Portogallo e ovviamente (come recita uno dei documenti) la Palestina. Un periodico ebraico avrebbe scritto agli inizi degli anni Sessanta che Mussolini era un‘sionista’: vero o non vero, di certo quei murales nel corridoio – rimasti lì per più di due mesi (!mai accaduta una cosa del genere in tutta la storia di Scienze Politiche!) – introducevano una prassi inusitata, e accompagnati in quello stesso periodo da un solo volantino spiegazzato per un convegno sulle foibe, evidenziavano una discriminazione di fatto nei confronti degli studenti di destra. Ognuno puo' avere le idee che vuole, ma non si capisce perché un Università pubblica non debba offrire spazi eguali a tutti i giovani. Solo dopo le legittime proteste di alcuni studenti, quei manifesti sono stati tolti. Ma il messaggio di buona volontà del Rettore – non è il solo – era intanto già stato dato. Quanto e chi ha pagato per tutto questo?
La teleferica e Madonna.
Sono domande legittime: come quelle sulla passione di D’Amico per la teleferica da Piazza Garibaldi a Colleparco, un progetto che forse servirà agli studenti – una volta strappato l’Ateneo dal tessuto urbano, con la vendita di Viale Crucioli – ma sarà utile anche a chi possiede i terreni prospicienti Giurisprudenza, per i quali da anni si parla di una grande sviluppo edilizio ‘alternativo’ al sempre più moribondo centro storico. O come quella – altra domanda – sull’intenzione di D’Amico di concedere la laurea honoris causa, di nuovo bypassando le resistenze di diversi colleghi, alla star Madonna. La Ciccone non si muove se non è pagata più che bene. Chi pagherà? Pagherà qualche sponsor? Quale? E questo sponsor pagherà solo perché Madonna è bella e canta bene, oppure anche perché odia istericamente Putin, e magari vorrebbe una bella guerra contro la Russia al seguito di Rasmussen e Kerry tanto per far felici i nostri esportatori agricoli controembargati da Mosca?
Ma è inutile parlare di questi risvolti ... Resta il problema chiave: questo Rettore – che pretende di trasformare l’Ateneo teramano in un’azienda, ed è anche da chiedersi di chi il vero CdA – sta creando più danni che vantaggi. L’effetto della locandina della Notte dei ricercatori sulle iscrizioni alle Facoltà umanistiche comunque si sentirà. Noi ‘umanistici’ non esistiamo. Gli abusi sono stati molteplici, ricordiamoci l’incredibile esclusione dal voto per il Senato di ben 42 colleghi, quasi tutti di Scienze Politiche, in base a un regolamento che violava la norma superiore, e diciamo pure, anche i principi costituzionali che devono presiedere le istituzioni pubbliche.
D’Amico Presidente dell’ARPA: ottimo per lui e per noi.
Ora D’Amico è diventato anche Presidente dell’Arpa. Ottimo: un bravo aziendalista per un’azienda cruciale per lo sviluppo abruzzese. E’ l’occasione buona: da una parte un nuovo potenziale conflitto d’interesse, o quanto meno una nuova incompatibilità di incarichi, e dall’altra una decisione a vantaggio di tutti. D'Amico faccia il Presidente dell’Arpa e lasci il rettorato: più soldi per lui, e più coerenza per la sua specializzazione aziendalistica. E meno problemi per noi. Aiutamolo per aiutarci a recuperare la nostra autonomia e il nostro buon governo, nel rispetto reciproco per le capacità e professionalità di ciascuno di noi. Voltiamo pagina, colleghi e cittadini di Teramo, l’ora è arrivata.
Claudio Moffa
Università di Teramo
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