I Due Punti a firma Christian Francia si era occupato della prescrizione del candidato Presidente della Regione Abruzzo, Luciano D'Alfonso...vi ricordate?
"La notizia è clamorosa: D’Alfonso non è stato assolto nel celeberrimo processo 'Housework'. O meglio: non è stato assolto da tutti i capi di imputazione.
Vi sono due imputazioni, in particolare, per le quali D’Alfonso è stato dichiarato prescritto: quella di cui al capo G e quella di cui al capo S bis.
La cosa clamorosa e scandalosa è che di tali prescrizioni si sapeva già dal giorno della pronuncia della sentenza. Infatti, nel dispositivo pronunciato in udienza l’11 febbraio 2013 si legge chiaramente la dichiarazione di “non doversi procedere” in ordine ai predetti capi G e S bis “perché i reati sono estinti per intervenuta prescrizione”.
Meraviglia che nessun giornalista abbia sottolineato la gravità della questione che, come avviene in consimili casi (vedi da ultimo quello Penati che riguarda allo stesso modo un ex dirigente del PD), avrebbe meritato un gigantesco rilievo.
Si dirà: prudenza consigliava di attendere il deposito delle motivazioni, avvenuto il 9 maggio scorso. Sarà. Ma il brutto è che dalla lettura delle motivazioni la situazione si aggrava e di molto (la sentenza integrale di 314 pagine è leggibile al seguente link: http://www.primadanoi.it/news/cronaca/540010/Abruzzo-Processo-Housework--I-giudici.html).
E nonostante questo nessun giornalista ha avuto l’onestà intellettuale, il coraggio, la capacità di dire semplicemente la verità.
Noi ci siamo occupati dell’argomento (http://www.iduepunti.it/francia/19_febbraio_2013/appunti-la-divinizzazione-di-luciano-dalfonso), ma abbiamo volontariamente omesso di soffermarci sulla prescrizione per verificare fino in fondo quale fosse la caratura della classe giornalistica regionale e per vedere sino a quando la verità clamorosamente significativa per il futuro politico dell’Abruzzo potesse essere sottaciuta.
Evidentemente, nonostante siano passati circa 4 mesi dalla sentenza e un mese dal deposito delle motivazioni, D’Alfonso gode di una immunità di carattere religioso che impedisce qualsiasi critica, quantunque gravissima e fondatissima.
L’atmosfera è tale per cui anche l’indignazione dinanzi ad una sentenza come quella in argomento suggerisce un silenzio tombale onde evitare di fare un regalo elettorale a Chiodi, considerato oramai dai media e dagli osservatori politici un agnello sacrificale per il lupo D’Alfonso, ritenuto l’unico uomo capace di riportare lo scettro del comando regionale a Pescara dopo la “cattività teramana” che non piace né agli aquilani né tantomeno ai chietini e ai pescaresi.
Ma la ragion politica non può trasformarsi in un travisamento totale della realtà, pena sia la svendita di valori inderogabili sia il rischio di peggiori disgrazie, quali ad esempio successivi incidenti giudiziari in cui D’Alfonso potrà facilmente incorrere riconsegnando di fatto il timone del governo regionale (nel probabile caso di una sua candidatura e di una sua vittoria alle elezioni abruzzesi di fine anno) nuovamente al centrodestra.
E invece si sono lette cronache mielose, dichiarazioni stucchevoli, articoli che rappresentano solo l’immensa capacità di D’Alfonso di fare innamorare tutti, anche coloro che dovrebbero esserne gli avversari (perché il PDL tace sull’argomento?).
Vediamo in sintesi le prescrizioni dichiarate dalla sentenza 'Housework':
1) Quanto alle imputazioni di cui al Capo S bis, è stato accertato che Luciano D’Alfonso (unitamente a Guido Dezio e Vincenzo Fanì) abbia commesso il reato di finanziamento illecito al partito politico “La Margherita” di cui all’art 7 della Legge n. 195/1974. Infatti, a Pag. 195 della sentenza si legge in maniera inconfutabile: “il reato sub S bis è integrato, quand’anche estinto per intervenuta prescrizione”.
2) Parimenti è a dirsi per quanto concerne le imputazioni di cui al Capo G, pure ascritte a Luciano D’Alfonso (unitamente ad Enzo Perilli), per le quali allo stesso modo “i reati sono estinti per intervenuta prescrizione”.
Trattasi nello specifico di corruzione per l’esercizio della funzione (di cui all’art. 318 del Codice Penale) e di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 C.P.), con l’aggiunta delle circostanze aggravanti (art. 319-bis C.P.) e del concorso dei due imputati nella commissione del medesimo reato (art. 110 C.P.).
3) A tutto ciò si aggiunga come il P.M. Gennaro Varone ha formulato un lunghissimo atto di appello di 298 pagine avverso le pur numerose assoluzioni incassate da D’Alfonso e, al netto delle ulteriori prescrizioni che pure potranno medio tempore intervenire durante i successivi gradi di giudizio, bisogna prendere atto delle accuse pesantissime che vengono ribadite e con le quali occorrerà fare i conti nel processo dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila.
Intanto ci chiediamo: perché D’Alfonso non rinuncia alle prescrizioni? Sarebbe un gesto necessario per chi – come lui – ancora pretende di calcare la scena pubblica ed aspira a governare l’Abruzzo. E perché nessuno (men che meno il PD/PDL) gli chiede di rinunciare alle prescrizioni?
In secondo luogo ci sentiamo in dovere di sintetizzare alcune inequivocabili considerazioni del P.M. Varone relative all’atto di appello avverso la sentenza 'Housework':
– il Collegio giudicante del primo grado di giudizio avrebbe avuto una “disposizione di particolare benevolenza culturale verso la classe dirigente” dalla quale sarebbe derivata una “pronunzia di primo grado, che ha ingiustamente fatto tabula rasa dell’impostazione accusatoria” (per Varone le prove dimostrerebbero invece che D’Alfonso era al vertice di una associazione a delinquere nella quale carriere e incarichi elargiti avrebbero avuto quale contropartita vantaggi personali ottenuti);
– la sentenza di primo grado avrebbe illogicamente considerato le presunte tangenti degli imprenditori con “la formula magica” di comportamenti “riferibili alla politica”;
– “Che Luciano D’Alfonso abbia vissuto con il denaro della zia, come sostenuto dalla difesa e dall’imputato, è un argomento così ridicolo da non meritare alcun commento”;
– “Tutto il processo gronda di richieste e dazioni di denaro, di torbidità delle condotte amministrative e soprattutto di deliberata opacità di quelle personali spiegabili soltanto con la necessità di occultare illeciti”;
– “Non è ordinario che un sindaco si rechi in banca a versare mazzette di banconote per migliaia e migliaia di euro, che un sindaco esegua acquisti in contanti per svariate decine di migliaia di euro senza alcun prelievo proprio o dei propri familiari, che un sindaco asserisca, senza battere ciglio, che vacanze costose gli siano state interamente pagate da un facoltoso imprenditore, Carlo Toto, che si appresta a partecipare e vincere uno dei più importanti appalti della città. Anche il più ingenuo capirebbe che sono entrate illecite”;
– “È inconsistente l’argomento secondo cui l’impresa che regala lo ha fatto – o potrebbe averlo fatto – per mera amicizia, o per riconoscenza, o per non si sa che. Come se questa ipotesi (data la qualità delle regalie) abbia mai avuto genuina corrispondenza in una qualunque nostra concreta esperienza ostensibile o anche semplicemente personale. Chiunque può constatare, ogni giorno e senza eccezioni, il contrario: chi dà, quando attende, lo fa per comprare o sdebitarsi”;
– “Si può dire che i Toto erano a completa disposizione di D’Alfonso per ogni sua esigenza economica. D’Alfonso disponeva della cassaforte di Toto” (per la Procura è inoltre impensabile credere che i rapporti “amicali” tra D'Alfonso e i Toto non implicassero una componente affaristica per cui l’ex sindaco sarebbe stato “sul libro paga dei Toto” ottenendo in cambio viaggi e regali che non possono che essere stati “atti corruttivi”);
– Sull’acquisto a prezzo stracciato della villa di Lettomanoppello da parte di D’Alfonso “il tribunale non ha colto l’eccezionale qualità delle prove documentali, è sufficiente guardare la villa per capire che non poteva costare 290 mila”.
www.iduepunti.it/francia/4_giugno_2013/clamoroso-luciano-d’alfonso-non-è-stato-assolto
e poi ancora le tre puntate sulla Bella Vita di Luciano D'Alfonso
www.iduepunti.it/abruzzo/26_febbraio_2014/la-bella-vita-di-luciano-dalfonsoprima-puntata
La notizia è talmente vera che D'Alfonso si confida in diretta televisiva con Maurizio Acerbo, candidato alla Presidenza della Regione Abruzzo con Rifondazione Comunista.
Scrive Acerbo"
Anche oggi D'Alfonso non ha risposto sul bancomat, ma ammette di essere prescritto Questa mattina nel corso del confronto televisivo presso l'emittente Antenna10 ho di nuovo posto a D'Alfonso la domanda a cui non si potrebbe sottrarre alcun politico in un paese civile. Come campava senza prelevare somme dai propri conti o da quelli dei familiari e da dove venivano le somme invece versate in contanti sugli stessi conti? Di nuovo D'Alfonso non ha risposto limitandosi al solito invito a leggere gli atti processuali, esercizio ovviamente difficile per i normali cittadini. Su mia sollecitazione pero' D'Alfonso ha ammesso di non essere stato assolto da tutti i capi d'imputazione ma di aver beneficiato della prescrizione, un aspetto della vicenda giudiziaria che meriterebbe approfondimento. E' un peccato che non vengano informati gli abruzzesi sui miracoli di economia domestica di cui e' stato capace il leader del centrosinistro abruzzese. E' assai grave che D'Alfonso continui a non fornire chiarimenti comprensibili su vicende che sono molto più gravi dell'adulterio di Chiodi nella stanza 114. E' indice poi di una diffusa e trasversale attitudine omertoso che sia soltanto il candidato di sinistra Maurizio Acerbo a porre domande di questo genere. E' d'altronde evidente che i due schieramenti di centrodestra hanno gli armadi talmente pieni di scheletri che non si attaccano mai apertamente sulle cose serie limitandosi a esercitazioni di fumisterie programmatiche.
Che dire?
Amen...
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