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La Vittoria del "Compagno" Melarangelo

di Miss Marple
3 minuti

La fortuna di un blogger è di essere svincolato. Da linee editoriali. Da possibili “marchette” per una parte o l'altra, tanto è lo stesso. Dai confini segnati con il gessetto, come quando si giocava a campana, della cronaca cittadina  e avere la pretesa di spaziare nei massimi sistemi e nella cronaca che non dovrebbero appartenere alla provincia piccina picciò. Mario Monicelli e Sandro Melarangelo. Cosa li lega? Forza e coerenza. Il primo nella morte, il secondo nel ruggire alla vita. Tutti e due a muso duro, come cantava Bertoli. Sempre. Di Mario Monicelli tutte le riflessioni del caso andrebbero lasciate alla comunicazione, quella vera e seria, sulla morte di un grande, meglio un grandissimo. E non solo sulle zingarate indimenticate e sull'Italietta nostalgica dei soliti ignoti ma sulla scelta di morte di un uomo lucido, attento, rigoroso. Suicidarsi a 95 anni colpisce  e riporta alla coerenza di chi ha vissuto in un certo modo e ha deciso, quando ha capito che la malattia, più degli anni, gli avrebbe stoppato per sempre quel suo modo, di lasciarsi scivolare giù da una finestra. Niente giudizi morali. Condanne. Assoluzioni. Nessuna giustificazione che qualcuno possa arrogarsi il diritto di firmare e staccare dal libretto della vita. Una questione, la sua, si percepisce, di coerenza. Anche nel morire come si è vissuti, per questo vecchio incredibilmente giovane e, forse proprio in quanto tale, insofferente che, se non poteva continuare a vivere a modo suo, ha sbattuto la porta e se n'è andato. Perché parlarne in un blog made in Teramo? Perché a Teramo una prova di coerenza e forza, declinata rabbiosa in tutt'altra direzione, arriva da un  altro “vecchio” che dà, anche lui, lezioni di coerenza. Di uno stile di vita. Di averci creduto e di crederci. C'è chi lo ha deriso, Sandro Melarangelo, “il professore”, con una visione miope e villana in uno studio televisivo, dopo che lunedì si è sdraiato davanti al camion  che portava via le nostre pietre dal nostro anfiteatro. Dove nostro si legge di tutti i teramani, ma proprio tutti. C'è chi si è scandalizzato del suo gesto eclatante. Come non essere invece colpiti dalla forza, dalla giovinezza, dagli ideali che bollono e ribollono? Anche nel '59, a chi sfuggisse, lui era lì, nel teatro romano a protestare e ruggire per contestare le ruspe che abbattevano casa Forti e fornici, tutto insieme nell'arroganza che faceva rima con ignoranza. E lunedì, cinquant'anni dopo, era ancora lì che protestava e ruggiva. Capelli bianchi e lunghi, sciarpa leggera e svolazzante al collo, basco in testa, il piccolo megafono in tasca. Urla, Melarangelo, che le pietre del teatro non devono essere spostate, gira sui tacchi e abbandona l'incontro con la Soprintendenza. Solo più tardi saprà che un sopralluogo ha cambiato le carte in tavola: le pietre non si muoveranno da lì dove sono e verrà invece allargata l'area del cantiere per ospitarle. Piace questa sua prova di forza. Di giovinezza. Di coraggio. Piace perché arriva da una vita “inoltrata” dove cinquant'anni, è evidente, non sono passati inutilmente. La pratica della protesta, ancora e sempre, è solo apparentemente immobile. La forza è forza. Che bello ce ne sia ancora, in giro.

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Commenti

Hasty la victoria siempre comandante Sandro!
grande professore, la dimostrazione che molto ma molto spesso il volere è potere............questa piccola ma grandissima azione di protesta dimostra che l'inerzia è il pane dei potenti...........