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Il corrosivo: In silenzio, dietro le finestre

di Elso Simone Serpentini
8 minuti

Era il 1964. Studente universitario a Roma, fui incaricato dalla Direzione Nazionale Giovanile del mio partito, di cui facevo parte, di una particolare missione: andare a sostenere con una serie di comizi la candidatura al consiglio provinciale di Potenza, nel collegio di Venosa, di un esponente di spicco della politica nazionale, imprenditore locale. Rimasi in Lucania per una settimana e feci diversi comizi, in vari centri: Venosa, Rionero in Volture, Palazzo San Gervasio. Un giorno fui accompagnato in un paese per un comizio da un sodale del candidato che sostenevo, come avveniva di consueto, ma mi trovai ai piedi di un palco in una piazza completamente vuota.

Pensai che, data l’assenza di pubblico, il comizio sarebbe saltato. Ma chi accompagnava mi invitò a salire sul palco, di mettermi davanti al microfono, e di cominciare pure il mio comizio. Feci presente che non c’era nessuno ad ascoltare. Con mia grande sorpresa mi sentii dire: “Qui è sempre così. In piazza non c’è mai nessuno. Ma stanno tutti ad ascoltare dietro le finestre”. Rimasi allibito, salii sul palco e parlai per quasi un’ora, in un clima surreale, ad una piazza vuota.
Ho ripensato a questo antico episodio della mia vita in queste ultime settimane, dopo una serie di riflessioni svolte su questa rubrica riguardo alla miserevole condizione politica, sociale, culturale di Teramo e dei teramani, riflessioni non prive di qualche provocazione, ma o finite contro un muro di gomma o perse nel vuoto, senza suscitare alcuna reazione pubblica o esplicita, né di sdegno né di partecipazione.

Per strada, però, circolando tra la gente, ho ascoltato diverse dichiarazioni private, di persona, o di accordo e sostegno o di partecipazione e solidarietà, che mi hanno trasmesso la sensazione che le mie parole fossero state lette stando “dietro le finestre”, così come vennero ascoltate nel 1964 in quel paese della Lucania le parole del mio comizio. Le cifre incredibilmente grandi riferitemi dal gestore del blog in relazione alle letture della mia rubrica hanno rafforzato in me questa sensazione.
Mi sono chiesto come mai a Teramo tanti preferissero non pronunciarsi e non esporsi, né per assentire né per dissentire da quello che venivo scrivendo, ma rimanere a leggere stando “dietro le finestre”. Poi l’ultimo scritto, contenente la mia proposta di formulare un manifesto degli intellettuali e degli operatori culturali teramani, è stato salutato dall’apertura di qualche finestra, ma solo dopo che da una, un bel balcone fiorito, si era affacciata Rossella Natali, desiderosa di far conoscere il suo parere, non privo di qualche “distinguo”.

Le finestre che si sono aperte dopo questa prima “affacciata” non sono state molte, e più di una ad opera di qualcuno che ha pensato bene di nascondersi però il volto, per non farsi riconoscere, preferendo far conoscere il suo pensiero nascosto dall’anonimato.
Qualche altra finestra è stata aperta in modo intelligente, nel tentativo di proseguire il confronto o di dar vita ad un dibattito sull’argomento in questione, il rapporto tra Teramo e la cultura.
Qualche altra però è stata aperta, pur senza nascondere il volto, con l’evidente intento di vuotare in strada il vaso da notte, come si faceva durante il Medioevo, quando nelle case non c’erano ancora i cessi.
Questo ha fatto sì che l’eventuale proficuo confronto delle idee è stato sviato, trasportato su livelli sui quali non mi è gradevole condurlo. Tanto è vero che non intendo richiamare alcuna argomentazione né abbozzare alcuna risposta. Preferisco solo aggiungere alcune considerazioni, personali e mie, a quelle già svolte nel mio intervento iniziale, retrocedendo da un proposito che per qualche tempo mi ha indotto a interrompere questa rubrica e a rinunciare al mio tentativo di continuare a cercare di “corrodere” per la totale mancanza di un residuo metallo da corrodere (né oro, né argento, né rame, né metalli meno nobili, quali ferro o stagno e per la esclusiva presenza di materiali del tutto inconsistenti).

Intellettuali o operatori culturali che siano, i teramani, quelli che non sono proprio la massa amorfa che non ha altra incombenza che passare il tempo senza far nulla e senza alcuna aspirazione o curiosità spirituale, ma con esigenze solo materiali, si mostrano sempre solipsistici, autoreferenziali, sempre pronti a far le pulci agli altri e a coltivare l’orticello della propria associazione, a riverire i potenti e ad elemosinare contributi e attenzioni. Ognuno ritiene di essere più titolato degli altri e di avere cose più interessanti da dire. Ognuno ritiene che l’altro non abbia titoli sufficienti per sedere alla sua stessa tavola. Quando sotto i portici, davanti ad un libreria che poi ha lasciato posto ad un caffé, non letterario, sistemammo un tavolo, che chiamammo “Tavolo della Sapienza”, con quattro sedie, mettemmo un cartello: “Sii sempre pronto a cedere la sedia a chi ritieni sia più sapiente di te”. A Teramo pochi sono disposti a fare proprio questo motto.

Quasi tutti sono pronti a contare le volte in cui ti “fai vedere” ad una mostra (organizzata da loro), ad un concerto (organizzato da loro), ad uno spettacolo teatrale (organizzato da loro), in una libreria (dove, a volte, vanno loro), alla presentazione di un libro (loro o di qualche amico) o ad un evento culturale (organizzato però da loro o dai loro amici).
Pochi sono autentici in questo amore per la cultura e per l’arte, nelle sue varie forme e nei suoi vari generi. Pochi sono disposti a provare vergogna, come l’ho provata io l’altra sera, quando al Teatro Comunale ho ascoltato un concerto, rattrappito sulla poltrona, mezzo sfondata, a troppo stretto gomito dei miei vicini, e senza poter ascoltare quello che dicevano la presentatrice e il direttore d’orchestra per la mancanza dell’impianto di amplificazione.

Poca gente vedo nelle librerie dove io passo ore, anche per amicizia con i librai. Nei locali cinematografici vado poco perché il pubblico mi infastidisce con le sue chiacchiere e i film non sono di prima visione. Ai concerti e a teatro, quando vado, continuo a vedere un pubblico meno interessato al palcoscenico che allo sfoggio delle proprie eleganti toilettes. Alle presentazioni di libri vedo sempre e solo gli amici degli amici (a meno che la sala non sia stata riempita da un richiamo di appartenenza ad una “comune fratellanza”) o la presenza di agenti di polizia in tenuta antisommossa perché ciò di cui si parla non è gradito a qualcuno, che manifesta il proprio “anti”. In biblioteca continuo a vedere una massa di frequentatori composta sempre più da lettori di quotidiani e da studenti con il libro davanti, ma con in mano l’immancabile smartphone su cui smanettare in continuazione. In alcune sale espositive posso apprezzare solo opere scelte da chi si è visto affidato il potere di gestirle e quindi di decidere chi e quando deve esporre; in altre si registra una riduzione di spazi, perché il sindaco ha deciso di destinarne una parte ad altro uso, non artistico o culturale; in altre ancora sento dire che quella mostra non ci sta bene perché l’artista non è all’altezza.

Intanto continuo a dover lamentare una mancanza di un dibattito autentico, di crescita collettiva della cittadinanza, un disinteresse completo degli amministratori e un interesse rivolto solo ad iniziative di nessuna valenza culturale. Continua il degrado, manca la partecipazione, progredisce la desertificazione e arretra la cultura. I più non si arrischiano ad esprimere il proprio pensiero e chi lo fa si nasconde dietro l’anonimo. Tutti gli altri se ne stanno in silenzio, nascosti “dietro le finestre”.

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La curiosità per la conoscenza e per il bello è soggettiva. Oggi l'arte, la lettura e tutte le altre forme di espressione per molti sono diventate solo forme di tendenza, perché è di moda, perché certi personaggi in cerca d'autore rappresentano un must ed un modo per frequentare salotti della Teramo bene. A me affascina di più un perfetto sconosciuto che espone le sue opere in un sottoscala o chi legge di notte con una luce flebile per paura di essere distratto o disturbato perfino dal silenzio che lo circonda. Ė sempre un piacere leggerla Professore.. le esperienze della vita le fanno raccontare il mondo con gli occhi di chi guarda e ascolta da dietro una persiana chiusa ma con la tenacia di chi affronta una piazza apparentemente vuota.
Tutto vero.
è possibile che solo la classe dirigente italiana, idiota, provinciale, ladra e incompetente, che nella maggior parte dei casi non ha mai preso un euro da qualcuno che ha scelto di darglielo perché apprezza i suoi servizi/lavoro, ma che è attaccata a qualche carrozzone pubblico che trae arbitrariamente risorse dalla collettività attraverso la coercizione e l'entitlement [e va avanti a vita con i diritti acquisiti wow!], abbia il coraggio di metterci la faccia, anche se questa faccia è a volte oggettivamente sfatta (come s'è visto nei recenti episodi elettorali anche a TE) ? mi direte che sono della parrocchietta turbocapitalista iperliberal? me lo direte da un paese in cui il settore pubblico estrae e arbitrariamente redistribuisce oltre il 60% delle risorse? confrontiamoci su un tema, che non sarà di alta altissima cultura, ma che è complesso e incide comunque sulla nostra quotidianità. e mettiamoci la faccia, almeno. per ripartire dal due più due.
Gent.le Prof. Serpentini, Diceva George Orwell: “Il mio punto di partenza è sempre un senso di partigianeria, un senso d’ingiustizia. Quando mi accingo a scrivere un libro io non mi dico: Voglio produrre un’opera d’arte. Lo scrivo perché c’è qualche bugia che voglio smascherare,qualche fatto su cui voglio tirare l’attenzione, e il mio primo pensiero è quello di farmi ascoltare." E l'arte e la cultura, con queste parole, mi si stagliano, come feroce impegno civile e dichiarata denuncia sociale, contro quella saccente, presenzialista, vanagloriosa autoreferenzialità propria del prendere e non del dare, del sembrare e non dell'essere che caratterizza tutti i nostri ambienti culturali e politici. Poi, però, ho anche letto Danilo Kiš : " Se non puoi dire la verità – taci. Guardati dalle mezze verità." Due scrittori dal pensiero libero e libertario sempre orientato all'esercizio della capacità critica del singolo. Bene. Io a Lei, allora, vorrei chiedere come si fa oggi a superare il dramma di "quel primo pensiero di farsi ascoltare" con l'impossibilità di dire la verità. Ad esser più chiari: chi è oggi che può parlare non dovendo essere costretto a tacere nell'afasia della mezza verità del ritrovarsi - o peggio ancora del volersi proprio ritrovare- compromesso? Perché, vede, io ho il tremendo dubbio che quelle finestre non possono più essere aperte incastrate come sono non solo dall'indifferenza patologica e degenerativa di cui siamo affetti ma soprattutto dall'omertà che deriva dalla ragion impura della propria arrampicante convenienza. Personale e di gruppo. Forse l'unica verità che si potrebbe dire è che nessuno si può più permettere nemmeno di pensare al punto che se ne sta perdendo finanche il desiderio. La necessità è scomparsa da qualche decennio. A Lei, con grande stima per quanto ha fatto e continua a fare qui ed altrove, e a I Due Punti, per ciò che rappresentano come presenza di voce parlante, non posso che aggiungere ciò che mi piacerebbe diventasse il vero e nuovo ( nuovo?) principio di impegno civile per ognuno: “Non scrivere per il lettore medio: tutti i lettori sono medi. Non scrivere per l’élite, l’élite non esiste, l’élite sei tu”. Danilo Kiš Né medi, né élite. Singoli ascoltatori dialoganti nemmeno troppo associati.
Da condividere totalmente! In merito alla gente che ascolta da dietro le finestre, posso testimoniare che quando fui segretario di sezione del PCI nella prima metà degli anni 80 a S Nicolò a T., ai nostri comizi soprattutto se era campagna elettorale per le elezioni politiche, il più delle volte eravamo più persone sul palco che uditori in piazza . Ripeto ERANO GLI ANNI 8O NON IL 64 .
Non ho alcun titolo per sedere al tavolo degli intellettuali. Non ho letto molti libri e non me ne vanto. Però non restavo meravigliato dalle persone che nelle roccaforti democristiane teramane ascoltavano i comizi del Pci dietro le finestre. Semmai a volte mi sorprendeva la presenza inaspettata di qualche ascoltatore non militante. L'Italia è una Repubblica Democratica, ma la vera democrazia è ancora una lontana chimera fin quando non sarà garantito il diritto all'esistenza e negate le discriminazioni sociali e politiche. Intellettuali a parte, con le controriforme sul lavoro dei governi Monti e Renzi nel settore privato si è tornati alla ricattabilità quasi assoluta della prima metà del secolo scorso, ed è un bel dire contro chi cerca di esprimere una legittima opinione critica nascondendosi dietro l'anonimato. Il dramma più grande a mio parere è la mancanza di opinioni, chi diserta le urne e non la segretezza del voto. Signor Marco, chi la sceglie la classe dirigente italiana se non la politica? Chi sceglie la politica e i politici se non i turbocapitalisti di ogni sorta che mandano i loro maggiordomi al governo e in Parlamento, e gli inservienti nelle pubbliche amministrazioni? A chi giova, ad esempio, lo sfascio della sanità pubblica se non ai "turbocapitalisti iperliberal" delle cliniche private?
Dietro le finestre spesso ci chiudono i politici sordi ai nostri interventi sensibili solo alle maldicenze dei creduti. Qualche volta ho provato ad inviarle richiesta di amicizia nella sua pagina facebook. chiusa ai non amici, e non ho ricevuto conferma o rifiuto. Si può' continuare a commentare, pur leggendoli. gli articoli di chi non vuole contatti?
Super critici dei commenti anonimi che non calunniano il prossimo, premesso che l'anonimato pesa più a me che a voi che leggete, sarebbe gradito e auspicabile che oltre ai connotati indicaste anche la vostra professione e condizione economica. La critica anche dura l'accetto volentieri da un Giancarlo Falconi precario come me, ma non da stipendiati e garantiti dallo stato o da affermati professionisti e commercianti di successo.
Io non condivido ciò che dice Serpentini di cui, pur apprezzando gli appassionati interventi per questo e quest’altro, la costante dedizione a smuovere le acque, e, ovvio, la bella scrittura, per il semplice motivo che quasi sempre il cocciuto argomentare , la pacata disamina, mancano di quel di più che smuove le coscienze, sembra quasi che il Nostro, da funambolo navigato, si diverta a presentare una del tutto formale esibizione prosastica, la ripetizione di un format che è sempre lo stesso per cui una volta che ne hai letto alcuni, gli altri li puoi tranquillamente saltare, per cui mi sono ritrovato a non leggerli più, oppure, scorrerli senza interesse e partecipazione. Con gli amici è lecito immagino esprimere ciò che si sente con franchezza, rinunciando a quel quieta non movere che ci fa stare bene con tutti. E non credo che il problema sta nelle persiane, quelle ci stan sempre anche se devo esprimere meraviglia per il rifiuto dei commenti anonimi di cui sul web si fa universale uso. Vedi com’è: sia oggi che ieri autorevoli commentatori, giornalisti, letterati, molto seguiti ed apprezzati, dicono la loro senza a stare lì poi a lamentarsi perché i propri scritti non producono ciò che sarebbe lecito aspettarsi: una palingenesi totale dell’umanità, una rivoluzione nelle coscienze, l’inverarsi delle proprie lamentazioni. Butta lì il seme, poi si vedrà. In questo ultimo corrosivo non capisco francamente quelle giustificazioni non petitae, quella cosa non mi piace, odio l’abbigliamento degli spettatori, le forze di sicurezza che fanno il loro mestiere, e poi, inaccettabili, la non frequentazione di eventi perché frutto di un “loro” che non rientra nei gusti e nella cultura del Nostro. Quasi che chi produce cultura non possa farlo in piena autonomia senza stare a pensare a chi piacerà o meno. Poi c’è non da oggi un ingiustificato rifiuto del privato, del contributo pubblico, quasi che accettare e ricevere soldi pubblici fosse chissà quale illecito destinato a condizionare gli eventi e i loro contenuti. Ecco, se vuoi corrodere spargi meglio i tuoi acidi, va dove porta lo spirito del tempo, allarga gli orizzonti, apriti ad una cultura un po’ più vasta di quella che dimostri di avere, ispirati a quell’ottimo giornalismo d’inchiesta di cui in Italia e nel mondo si fa largo uso, destinato ad aprire gi occhi più tante insistite predicazioni, forse assi più utili ai tempi del Savonarola che ai tempi attuali.