Si intravidero che erano ancora molto lontane tra loro, così non si riconobbero subito, ma solo quando ormai si erano avvicinate a poco più di una diecina di metri l‘una dall’altra. Era tanto tempo che non si vedevano ed erano assai cambiate, sia l’una che l’altra, ma non faticarono a riconoscersi.
Né avrebbe potuto essere diversamente, perché, entrambe figlie di Cultus, erano due sorelle, che, dopo essersi tanto amate, avevano preso ad un certo momento ad odiarsi e ad odiare di essere confuse tra loro. Delle due, Coltura era la maggiore, Cultura la minore, la prima era rimasta sempre rustica e rozza, la seconda era diventata sempre più sofisticata e desiderosa di non essere scambiata per sua sorella.
Dal loro percorso si capiva che la prima, la maggiore, si stava dirigendo verso Teramo, la seconda se ne stava allontanando. Avrebbero voluto fare a meno anche solo di salutarsi, ma non poterono fare a meno non solo di scambiarsi un cenno di saluto, ma perfino di scambiare tra loro qualche parola, sibilata con reciproco disprezzo.
COLTURA – Vedo con piacere e soddisfazione, mia cara, che alla fine ti hanno proprio cacciato dalla città.
CULTURA – Adesso capisco il perché. Se tu sei diretta là, devono aver chiamato te al mio posto.
COLTURA – Mi ha chiamato il sindaco in persona, mia cara, che ama me quanto più disprezza te. Così come tutti in città.
CULTURA – Se non mi avessero cacciato, me ne sarei andata io di mia volontà. Non potevo rimanere un solo giorno di più dove venivo apprezzata sempre meno.
COLTURA – E io, invece, non posso stare un giorno di più lontano da una città che mi venera tanto, al punto da mandarmi dei messi a richiedere la mia presenza tra i cittadini.
CULTURA – E’ ormai lontano il tempo in cui si pensava che entrambe potessimo svolgere lo stesso ruolo. Cicerone diceva cultura vitis e cultura animi, ma fino all’Ottocento siamo state spesso confuse. Oggi le idee si sono chiarite: io riguardo la coltivazione dell’intelletto, tu quella dei campi. COLTURA – Io non so nulla di questo. So solo che i tuoi strumenti, i libri e la penna, sono caduti in disuso nella città dalla quale vieni e nella quale io vado, con i miei strumenti: la vanga e la zappa.
CULTURA – Ti lascio volentieri andare a regnare su gente che, lasciate deserte le librerie e le biblioteche, frequenta i campi coltivati e gli orti.
COLTURA – Se è per questo nemmeno quello, perché mi hanno riferito che i teramani non frequentano più nemmeno questi luoghi, che richiedono fatica e sudore, e amano trascorrere il tempo stando seduti ai tavoli dei bar e dei caffé.
CULTURA – Solo bar, non caffé. Nei caffé ho troneggiato io, con il corteo dei miei letterati e dei miei poeti. Quelli nei quali andrai tu ad essere omaggiata sono solo dei bar, nemmeno più delle cantine, dove pure restava qualche cosa di me.
COLTURA – Tu te ne vai sola e raminga, rifiutata e ripudiata. Io sarò regina e il mio dominio è già un fatto conclamato all’interno del gruppo dei reggitori e dei politici, che amministrano e governano la città nel mio nome, non nel tuo.
CULTURA – Nostro padre oggi si vergognerebbe di te. Il vecchio Cultus teneva tanto a che le sue due figlie esercitassero entrambe uno stesso ruolo, sia pure tu in modo diretto e io in senso traslato.
COLTURA – Le cose sono cambiate, mia cara, da quando tu ti sei invaghita di quei vaneggini di poeti che si sono messi ad andare in giro dicendo che Denaro puzzava e chi gli era amico maleodorava come lui.
CULTURA – So bene che tu, dopo aver trescato con lui e dopo esserti data senza ritegno, hai cominciato a spargere la voce che invece non puzza e che chiunque lo avvicina può essere felice.
COLTURA – Lo vedi che, nonostante tutto, non hai imparato nulla e che la tua saccenza è vuota? Non ti sei mai voluta convincere che la gente non riesce a sfamarsi con un pugno di versi così come invece riesce a fare con un mazzetto di ravanelli.
CULTURA – Non esistono solo la fame e la sete dello stomaco, ma anche quelle dell’intelletto e dello spirito.
COLTURA – Però la gente può continuare a vivere con la testa vuota, non certo con lo stomaco vuoto.
CULTURA – Allora vai pure a riempire la pancia di quella gente, che ha scelto di essere governata da politici con la testa vuota e con lo stomaco pieno.
COLTURA – E tu vai altrove a cercare teste vuote da riempire, ne troverai quante ne vuoi. Ma sai bene di essere destinata al fallimento. Chi ha la testa vuota non ha alcun desiderio di riempirla, mentre chi ha la pancia vuota non pensa ad altro che a riempirla.
Le due sorelle si allontanarono, separando per sempre le loro strade, avviandosi verso direzioni opposte. Si adunò una gran turba, quando in città arrivò COLTURA, ma nessuno portava vanghe zappe o altri arnesi adatti alla coltivazione della terra, né altri idonei ad essere adoperati negli opifici e nelle officine. Tutti avevano invece nella mano destra un calice e nella sinistra un tramezzino, pronti a portare alla bocca alternativamente ora l’uno ora l’altro. Bevendo e mangiando, tutti chiesero alla nuova regina, sindaco ed assessori in testa, di bruciare in piazza tutti i libri che avevano potuto trovare, anche quelli che si ostinavano a parlare della gloriosa storia della città.
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