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Il Corrosivo: Accattoni e incravattati

di Elso Simone Serpentini
7 minuti

Stanno sempre con la mano tesa, a chiedere e a cercare di impietosire. Una volta solo davanti alle chiese, poi agli angoli delle strade e ormai dappertutto. Chiedono, chiedono, chiedono sempre. Spesso sono seduti, o inginocchiati, con un cartello al collo, con la scritta: “Ho fame”. Qualche volta non sono soli, ma hanno accanto a sé un cane e allora la scritta diventa: “Abbiamo fame”. Non è raro assistere ad una scena pietosa, in cui accanto a chi chiede non c’è un cane, ma un bambino e la scritta è sempre al plurale: “Abbiamo fame”. L’accattone, che vive per le strade chiedendo la carità, è a volte un professionista della richiesta di elemosine e, mi spiace dirlo, ci sono popolazioni, soprattutto quelle dell’est europeo, che sembrano considerare l’accattonaggio non come una condizione di vita determinata dalle circostanze, ma come una scelta di vita pregiudiziale.

Ho sempre odiato l’accattonaggio e mi ha provocato sempre un grande fastidio chi tende la mano con insistenza e con petulanza. Sono disposto ad accettare le critiche dei buonisti di buona pasta, a riconoscere che possa essere un mio limite, ma sono fatto così. Non accetto il concetto stesso di elemosina e mi sono beato delle frasi con cui esso è stato condannato da scrittori di varie tendenze. Se Kant riteneva che fare l’elemosina fosse un dovere etico, e il cristianesimo lo ritiene un dovere morale per i fedeli, Anatole France scriveva che l’elemosina avvilisce tanto chi la riceve che chi la fa; Francesco Domenico Guerrazzi che essa anziché sollevare gli accattoni dalle necessità li mantiene nel vizio; Arthur Schopenhauer che, cacciata dalla porta, rientra dalla finestra.

Muhammad Yunus, economista e banchiere bengalese, ideatore e realizzatore del microcredito moderno,  sostiene che l'elemosina dà al donatore l'impressione di fare qualcosa e chi raccoglie denaro mendicando non è motivato a migliorarsi, che mendicare priva l'uomo della sua dignità, togliendogli l'incentivo a provvedere alle proprie necessità con il lavoro e rendendolo passivo.

Ho sempre associato la richiesta di elemosina e l’accattonaggio alla vita vissuta con l’arte di arrangiarsi, tipica una volta delle società povere e oggi indicata come valore positivo in una età di crisi e mancanza sempre più acuta di opportunità di lavoro. So che sarei praticamente impossibilitato dalla mia natura vigile ed ostile, oltre che dal senso della mia dignità, come accadeva all’Umberto D. del celebre film di De Sica, a stendere la mano per chiedere l’obolo anche se mi trovassi nella più assoluta indigenza e preferirei la morte per fame ed inedia alla possibilità di chiedere un solo centesimo a chicchessia.

Il codice penale, prima dell’abrogazione del 15 giugno 1999 di una norma specifica al riguardo, prevedeva l’arresto fino a 3 mesi di chi mendicava in luogo pubblico o aperto al pubblico, e l’arresto da uno a 6 mesi se il fatto era commesso in modo ripugnante o vessatorio, o simulando deformità o malattie, o adoperando altri mezzi fraudolenti per destare l’altrui pietà. La finalità del codice era la difesa dell’ordine pubblico e della pubblica tranquillità e in particolare del decoro e della probità della civile convivenza fondata sul lavoro. Dopo l’abrogazione, rimane in vigore la norma che punisce con l’arresto da 3 mesi a un anno chi si avvale, per mendicare, di una persona minore di 14 anni, o comunque non imputabile, che sia sottoposta alla sua autorità, custodia o vigilanza o che permetta che tale persona mendichi. Se il fatto viene commesso dal genitore o dal tutore la condanna implica la sospensione dell’esercizio della potestà dei genitori o dall’ufficio di tutore.

E’ noto a tutti che sia la norma abrogata che quella rimasta in vigore hanno sempre trovato nessuna o assai scarsa applicazione e le nostre strade sono oggi sempre più affollate di accattoni e di questuanti di ogni  tipo e di ogni razza. Ogni mattina nelle città dei pulmini scaricano e depositano qua e là nei punti più affollati falsi storpi e medicanti vecchi e giovani, che devono poi consegnare gran parte di quello che viene loro dato in elemosina ai loro magnaccia. Il fastidio che ne provo è indicibile e se qualcuno è lì pronto a dirmi che è un mio limite, io sono altrettanto pronto ad accettare l’osservazione, ma deciso a non mutare di una virgola il mio giudizio e il mio atteggiamento.

Non esiste soltanto l’accattonaggio materiale, c’è anche quello morale, e molti sono attorno a noi gli accattoni per vocazione, che non appartengono alla turba di questuanti da strada o da piazza. Molti sono ben vestiti e ben pasciuti, ma sono accattoni dentro, nell’animo.

Ben vestiti sono gli incravattati,
per i quali provo altrettanto fastidio che per gli accattoni. Di solito vanno in coppia e indossano anche d’estate e con il solleone giacca e cravatta. C’è una battuta nell’ultimo film di Antonio Albanese che fa per loro: “chi non porta la cravatta compra, ma non vende”. Gli incravattati soffrono il caldo, ma lo combattono, malamente. Quando si tolgono la giacca dopo aver terminato il loro lavoro e lasciato i loro clienti, si tolgono le giacche e mostrano il sottoascelle grondante di sudore. Si sciolgono il nodo della cravatta mostrando lo stesso piacere che proverebbero gli impiccati se riuscissero a sciogliersi dal collo il nodo scorsoio che, stringendosi, sta per togliere loro la vita. Provo un po’ di pena per gli incravattati, ma è maggiore il fastidio che mi provocano, perché immagino il loro stile di vita, sempre costretti a cercare di vendere qualcosa, inconsapevoli del fatto che vanno vendendo anche se stessi e la loro libertà. Molti di loro sono seduti alle loro scrivanie, dentro i loro uffici, e non sanno che sono dei carcerati.

Dicevo che vanno a coppie, gli incravattati, ma se li conosci e li eviti, non sono pericolosi. Però quando vanno in giro più numerosi, in gruppi di quattro o più, molti fra quelli che li incontrano fanno gli scongiuri, perché è fin troppo evidente, dalle cravatte uniformi e dalle loro livree, quale sia il loro triste ufficio.


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QUANTO È BELLO IL MENDICARE FA SCORDARE IL LAVORARE !! Per iniziare è molto facile perché l'investimento è praticamente nullo. Niente canone di locazione, guadagni esentasse, niente Iva, niente imposte e tasse, zero controlli fiscali,abbigliamento informale. Con il PIL fermo, con la crisi economica che ci sta massacrando l'accattonaggio mi sembra l'ultima frontiera del commercio globale. Chiedere la carità crea dipendenza, se si inizia poi non si smette più! Quindi anche voi, cari uomini in coppia e in cravatta, accaldati anche l'autunno, mettetevi comodi, rilassatevi e cominciate a valutare, seriamente, di tentare la fortuna in questo business decisamente interessante!!!...nunc coepi.....
Ultimamente mi sembra di pagare la tangente, ogni volta che varco la soglia di un supermercato o di in luogo pubblico, ci sono sempre questuanti a chiedere o pretendere SOLDI, e sono sempre le stesse facce, mi sembrano degli impiegati che timbrano il cartellino, sinceramente voglio pure contribuire, anche se minimamente, a sfamare qualcuno, ma che ogni giorno, ogni ora, salvo l'ora di pranzo, ci siano sempre le stesse persone a chedere i soldi mi da fastidio! Insomma mi sento ricattata! Ti scuotono il bicchierino con le monete dentro per ricirdarti che devi il pagamento e lo fanno anche a distanza ravvicinata!!! Non ne posso più, forse mi conviene farmi mandare la spesa a casa?
Riguardo ai furbi condivido il Prof e i primi commenti. Ma non esistono solo gli accattoni "professionisti" o "incravattati". La miseria e la fame sono invenzioni dei comunisti? Siamo seri e non scherziamo sui drammi di singole persone o di intere famiglie. Se fossi costretto ad elemosinare un pasto, probabilmente per orgoglio preferirei morire, ma di certo non biasimo chi allunga una mano per sopravvivere o per non perdere un figlio che diversamente non potrebbe mantenere. Cosa si propone per chi vorrebbe lavorare ma non trova opportunità? Un silenzioso suicidio per non disturbare le coscienze di chi non conosce la fame?
Sig. o Sig.ra “simbr li sold”, associo il suo pseudonimo ad un/una commentatore/commentatrice di questo blog con il/la quale non sono mai stato d’accordo, pur non rammentando – lo confesso – quali post da lei scritti mi hanno convinto della “cronica” antitesi fra le mie opinioni e le sue. In questo caso, però, trovo che il suo intervento meriti un dieci e lode. Complimenti.
Gentile " è tutta una questione di soldi " (ore 15, 03).....il resto è conversazione...aggiungerei io! La miseria non è una invenzione del comunismo,mi pare, ma neppure un disturbo psicologico importato in Italia dai paesi del terzo mondo. Tuttavia mi sembra che in questi ultimi tempi, la povertà, la miseria, si è rivelata molto contagiosa, quasi una pandemia. La miseria che lei intende è quelli del padre di famiglia che ha perso il lavoro, che non ha il coraggio di guardare negli occhi i propri figli. La povera dei poveri, di chi è in ginocchio in un vicolo cieco,senza speranza. Ma il padre di famiglia che ha preso il lavoro non tenderà mai la mano davanti alla chiesa di San Domenico o sotto i portici del Banco di Napoli per chiedere la carità, perché non è questa la via per ritornare a una vita dignitosa, mi sembra.....
Aznavour, la indichi lei l'alternativa, "la via dignitosa" a chi è costretto a saltare i pasti a causa della povertà. Le sembra strano che in una fase di gravissima crisi economica generalizzata, di fughe in massa dai paesi del terzo e quarto mondo verso l'occidente, i poveri aumentino a dismisura? Sarebbe strano il contrario. Quello che intendevo nel mio precedente commento, è il rischio di fare di tutte le erbe un fascio. Si metta un attimo nei panni di un vero povero e ce ne sono tanti, che dopo aver trovato il coraggio di allungare una mano per continuare a sopravvivere, si sente etichettato come uno scroccone sfaticato. Per noi l'argomento equivale ad una normale conversazione, mentre per altri è un dramma che rischia di sfociare in tragedia. Altro conto sono gli accattoni professionisti o incravattati, ma l'avevo sottolineato già in precedenza. Bisognerebbe avere l'accortezza di saper distinguere il vero dal falso, oppure trincerarsi verso un "dignitoso" silenzio.