Sagre, sagrette, sagrone, sagrine, sagracce. Sagre in tutte le salse. Sagre di tutto, di ogni cosa. Sagra dell’arrosticino, de li cepp e de li franceschill, delle pappardelle al sugo di papera, della birra, de li ciuffelitte e ceci, delle fregnacce, del coatto, della pecora alla callara, delle anguille, del pesto casolano e del baccalà, del prosciutto abruzzese, del ddu botte, delle birre artigianali, dei sapori di mare, del tartufo, delle vongole, del timballo, del fungo porcino, dei maccheroni alla molinara, della porchetta, del baccalà, della frittella, della mozzarella, del pesce, degli gnocchi, dei trabocchi, dei cingoli cellinesi, del granoturco, del tacchino alla canzanese, delle pennette alla pecorara, del farro, dell’agnello alla scottadito, del boscaiolo, della ricotta, della trippa, della trota, de la mazzafame, della pizza, della tagliata, della zuppa di ceci, dei tagliolini, dei fagioli, del formaggio pecorino, delle rane fritte, della chitarra con le pallottine, degli gnocchi al sugo, del castrato al forno, del calzone, del gusto, delle alici, delle fregnacce al sugo di papera, del luppolo, della seppia, delle lumache, de lu stennemasse, della fava, del formaggio fritto, delle virtù, del maiale e dello gnocco ripieno, de lu magnà de ‘na vodde, della polenta, delle castagne, della cipolla, sagra delle sagre… Sono tutte sagre vere, non me ne sono inventata una, lo giuro. Anzi, potrei facilmente aggiungerne altre.
Oltre alle sagre, le feste. Feste e festicciole. Festa dell’arrosticino, la scurpellata, festa paesana, festa della trebbiatura, Garrufo con gusto, abbuffata di pesce, tacchinando, San Giorgio in festa, festa dei giovani, festa popolare, Piacere Colonnella, Calici di stelle, festa della pizza, notte della transumanza, il pesce in campagna, bontà di mare, i tesori della fattoria, Atri a tavola, Edelbierfest e Craftbierfest, il commensale del borgo, un canestro di birra, cacio in festa.
E i festival. Festival della birra, della birra artigianale, della birretta, del vino. Di ogni cosa. Non c’è praticamente prodotto che non dia il nome ad una sagra, ad una festa, ad un festival. La provincia di Teramo è la patria delle sagre. Ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti. Nulla sfugge agli organizzatori di sagre e a quanti accorrono numerosi. Se qualcuno volesse prendere parte a tutte, nel giro di un paio di mesi potrebbe tranquillamente raggiungere i 150 chili. E c’è chi lo fa. C’è chi non se ne perde una. E’ un mistero. Come si può passare ore e ore ad una sagra della birra e poi tornare a casa indenne, alla barba di ogni alcool-test?
In tempi di crisi l’economia teramana si affida alle sagre e alle sagrette. Anche il turismo cerca nelle sagre la propria salvezza. Non c’è rimasto altro. Non si va tanto per il sottile, non si bada tanto alle norme, ai regolamenti, agli obblighi e alle prescrizioni, anche igienico-ambientali. Non c’è pro-loco che non cerchi di impinguare le proprie casse, quelle degli imprenditori e degli esercenti che sperano di poter incassare in pochi giorni quello che solitamente incassano in un paio di mesi.
Ovviamente non ho nulla contro le sagre. Penso perfino io che, in fondo, la vetrina eno-gastronomica possa essere un forte richiamo per i turisti. O almeno in molti sperano che lo sia. Però…. I miei “però” sono tanti, specifici e generici.
Tra quelli specifici, alcuni, come mi sono accorto, sono condivisi anche da alcuni addetti al settore. Proprio in questi giorni l’ARIAA, l'associazione dei ristoratori di Alba Adriatica ha proposto una riorganizzazione dell'offerta turistica con una regolamentazione delle attività enogastronomiche, che passano sotto il nome di sagre. In un comunicato dell’associazione si legge: “Ancora oggi, infatti, gli eventi eno-gastronomici proposti nel territorio sono spesso frammentari e a vantaggio di singole realtà associative, incapaci da sole di partorire iniziative che possano valorizzare tradizione e professionalità locali". C’è poi da dire che il concetto di “sagra” ha, per definizione e per significato, connotazioni e valenze storiche e culturali che sono state perdute del tutto ormai da tempo.
Si pensi che il termine ha origine latina e deriva dall’aggettivo sacrum ("sacro). Infatti la sagra si connotava inizialmente innanzitutto per la dimensione religiosa, essendo legata alla festività del santo patrono o richiamando le feste popolari dell'antichità, che venivano celebrate davanti ai templi o, in epoca cristiana, davanti alle chiese. Le sagre, inoltre, si relazionavano con i vari momenti dell'anno (l'inverno, la primavera, la mietitura, la vendemmia). In abbinamento alle feste religiose erano anche il mezzo per ringraziare la divinità (realizzando dei momenti di comunione tra uomini e sacro) o per propiziarsi la bella stagione.
Adesso le sagre si svolgono quasi tutte nel periodo estivo, senza alcun legame con la stagionalità, nemmeno con quella dei prodotti, dei quali molti vengono offerti al gran pubblico fuori stagione. Il loro unico obiettivo è di richiamare il maggior numero di persone, in una grande confusione, senza alcuna valenza culturale. D’altro canto, quelli che ci vanno non hanno altro fine che quello di ingozzarsi. Poca qualità, molta quantità. E qui c’è un altro mio “però”, grosso come una casa. Non solo la sagra non viene più vista come un momento di aggregazione sociale, non viene più organizzata nei giorni della festa patronale, ma i piatti e le specialità vengono offerti non, come dovrebbe essere, a prezzi minori rispetto alla consumazione in un locale chiuso, ma a prezzi maggiorati, approfittando della buona disposizione dei frequentatori di sagre, che non badano a spese.
Tra i miei “però” generici, alcuni sono legati alle sagre davvero con un filo sottile, ma non da un collegamento forzato. Penso che assai spesso in un paese, in un borgo, in una contrada, c’è qualcosa che assai più di una sagra potrebbe essere valorizzato e in maniera assai meno arruffona. Penso a quanto non si faccia nulla per segnalare al turista la presenza di un monumento, di un manufatto, di una tradizione, di un reperto storico o artistico. Penso a quanto facilmente un frequentatore di sagre mette mano al portafoglio per acquistare nella calca un piattino con quattro sardelle affumicate che gli vengono fatte pagare per otto o a volte per sedici solo perché vendute in una sagra. Penso a quanto difficilmente quello stesso frequentatore di sagre entra in un museo o in una libreria e, se ci entra, quanto faticosamente tira fuori dalle sue tasche dieci euro per comperare un biglietto o un libro, ritenendo che la spesa sia troppo alta per lui.
Ecco, tra i miei vanti c’è quello di frequentare molto i musei, le sale da concerto, i teatri e le librerie e di frequentare assai poco le sagre. La birra e le salsicce mi piacciono, ma preferisco gustarle a casa mia. Per quanto riguarda la mia presenza, ho preferito assicurarla non come consumatore in una sagra, ma come relatore ad un evento organizzato a Pianella, dal titolo suggestivo: “Cultura sotto la luna”.
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