Assassinare una banca è un crimine? Certo che lo è, uno dei peggiori. L’assassinio è di per sé spregevole, specie quando la vittima è un uomo. Si chiama omicidio. Ma, anche se in criminologia il termine assassino indica colui che, volontariamente, compie un omicidio, cioè ammazza un uomo, può indicare anche l’uccisore di un animale non a fini alimentari.Anche uccidere una banca è un assassinio, senza contare il fatto che, quando si uccide una banca, si uccidono economicamente anche degli uomini, impiegati, azionisti e risparmiatori. Si uccide anche, sempre economicamente, un territorio e la sua gente.
Dunque, assodato che uccidere una banca è un crimine, bisogna chiedersi chi sia stato il criminale, o i criminali, che l’hanno uccisa. Poiché la Tercas, una volta Cassa di Risparmio, è stata uccisa e il crimine è stato commesso, bisognerà, o bisognerebbe, portarsi sulla scena del crimine e condurre opportune indagini, fare adeguate rilevazioni, studiare le tracce lasciate dall’assassino, o dagli assassini, fare dei rilievi, condurre analisi e interrogarsi a fondo relativamente al movente. Siamo in grado di fare tutto questo per la Tercas? Ci sono ipotesi riguardo al reato commesso?
Ci sono ipotesi quanto al movente. E’ possibile individuare tutte le responsabilità, da quelle dei principali criminali che hanno commesso il delitto ai complici, che si sono limitati a tenere la vittima ferma quando i colpi di pugnale venivano inferti o, per dirla diversamente, a mantenere il sacco aperto quando l’assassino ci infilava dentro la refurtiva strappata alla vittima dopo averla uccisa o mentre la uccideva, comunque derubandola?
Se si esamina “l’affaire” Tercas alla stregua di un delitto, magari per scrivere sulla vicenda un “giallo” classico, che ricostruisca le fasi fondamentali dell’accaduto, a partire dalla scoperta del cadavere fino alle indagini conclusive che hanno portato, se hanno portato, all’individuazione degli assassini, si scoprono molte cose. Molte ne sono state scoperte, molte restano ancora oscure, quindi è forse necessario indagare bene, meglio di quanto si sia fatto finora. Gli inquirenti non dovrebbero procedere con i piedi di piombo, con tanti riguardi, ma come facevano i giudici istruttori di una volta, che torchiavano tutti, testimoni e sospetti, riuscendo alla fine a farli parlare e confessare. Qui, finora, non ha parlato nessuno e nessuno ha confessato. Anzi ciascuno ha avuto alibi da fornire, spiegazioni da snocciolare, difese e difensive da sciorinare, alla luce di una serie di “non c’ero, se c’ero non ho visto, se ho visto non ho capito, se ho capito… non potevo parlare”.
A dirigere una banca che va bene, anzi benissimo, come una nave con il vento in poppa, son buoni tutti. Questo lo abbiamo capito. Abbiamo capito anche che quelli che presiedevano e dirigevano e governavano e amministravano la Tercas vantando i loro meriti per come la banca andava, procedeva, cresceva e produceva meraviglie, erano venditori di fumo. Esercitavano il loro potere con arroganza e con alterigia, passando per geni della finanza oltre che per strateghi politici di grande lungimiranza. Anche quando favorivano amici e sodali per milioni di euro e digrignavano i denti nei confronti dei poveracci tenuti sulla corda per crediti di poche migliaia di lire, parevano degli intoccabili, alla cui corte ognuno doveva presentarsi con il cappello il mano e con grande riverenza.
Poi le cose sono cambiate, ma l’arroganza e l’esercizio sfrontato del potere sono rimasti gli stessi. Anche alla fine, quando i re si sono appalesati nudi, e i presunti controllori si sono rivelati spaventapasseri da cortile, con tanto di cappello di legno sulla testa fatta di paglia, c’è stato chi ha continuato a tentare di fare la voce grossa, contando su alleanze antiche e su coperture moderne, nella speranza di continuare a farla franca. Le complicità sono tante e ancora non sono emerse tutte e del tutto.
I forzieri della banca sono stati svuotati, nemmeno con troppa destrezza, tanto che non erano pochi quelli che si accorgevano dei prelievi truffaldini, avvisando chi doveva essere avvisato, per essere mezzo salvato, ma che, pur avvisato, ha girato la testa dall’altra parte, facendo finta di niente.
Quando i ruoli del controllore e del controllato sono confusi e si alternano, e si intrecciano e si confondono, quando è una Fondazione che dovrebbe sovrintendere ad una banca ad essere sovrintesa dalla banca, quando un nominato viene chiamato a controllare colui che lo ha nominato, si costruisce un clima perfetto per il compimento di un crimine; si pongono in atto le condizioni nelle quali una banca può facilmente essere assassinata e l’assassino può sperare di farla franca.
Ora, i principali responsabili del crimine li conosciamo, ma le indagini sono lontane dall’essere concluse e c’è davvero il timore che nessuno sia chiamato a pagare sul serio e a risarcire il diritto e la verità. Se assassinare una banca è un crimine, ci aspettiamo che quanti lo hanno commesso o ne hanno favorito il compimento, siano chiamati come imputati in un regolare processo e sottoposti a giudizio. Invece, pur tra tante notizie a scoppio ritardato che ogni tanto vengono propalate, finora nessuno è stato affrontato di petto dalla giustizia e da un giudice che non può stare solo a Berlino.
La vittima è li, stesa al suolo, in un bagno di sangue, i suoi parenti piangono lacrime amare, i suoi amici si disfanno le vesti, i suoi congiunti si lamentano, ma gli assassini sono ancora a piede libero, qualcuno cerca perfino di depistare gli inquirenti o di far dimenticare le proprie responsabilità e chiedere nuovo incarichi. Alcuni sono in grado di replicare i propri crimini o di essere premiati per averli commessi. A loro difesa sono scesi o stanno per scendere cappucci e logge, che già nel passato hanno offerto il brodo di cultura di un’azione incontrollata e di appannaggi senza riserve e ora sono in piena azione per offrire le coperture ritenute necessarie.
Intanto la Tercas, morta, sta per essere seppellita definitivamente e messa a giacere sotto un tumulo, in terra di Bari, dove riposerà in pace. Chi aveva sperato che potesse tornare in vita, è costretto ad arrendersi e a rinunciare ad ogni sogno. A mano a mano che si aprono delle sporte, per continuare ad ammassare refurtiva, si chiudono gli sportelli; gli impiegati assumeranno lo sembianze di pendoli impazziti, gli azionisti continuano a dare di matto per aver perduto i loro investimenti, i correntisti si divideranno tra garantiti e non garantiti, a seconda dell’entità dei loro depositi.
Il territorio teramano sarà sempre di più terra di conquista e la nostra economia assumerà, lo sta già facendo, i caratteri tipici delle zone colonizzate. C’era da aspettarselo, perché i teramani è da un bel po’ che vanno in giro con l’anello al naso.
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