Ci vuole un nome. Il nome.
Il Movimento 5 Stelle lo ha detto in tutte le salse che non appoggerà i partiti, per cui onore al merito ed alla coerenza dei grillini che hanno rifiutato la lingua protesa di Bersani.
Però ci vuole poco a passare dalla ragione al torto.
Per cui, se un programma di 20 punti il M5S ce l’ha, se sostiene che al governo non debbano andare figure di partito, deve giocoforza – pena una consistente perdita di credibilità – perfezionare la propria proposta politica, nel senso di formalizzare al Capo dello Stato un nome (o una rosa di nomi) che ritenga gradito per la guida del governo.
È nella persona segnalata come candidato premier che si qualifica l’assunzione di responsabilità che invocano tutti: se il M5S esprime la propria preferenza per un nome, almeno il Capo dello Stato avrà una carta concreta da giocare per assegnare il mandato.
Senza il nome cade tutto.
Senza il nome il M5S dimostra di non voler comandare nemmeno direttamente.
Senza il nome il M5S tradirebbe il desiderio di voler restare sempre e comunque all’opposizione.
Senza il nome le belle parole e i buoni sentimenti non servono a nessuno.
Dica chiaro e forte il M5S chi voterebbe come Presidente del Consiglio, solo in tal modo potrà dire di avere onestamente proposto una via di uscita alla situazione di stallo.
Senza il nome la proposta politica grillina è evanescente, teorica, impraticabile.
Senza il nome siamo al politichese, al gioco del rimpallo delle responsabilità, alle manfrine stucchevoli.
Senza quel maledetto nome Grillo si autoghettizza e si fa male.
Se invece il M5S proponesse il suo candidato il pallino passerebbe a Bersani il quale potrebbe convergere o meno, ma assumendosi lui in tal caso la responsabilità di non avere permesso la nascita di un governo.
Commenta
Commenti