Opera disarmante di Denis Diderot, messa in scena al Teatro comunale di Teramo da un ispiratissimo Silvio Orlando quale ultima tappa della stagione teatrale della Riccitelli, il nipote di Rameau rappresenta la personificazione della coscienza sporca della società in un dialogo che sembra svolgersi oggi stesso fra un personaggio di specchiata moralità e un altro che potremmo riassumere come un berlusconiano.
Il nipote di Rameau rifiuta la verità, si compiace di essere un asservito, celebra la propria ambiguità e legge in maniera disincantata quanto realistica la corruzione dei costumi e della morale. La sua immoralità viene innalzata a manifesto intellettuale con un trasporto ed una naturalezza da suscitare i brividi se solo si pensa a come il testo trovi nella nostra attualità politica un riscontro fedele pressoché quotidiano.
Se François de La Rochefoucauld ha detto che “l’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù”, Diderot frantuma l’ipocrisia per innalzare un monumento al vizio, visto sullo stesso piano etico delle virtù civiche, personali e morali, ma dotato di una maggiore aderenza all’indole umana, per cui la depravazione diviene la cifra logica e stilistica dell’uomo, e la dissolutezza assurge a chiave per la costruzione dell’unica vera felicità concessa agli uomini.
Testo sublime che affascina e raccapriccia, dolce e salato, gelido e bollente, è un affresco dell’animo umano di precisione fotografica che non può lasciare indifferenti e che invita alla meditazione sul declino morale che è alla base della crisi irreversibile della società.
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