Sono basito.
Non reputavo possibile fino ad oggi quello che sta avvenendo alla Regione Abruzzo e alla ASL di Teramo.
Teramo è l’unica Provincia abruzzese a non avere più nessun reparto di oncologia, dopo la chiusura di quello dell’Ospedale Mazzini.
Ma la lista dei problemi della ASL è lunga quanto le liste di attesa: cronica carenza di personale, mobilità passiva, climatizzazione inesistente, il caso parcheggi e birilli, la fuga dei migliori professionisti, la mancanza di trasparenza, chiusure di molti reparti, perfino il bar interno è chiuso.
Il diritto costituzionale alla salute è morto, assassinato dalle forbici di Varrassi e dalla calcolatrice del ragioner Chiodi.
Leggo stupefatto la cronaca di Fabio Capolla, sul quotidiano Il Tempo del 14 agosto, dal titolo “Chiodi promuove il manager Varrassi” e mi domando dove andremo a finire.
Il Direttore generale “nella prima giunta regionale dopo Ferragosto verrà quindi riconfermato fino alla scadenza del contratto”, nonostante “di fatto Varrassi sarebbe già agli arresti domiciliari, lo si capisce dalle motivazioni che hanno respinto la richiesta di arresto presentata proprio dalla Procura” a seguito della presunta commissione del reato di peculato per l’utilizzo privato dell’auto blu, reato di cui lo stesso Varrassi ammetterebbe la colpa avendo già risarcito la ASL, estinguendo in tal modo il debito, ma evidentemente non il reato contro la Pubblica Amministrazione.
Secondo Chiodi la promozione sarebbe “un atto dovuto. Si tratta di una verifica amministrativa e non politica. Non abbiamo giudicato a livello politico l’operato di Varrassi ma abbiamo atteso la valutazione tecnica prevista dal contratto a metà cammino”.
E comunque, Chiodi aggiunge: “Non mi occupo personalmente delle scelte politiche della sanità, possono esserci stati passaggi poco opportuni ma adesso si tratta solo di un passaggio tecnico”.
Gradirei che gli avvocati Mazzarelli, Di Dalmazio e Gatti spiegassero a Chiodi che la concreta probabilità che il Manager abbia commesso un grave reato contro la Pubblica Amministrazione che gestisce direttamente costituisca la prima e più rilevante delle verifiche amministrative che la Giunta regionale deve effettuare.
Più che il contratto individuale, Chiodi deve leggere il contratto collettivo nazionale del comparto sanitario e le leggi civili e penali che regolano il mondo del lavoro. Perché se è possibile dichiarare spensieratamente che la vicenda penale in corso non inficia la valutazione amministrativa e contrattuale di Varrassi, allora è parimenti possibile che Chiodi continui ad affidare le proprie figlie (affinché vengano accompagnate a scuola) a un soggetto per il quale la Procura abbia chiesto l’arresto per pedofilia, soggetto che abbia già provveduto a risarcire la famiglia di qualche ragazzina molestata.
Sorvolo sulla gravissima affermazione di Chiodi in base alla quale il nostro stimato governatore non si occupa personalmente delle scelte politiche della sanità, perché da sola basterebbe a chiedere le dimissioni del Presidente della Regione.
Incredibile che lo stesso Varrassi non abbia lo stile di presentare autonomamente le proprie dimissioni.
Viene da pensare che gli affari gestiti da Varrassi alla ASL di Teramo siano così misteriosamente importanti ed infungibili, che il PDL non possa nemmeno in ipotesi pensare ad un avvicendamento alla direzione dell’azienda.
Tutta questa storia, da mesi, mi sembra drammaticamente analoga a quelle sublimi e tragiche narrate dal grande Dostoevskij nei suoi romanzi.
Dostoevskij è stato il più grande indagatore della profondità della natura umana, colui che ha dimostrato come in fondo ad ognuno di noi sia radicata l’esigenza di una libertà sconfinata, senza limiti, fino all’arbitrio.
Nel romanzo “Memorie dal sottosuolo” si legge che “l’uomo sempre e dovunque e chiunque sia, ha sempre voluto agire come gli è parso e piaciuto”.
L’uomo non si rassegna all’esistenza come regola, per essere libero deve poter giocare la sua vita non più nell’ottica della responsabilità, ma come puro rischio.
In “Delitto e castigo” la libertà viene declinata come trasgressione e il protagonista, Raskol’nikov, è dominato dall’angosciosa questione se per essere liberi si debba obbedire a delle leggi morali.
Per oltrepassare i limiti imposti da una legge morale che appare asfissiante per la libertà, Raskol’nikov uccide. E uccide per provare che la sua libertà è più grande della legge morale.
Il protagonista di Dostoevskij rifiuta lo status quo, l’ordine sociale e le regole vigenti, maturando la convinzione che l’umanità sia divisa in due categorie: quella ordinaria e quella straordinaria, e cita Napoleone quale esempio di colui il quale sia riuscito a oltrepassare le leggi morali alle quali la gente ordinaria deve sottostare. Secondo il suo ragionamento Napoleone ha portato grandi benefici all’umanità, pur se attraverso il prezzo di sanguinose guerre (“gli uomini, per legge di natura, si dividono in generale in due categorie, quella inferiore, gli uomini comuni, per così dire il materiale che serve unicamente per la procreazione di altri esseri simili a sé, e gli uomini veri e propri, aventi il dono e la capacità di dire nel loro ambiente una parola nuova (...). I primi sono gli uomini che vivono nell’obbedienza, e amano obbedire, quelli della seconda categoria trasgrediscono tutti la legge”).
Raskol'nikov commette l’omicidio credendo di appartenere alla categoria degli uomini superiori, ritenendo pertanto che sia stato più che lecito uccidere (poiché il delitto era necessario alla possibilità di operare del bene più grande), ma dovrà scoprire presto di avere sbagliato le proprie valutazioni e come tutti gli altri dovrà espiare le colpe commesse.
Egli sostiene che se Newton o Keplero avessero dovuto uccidere per illuminare l’umanità con le loro leggi e le loro idee, ne sarebbe valsa la pena.
“Io non volevo ucciderla”, rimugina Raskol’nikov nell’adattamento teatrale di Lyubimov e Kariakin, “Semplicemente, è successo così… Napoleone aveva ragione: a un vero capo tutto è permesso… Gli altri, tutti quanti, sono pigmei, mignotte, schiavi, immondizia, fertilizzanti del futuro. Vivono una vita d’obbedienza, amano obbedire, non possono farne a meno, perché è il loro destino, la legge di natura! Si, è chiaro come la luce del sole… Il problema è come si fa a sapere se si è vermi o uomini, uomini che hanno il diritto… il diritto di trasgredire, di valicare i confini”.
In fondo è il mito del progresso: che il male possa servire a un bene futuro più grande.
Chiodi e Varrassi somigliano incredibilmente a Raskol’nikov: credono che nessuna legge possa intralciare il cammino del bene rappresentato dalle loro azioni e apoditticamente affermano la necessità (e l’evidenza dell’utilità) del loro operato.
Anche loro, come Raskol’nikov, dovranno molto presto prendere atto di non essere né Napoleone, né Newton, né Keplero, né tantomeno i superuomini nicciani che credono di essere.
Tavola tratta dal Sor Paolo n.291 del 10 luglio 2011
Commenta
Commenti