Sono otto anni, dalle elezioni comunali di Teramo del 2004 alle quali sostenni il sempre rimpianto (politicamente, s'intende) Lino Befacchia, passando per le elezioni regionali del 2008 alle quali appoggiai convintamente Carlo Costantini, sino ad oggi, otto anni che combatto una battaglia precisa e spesso solitaria contro il sistema di potere Tancredi-Chiodi.
Sono da sempre persuaso che tale sistema di potere conduca Teramo e l'Abruzzo alla decadenza e non alla prosperità.
Il tempo inizia a far trasparire ciò che la bella faccia di Chiodi non lasciava intravedere: che sotto il vestito non c'è niente, quantomeno di utile per l'Abruzzo, se non di pernicioso (il tempo e le inchieste giudiziarie ci diranno se ho ragione).
Registro però con estremo piacere una consonanza integrale fra il mio pensiero e quello del molto più autorevole direttore del quotidiano Il Centro Sergio Baraldi.
L'editoriale dell'11 marzo non richiede commenti, solo la citazione integrale:
"Ci vorrebbe un Monti per l'Abruzzo"
Il centrodestra in Abruzzo ha avuto la sua grande occasione, ma sembra sul punto di sprecarla.
Il centrosinistra era stato sconfitto prima dalle inchieste giudiziarie che dal voto; il governo Berlusconi, arrivato sull’onda della più forte maggioranza parlamentare della storia repubblicana, l’appoggiava; c’era una sostanziale adesione dell’opinione pubblica al ricambio ai vertici delle istituzioni.
Sono passati appena tre anni e lo scenario sembra capovolto: in nessuna delle partite decisive della Regione, il centrodestra e il suo governo regionale possono segnare un bilancio positivo.
Un fallimento viene registrato sul fronte del dopo terremoto: la ricostruzione è ferma e il governo Monti ha favorito un cambio di “governance”, superando la gestione del commissario unico per aprire una fase nuova. Sul fronte della crisi economica, la Regione appare impotente a mettere in campo quelle azioni che, forse, potrebbero mitigare gli effetti della più grave crisi degli ultimi decenni e rendere più competitivo il territorio.
Il Patto per il lavoro, uno strumento che anticipava i tempi e avrebbe potuto rappresentare una cabina di regia per le riforme strutturali, è stato gestito da Chiodi come una camera di compensazione d’interessi di corto respiro, senza alcuna visione strategica. Il disastro dei conti pubblici non è stato affrontato come l’occasione per ristrutturare la spesa per rendere la regione più efficiente, meno costosa, più competitiva.
Solo sulla sanità, sotto l'ombra vigile del governo nazionale, il presidente della Regione è riuscito a raddrizzare i conti, ma senza essere capace di avviare un simultaneo processo di riqualificazione dei servizi.
Infine, la stessa minaccia della crisi economica non è stata giocata come un'opportunità per attuare le riforme che servirebbero all'Abruzzo, soprattutto per realizzare la Grande Riforma della struttura regionale. Costosa, pesante, inefficiente, autoreferenziale, la burocrazia regionale è diventata un freno alla crescita, un ceto che difende i propri privilegi e condiziona la politica.
Se ascoltate il presidente della Regione, sentite un'altra musica: ha salvato la Regione, va tutto bene, funziona tutto, lui è il più bravo, non c'è motivo per cambiare.
Eppure i dubbi che la giunta del centrodestra sia all'altezza della sfida contagiano la stessa maggioranza. Pochi giorni fa s'è tenuto un vertice del Pdl. La cronaca raccontata dal nostro giornale, e confermata dai protagonisti, è rivelatrice: il consigliere Tagliente, una delle poche voci critiche che si levano senza timori e che aveva chiesto la verifica, ha esaminato con molte riserve la situazione e chiesto un cambiamento di rotta.
Il coordinatore regionale Piccone, in modo più diplomatico e cauto, ha sottolineato lo stesso problema. Il capogruppo del Pdl Venturoni ha insistito sulla necessità di cambiare passo e cercare di fare le riforme, come ha poi spiegato al nostro giornale. Tagliente, con sconsolata ironia, ha osservato che si è "scelto di non scegliere".
Questa delusione sembra diffusa nel centrodestra e non solo. Il presidente Chiodi è apparso un uomo arroccato, chiuso nella sua autodifesa, in difficoltà nel riconoscere le ragioni degli altri.
Nessuno ha levato la sua voce per difenderlo. La realtà sconsolante di una Regione che non ha un piano per i rifiuti, l'urbanistica, l'energia, il turismo, i fondi europei, le infrastrutture, la ricostruzione, l'impresa, è stata eclissata da Chiodi. Anzi, il suo sostanziale silenzio è apparso ai leader del centrodestra, che conoscono la dinamica della politica, la conferma preoccupata che la maggioranza rischia di finire sugli scogli.
Lo scenario, in effetti, si prospetta in salita per il centrodestra. Le prossime amministrative in Regione, a L'Aquila soprattutto, indicano una scadenza che riverbererà i suoi effetti sul futuro. Il risultato nazionale potrebbe materializzare il quadro che i sondaggi dipingono: un insuccesso annunciato per il Pdl con il timore che le successive elezioni politiche confermino una tendenza al declino. In questo quadro nazionale poco rassicurante, la situazione in Abruzzo si appesantisce d'incertezza. Alla fine della legislatura non mancano meno di due anni, come dice il calendario; ne manca forse uno se misuriamo il tempo politico reale a disposizione e la possibilità che nel 2013 politiche e amministrative siano accorpate per risparmiare.
In questi mesi, il nostro giornale ha più volte sollecitato il governatore ad avere coraggio: coraggio di governare ma anche della verità. Purtroppo, i fatti danno ragione alle nostre riserve. Scrivo purtroppo perché in politica l'alternanza delle maggioranze è una condizione fisiologica. Esaurita la funzione di una, sorge l'altra. Ma la situazione in Abruzzo è grave.
E l'occasione mancata del centrodestra coinvolge tutti, anche chi non l'ha votato, perché vuol dire che l'intera società manca l'appuntamento con la missione che si era data: riprendere a crescere.
Cinque anni sarebbero passati per gestire l'esistente, spesso con i soliti vecchi metodi; al massimo, riusciremo a bloccare l'emorragia della sanità. Dispiace, quindi, dovere cominciare a tirare le somme di questo governo regionale, e vedere che non tornano.
E' inevitabile che il responsabile principale di questo stato di cose sia il presidente della Regione.
Forse il suo errore più grave consiste nel non aver saputo imprimere a istituzioni e a società un cambio di mentalità: passare cioè da un'ottica amministrativa, incentrata sulla forma, sul breve periodo, sugli interessi frammentati, quindi vecchia, a una gestionale fondata sulla strategia e sul cambiamento del sistema. Purtroppo, Chiodi si è rivelato sempre meno capace di fare della sua maggioranza quell'imprenditore politico che potrebbe cambiare volto all'Abruzzo, aprendo la strada al nuovo.
Questa debolezza politica si è illusa di mascherare la sua inadeguatezza ricorrendo al potere commissariale, al capo che sostituisce la legge, investendo sullo stato d'eccezione, che poi si è rivelato la causa della paralisi. Chiodi è un uomo intelligente, è il primo a conoscere i suoi errori. Sa, ma non può ammetterli; capisce quali limiti lo imprigionano, ma non riesce a confessarlo a se stesso.
In questi giorni, descrive cospirazioni che non sono mai state ordite; accusa di lesa maestà coloro che osano porgli domande alle quali dovrebbe sentire il dovere morale di rispondere per rispetto dei cittadini. Invece di riflettere mostra animosità. Sembra preda di un desiderio che il grande psicanalista Lacan definiva "una carriera senza limiti" e i Padri della Chiesa come un peccato "figlio della superbia" che non si soddisfa se non nella distruzione del bene altrui.
E qual è il bene altrui? Innanzi tutto, è l'intruso che rompe il suo specchio. Ma è anche l'oggetto ideale. Chiodi attacca chi è più vicino al "suo" ideale che non riesce a raggiungere.
Oscillare, come sta facendo, tra due posizioni, l'animosità e l'idealizzazione, significa desiderare di prendere il posto dell'Altro, ricongiungersi con la propria immagine ideale, tornare a diventare il proprio ideale realizzato. Questo ideale è ricordato da tutti coloro (dentro e fuori della maggioranza) che lo criticano e indicano la strada del progetto e del bene comune, mentre lui percorre il sentiero tortuoso del vivere alla giornata e della mancanza di trasparenza. Il più odiato, nelle vicissitudini di questo desiderio, può essere proprio il più simile a ciò che si vorrebbe essere.
Le crescenti difficoltà del centrodestra a governare questa complessa fase storica rappresentano un compito per tutti. Anche per gli avversari. Mentre la politica discute, convoca primarie e congressi, com'è giusto in una normale dialettica democratica, fuori del Palazzo non sappiamo se tra un mese ci saranno tante aziende quante ce ne sono oggi, gli abruzzesi faticano ad affrontare i sacrifici necessari al Paese, molti posti di lavoro un tempo solidi sono diventati precari.
A questo Abruzzo quali risposte dà la politica? Persino i suoi riti democratici rischiano di apparire lontani dai bisogni reali delle persone, mettendo in discussione la legittimità di partiti e istituzioni. Appare sempre più chiaro che l'Abruzzo può scivolare verso il girone infernale delle regioni meridionali, smarrendo la conquista di un ruolo nell'Italia del centro.
C'è bisogno di una svolta non solo politica e economica, ma etica. Occorre una "religione civile" che sappia guidare la società abruzzese attraverso i cambiamenti necessari per non perdere la corsa del futuro. Occorre passare dallo stato d'eccezione a una difficile democrazia normale. Per fare questo non è sufficiente immaginare solo un possibile cambio di maggioranza. Occorre mobilitare energie sociali differenti.
Soprattutto, occorre riaprire i canali dell'impegno e stipulare un'alleanza trasversale tra gli innovatori ovunque schierati contro i conservatori, un dualismo che oggi sembra superare i confini di destra e sinistra. La credibilità di chi verrà eletto per governare dipenderà molto dalla capacità di mettere insieme gli innovatori attorno a questa prospettiva. Ci occorre un Monti per l'Abruzzo, sostenuto anche da uno schieramento politico, ma in grado di rappresentare la voglia diffusa di vincere il declino. Di tornare a crescere".
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