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Il Corrosivo. Le ragioni del silenzio.

di Elso Simone Serpentini
4 minuti

Il silenzio. Si dice che sia d’oro.
Forse una volta lo era. Al tempo d’oggi non è nemmeno d’argento e, se di metallo, non deve trattarsi di un metallo nobile.
Le ragioni del silenzio possono essere tante.
C’è il silenzio di chi non può parlare, c’è il silenzio di chi non vuole parlare.
C’è quello di chi non ha niente da dire e quello di chi ne avrebbe tante di cose da dire che, alla fine, preferisce non dirle.
Ci sono ragioni del silenzio che solo il silenzio, più che l’uso di parole, scritte o dette, può spiegare.
Sono restato in silenzio, per qualche tempo, per qualcuna di queste ragioni sopra elencate, forse per qualche ragione a cui non ho nemmeno accennato.
Ma certo è che Teramo è una città in cui non si distingue più chi parla da chi non parla, e tra coloro che parlano si fa fatica a capire perché lo facciano e ancora di più che cosa vogliono dire e perché.
Così davvero ho creduto che tra parlare o non parlare, tra scrivere o non scrivere non ci fosse poi una grande differenza.
Sento dire ora che molti hanno continuato a dire e a scrivere, ma è come se non avessero continuato, e che di quanti non hanno più detto e scritto nessuno o pochi si siano rammaricati della scelta che hanno fatto.
Sento anche dire che alcuni si propongono di cominciare a scrivere, anche in forma anonima, e mi sovviene che un personaggio di un libro di Sartre si meravigliava, frequentando una biblioteca, che lo scrittore più prolifico al mondo fosse un certo “Anonimo”, che poi non si sapeva nemmeno bene chi fosse.

 Teramo, oltre che una città senza memoria e senza più pudore, è anche diventata una città senza più aspirazioni e chi vi soggiorna si adatta come meglio può al “qui giace”. Le ragioni del silenzio sono molteplici e quelle degli uni si confondono con quelle degli altri, perché troppo spesso capita di dover ammettere che anche chi grida e strepita non fa altro che restare in silenzio, alla pari di tutti gli altri che restano muti. Le parole sono ormai così consumate che il loro uso è muto.
A chi e come parlare di “forme sostanziali” e di “entelechie”?
A chi e come parlare di idee semplici e di idee complesse?
A chi e come parlare di sensazione e di riflessione, di spirito e materia? L’astratto e il concreto si inseguono, ma continuano ad odiarsi e ad evitarsi.

Per le strade di Teramo, di notte come di giorno, si aggirano solo fantasmi ai quali a fatica grideremmo all’orecchio: “Nodum quaerere in scirpo”.
Che restino in silenzio o se ne vadano in giro gridando, fa poca differenza. I politici son così poca cosa che non spandono ombra, gli amministratori sono di così poca consistenza che se li porta via il primo venticello del mattino, i giornalisti sono così privi di inchiostro da non avere il coraggio di scrivere usando il proprio sangue.

Così è meglio il silenzio, più eloquente delle parole, considerato che niente è più silenzioso della parola, quando la parola è inascoltata.
E non ditemi che non abbia buone ragioni per restare in silenzio chi si ritrova da solo ad ascoltare le proprie parole.

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Commenti

IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI Caro Professore il silenzio è un " brano "difficile da interpretare e non fa mai lo stesso clamore! come di consueto chi non riesce a penetrare il senso del silenzio, raramente comprende le parole dette o scritte. Rassegnamoci
Teramo e' in silenzio Domande e riflessioni: 1) " i politici sono cosi' poca cosa che non spandono ombra" quindi è un silenzio religioso? 2) " gli amministratori sono di cosi' poca consistenza che se li porta via il primo venticello del mattino" quindi è un silenzio assenso? 3) " i giornalisti sono cosi' privi di inchiostro da non aver coraggio di scrivere usando il proprio sangue" quindi è' un silenzio omertoso? Il silenzio è d'oro...............
silènzio s. m. [dal lat. silentium, der. di silens -entis, part. pres. di silēre «tacere, non fare rumore»]. – 1. a. Assenza di rumori, di suoni, voci e sim., come condizione che si verifica in un ambiente o caratterizza una determinata situazione: il s. della notte; nella vecchia casa abbandonata regnava un profondo s., un s. di morte, un s. di tomba; il s. fu rotto improvvisamente da un urlo; qui c’è un gran s., si può lavorare in pace; è possibile avere un po’ di s., in questa casa?; all’orror de’ notturni Silenzj si spandea lungo ne’ campi Di falangi un tumulto (Foscolo); sovrumani Silenzi, e profondissima quïete Io nel pensier mi fingo (Leopardi); Il divino del pian s. verde (Carducci). Nella circolazione urbana, zona del s., zona di luoghi abitati, di solito in prossimità di ospedali, nella quale vige il divieto per i veicoli di fare uso di segnali acustici. b. Nel linguaggio milit. (e per estens. di collegi e altre comunità), prescrizione di non disturbare il riposo o la tranquillità parlando o facendo rumore; il periodo di tempo per cui si deve osservare questa prescrizione e il segnale di tromba che ne segna l’inizio (mezz’ora dopo la ritirata serale dei soldati e, in estate, anche prima del riposo diurno delle truppe): durante il s. è proibito parlare, anche sottovoce; sono stati puniti perché chiacchieravano dopo che era suonato il silenzio. In partic., s. fuori ordinanza, il segnale del silenzio suonato dal trombettiere, o da una fanfara di trombe, in determinate circostanze (truppe al campo, giorni di cerimonie solenni, ecc.), su un motivo melodico più ampio, complesso e ricco di variazioni, e più suggestivo. c. Nella tecnica delle trasmissioni, zona di silenzio, o zona d’ombra, per analogia con le onde luminose, la zona che non può essere raggiunta dai segnali radio emessi da un’antenna a causa di ostacoli di varia natura. 2. a. Il fatto di non parlare o di smettere di parlare (e, più in generale, di non gridare, cantare, suonare, fare rumore) per un certo periodo di tempo: stare, rimanere in silenzio; ascoltare in s. (e con riferimento a sensazioni, sentimenti e sim.: soffrire in s.; amare in s.; sopportare in s. un’ingiustizia); fare silenzio, tacere, smettere di parlare o di fare rumore (anche come avvertimento e comando: fate s.!, e assol.: silenzio!); ci fu un breve, un lungo s., un s. imbarazzante, glaciale; rompere il s., cominciare a parlare, o parlare per primo, dopo un periodo di silenzio; ridurre, costringere al s. un avversario, l’interlocutore, confutarne le argomentazioni, farlo desistere dal discutere, dal ribattere. Per estens., nel linguaggio milit., ridurre, costringere al s. un pezzo di artiglieria, una batteria, una mitragliatrice, un forte, colpirli in pieno, in modo da renderli inefficienti. Nella liturgia cattolica, s. sacro, uno dei modi con cui si esprime la partecipazione attiva dei fedeli alle celebrazioni liturgiche. In alcuni ordini religiosi, obbligo del s., la prescrizione di astenersi dal parlare e da ogni altra manifestazione sonora in determinate ore e periodi; dispensare dal s., esimere da tale obbligo, in circostanze e per motivi speciali. b. Per estens., il non dare notizia di sé, né per lettera né con altri mezzi di comunicazione: scusa il mio s.; il mio lungo s. ti avrà stupito; il suo inspiegabile s. ci preoccupa. c. fig. Il non parlare o scrivere di un fatto, il non darne notizia, l’evitarne ogni diffusione e pubblicità: vi raccomando il più assoluto s. in merito a quanto vi ho detto; i parenti del sequestrato hanno chiesto il s. della stampa (o, ellitticam., il silenzio stampa, locuzione usuale per indicare l’astensione dal pubblicare o trasmettere notizie e interventi su determinati fatti o argomenti, imposta ai giornali e alla radio-televisione su richiesta dell’autorità giudiziaria, e anche, per comune accordo dei partiti, alla vigilia delle elezioni politiche o amministrative; per estens., rifiuto di rilasciare dichiarazioni o di concedere interviste da parte di personaggi dello sport, dello spettacolo, della cronaca ecc.); passare sotto silenzio, tacere di qualche cosa, non farla sapere, tenerla nascosta: è un fatto molto grave, che non si può passare sotto silenzio. Dimenticanza, oblio: avvolgere un avvenimento nel s. (per congiura del s., v. congiura); cadere nel s., essere dimenticato, non suscitare interesse; vivere nel s., senza far parlare di sé. 3. a. Nel diritto civile, il fatto di non manifestare la propria volontà, che, contrariamente a quanto espresso nel detto comune «chi tace acconsente», non ha alcuna rilevanza giuridica se non nei casi indicati dalla legge (per es., nel caso dell’accettazione tacita di eredità o di proroga di un contratto di locazione oltre la scadenza). b. Nel diritto amministrativo, s.-rifiuto della Pubblica Amministrazione, locuz. con cui si indica l’inerzia della pubblica amministrazione a fronte di un obbligo di provvedere: tale inerzia, che si configura come un provvedimento amministrativo negativo, può essere impugnata davanti al giudice amministrativo dopo che siano trascorsi i termini indicati dalla legge; s.-rigetto, quando la pubblica amministrazione, destinataria di un ricorso gerarchico, non si pronuncia nel termine di 90 giorni dalla data di presentazione del ricorso, configurando in tal modo un provvedimento amministrativo di rigetto del ricorso. c. Nell’uso corrente amministrativo (solo in taluni casi per norma di legge), silenzio-assenso o silenzioassenso, locuz. con cui spesso si indica la tacita approvazione di un documento, o l’espressione di parere favorevole a una domanda o richiesta, nel caso in cui la persona fisica o giuridica interessata, oppure l’ente pubblico o privato competente, non risponda entro un determinato periodo di tempo (per es., l’approvazione da parte di un correntista dell’estratto conto bancario, oppure l’accoglimento da parte di enti militari di domande e ricorsi di obiettori di coscienza). 4. Nel linguaggio militare, s. radar e radio, accorgimento passivo di guerra elettronica adottato da una o più formazioni militari per non essere localizzate da intercettazioni radiogoniometriche nemiche, e consistente nel non effettuare alcuna emissione radar o radio per un determinato tempo. 5. Chiesa del s., espressione usata, spec. in passato, per indicare la condizione della Chiesa in alcuni paesi a regime totalitario, nei quali non esiste né il riconoscimento della religione, né la libertà di culto. dal Vocabolario Treccani