Il 12 novembre 1958 la pagina della cronaca locale del quotidiano IL TEMPO avviò un’inchiesta tra cittadini e lettori, invitati a rispondere ad una domanda: “Teramo è davvero una città morta?”.
Che Teramo fosse morta lo si diceva da tempo e molti ne spiegavano diverse e convergenti ragioni.
Così il giornale decise di andare a caccia di risposte, che andò pubblicando per qualche numero.
C’era effettivamente un generale clima di sfiducia e non poche furono le dichiarazioni sconfortate, anche se non mancarono le espressioni di fiducia e di speranza. C’era in città un’ansia di progresso, di crescita civile, di ricchezza.
Purtroppo a quest’ansia si cercò di dare sfogo con alcune scelte urbanistiche che si rivelarono scellerate. Basti pensare che passò per un segnale di crescita l’apertura di una filiale della Standa, costruita abbattendo a picconate l’oggi non mai abbastanza rimpianto Teatro Ottocentesco ed erigendo al suo posto uno scatolone inguardabile che ospitava, e ancora ospita, a piano terra i grandi magazzini e al piano rialzato un anonimo, sordo e freddo cineteatro comunale.
Di recente, dopo la crisi economica globale che ha investito non solo l’Italia e l’Europa, ma tutto l’Occidente, e dopo alcuni eventi che hanno riguardato specificamente il locale sistema sociale, economico e finanziario, la domanda è tornata imperiosamente: Teramo è una città morta? Si cercano qua e là i certificatori di un decesso o quanto meno di uno stato agonico e pre-agonico del quale abbondano i segnali e i sintomi, che vengono dettagliatamente riportati in elenchi che diventano sempre più lunghi.
La desertificazione del centro storico (con una lunghissima e ancora non terminata ripavimentazione del Corso causa di una protratta inagibilità), ma anche delle periferie, che si è accresciuta in seguito agli eventi sismici e alla dichiarata inagibilità di edifici e privati e pubblici, comprese le scuole, ha prodotto un senso di smarrimento e di angoscia quasi mortale.
La gente si chiede: “Ci riprenderemo?”. I commercianti sono sull’orlo di una crisi di nervi e anche i fino a poco fa magnificati centri della grande distribuzione conoscono un momento di abbandono e di decrescita preoccupante.
I teramani non sanno più a che santo votarsi ed è subentrata, anche qui da noi, una grande sfiducia nella politica dei politicanti che fino ad ora ha imperversato. Le ferite del nostro tessuto urbano e sociale sono tante e profonde, il fiato è corto e le membra stanche, non si intravvedono sbocchi positivi di un’accelerata corsa verso un’oscura voragine. L’antica, vecchia domanda, a volte dimenticata, ma rimasta a covare sotto la cenere degli anni è: Teramo è una città morta? Essa appare ancora più grave considerato che dalle caratteristiche emergenti e visibili ci si deve chiedere se dalla domanda, così come viene formulata, non sia necessario togliere il termine “città”. Perché davvero Teramo non sembra più nemmeno una città, costretta a rinunciare al titolo per una retrocessione di rango fino a quello meno nobile di borgo. Sicché la domanda sarebbe: “Teramo è morta?” Davanti a queste strade dissestate, a questi edifici con davanti impalcature e sostegni di fortuna, a questi scorci degradati in cui non ha più senso parlare di arredo urbano né di decoro, preferisco non tentare di dare una risposta.
Scelgo di limitarmi – non posso però rinunciare almeno a questo – a dire che la sensazione che provo nel vedere queste vie e queste piazze deserte, come deserti sono i negozi e adesso anche i bar e i caffè, e le librerie e altri luoghi di aggregazione, è quella di un palcoscenico sul quale sparuti attori, invecchiati nell’interpretare le loro parti, allampanati come spettri, stanno recitando le loro ultime battute di un copione diventato anch’esso troppo vecchio per essere ancora credibile. Queste battute pronunciate quasi senza fiato sembrano lamenti, e giungono impercettibili in una platea senza più spettatori, che l’hanno disertata per l’ultima recita, mentre si odono già, stridenti, i conosciuti rumori della chiusura del sipario, ovviamente scolorito e tutto sgualcito.
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