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Il corrosivo: il geometra-poeta

di Elso Simone Serpentini
4 minuti

La morte di Vincenzo Cimini rappresenta la scomparsa di una figura di cui sono rimasti pochissimi esemplari: quella del geometra-poeta. Il nostro “Giacobbo”, magnifico interprete della nostra cultura contadina e del suo linguaggio popolare, era geometra, ma anche poeta, impersonando un ossimoro, una contraddizione “in terminis”, perché è davvero innaturale essere al tempo stesso, come lo era lui, geometra e poeta. Il filosofo francese Blaise Pascal distingueva l’ “esprit de geometrie” dall’ “esprit de finesse”, intendendo per la prima la naturale tendenza dell’uomo a rapportarsi con la realtà e con la seconda l’elemento, altrettanto naturale che lo spinge ad andare oltre la realtà cogliendo quelle ragioni del cuore che la ragione non comprende.
Vincenzo Cimini era geometra nei suoi progetti, nel suo continuo rapportarsi con una realtà nella quale doveva far fronte alle richieste edilizie dei suoi clienti, soddisfare le loro esigenze, perfino i loro capricci, ma era poeta nel suo travalicare quella realtà, esternandosi nei suoi schizzi e nei suoi disegni artistici, raffigurando delicatissime e vivaci silhouettes dei relatori dei convegni ai quali andava solo per realizzare i suoi piccolo capolavori, non per seguire i discorsi più o meno vaneggianti che si tenevano in aule spesso “sorde e grigie”.

Cimini era geometra nelle sedute delle commissioni edilizie delle quali veniva chiamato ogni tanto a far parte, ma era poeta nella sua personificazione di “Giacobbo”, spesso farneticante nelle sue spericolate e ardite spiegazioni etimologiche, autentico e veritiero quando rivestiva i panni del cafone di Miano e di Spiano, elegante e altero quando rivestiva quelli del Marchese della Valle Siciliana, quando con le sue mirabolanti battute pareva uno spilungone Don Chisciotte alle prese con i suoi mulini a vento.

E’ difficile essere a tempo stesso geometri e poeti, ma in Cimini il binomio era del tutto naturale. Anche da geometra era poeta, e quindi visionario quanto bastava per essere qualcosa di più di un geometra. E non quell’ ‘ingignìre” che prendeva ad esistere nell’appellativo che gli affibbiavano i suoi clienti contadini, per i quali non esistono i geometri, ma solo gli ingegneri, pertanto i geometri venivano tutti nobilitati e promessi sul campo (il grande Francesco Merlini, celiando, soleva dire: “Sono geometra, ma chiamami ingegnere. A te non costa niente e a me fa piacere!”), No, Cimini era poeta anche quando faceva il geometra, perché progetti e disegni che gli altri vedevano da geometri, lui li vedeva da poeta. Mi raccontava di essersi invano battuto per evitare l’abbattimento delle case che poi cedettero il posto al cosiddetto “palazzo del Miliardo”, tra Corso De Michetti e Via Savini. Il sindaco Gambacorta, che pure da intellettuale avrebbe dovuto essere lui il “poeta”, ne volle a tutti i costi l’abbattimento, in nome della modernità di Teramo, e invece si comportò da “geometra”. Cimini, tentando di convincerlo che quegli edifici non andavano abbattuti, era geometra, ma si comportò da poeta e da poeta perse la battaglia e fu sconfitto.
 
I geometri, anche se rivestiti dei panni degli ingegneri o o degli architetti o degli intellettuali, hanno distrutto e perduto Teramo, l’hanno violentata e stravolta urbanisticamente. I poeti, anche se con i panni più umili e dei geometri alla Cimini, o armati soltanto delle loro penne, l’avrebbero salvata, se non fossero stati ammutoliti e resi impotenti. Ricordo un altro geometra-poeta, l’arch. Spinozzi, che cercò invano di convincere i teramani e il sindaco Gambacorta e un’intera amministrazione comunale che l’ottocento Teatro Comunale di Teramo non andava abbattuto, ma conservato e restaurato. Anche lui, così come Vincenzo Cimini, fu considerato un povero visionario, al di fuori della realtà e della possibilità di tenersi ad essa avvinta con i piedi per terra, invece che con la testa in aria, a inseguire i sogni come fossero nuvole irraggiungibili.
Dio ci salvi dai geometri, di cui cresce ognora il numero, Dio salvi i poeti, di cui si va purtroppo perdendo la semenza. Dio stramaledica chi si affida ai primi e disdegna e umilia i secondi, cercando - invano quando i poeti sono veri - di ridurli al rango di servi e cortigiani.

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Commenti

Ho avuto modo di conoscere Vincenzo per i miei trascorsi lavorativi a Tvt. Quando il mio compito era quello di mettere in onda la magistrale interpretazione dei suoi personaggi. Mi ha insegnato tanto. Persona dalla grande umiltà e fautore del senso profondo per la vita e la conoscenza dell'animo umano. Un signore. Un poeta. Dio salvi i poeti professore, la loro anima ribelle e libera.
Si chiavava come me e faceva lo stesso mestiere ma non l'ho mai conosciuto e di certo non posso dire nulla di lui. Mi limito a leggere questo articolo che parla di una figura dalla spiccata Teramanità ma in conclusione noto solo un insieme di "belle" parole che affiancano un antico mestiere, quello del geometra, alle politiche distruttive di questa città. Amministrazioni fuori luogo che hanno dato via alla distruzione di una città che forse non ho mai vista lucente e distinta. Dio ci salvi da questo giornalismo spicciolo oserei dire. Vorrei tanto aver conosciuto, questo Teramano, per un consiglio su come fare il poeta-geometra ma mi limito a fare il semplice geometra, farlo nel migliore dei modi, in maniera umile e senza favoritismi di nessun genere aiutando chi ne sa meno di me e chi, perché no, chi ne sa più di me. Magari fare anche il contadino, guardami allo specchio e chiamarmi "ingignìre", in fondo mi ingegno ogni giorno per risolvere i mille problemi creati dalla burocrazia a sua volta inventata per motivare tutte le persone che scorrazzano nei corridoi di enti ormai inutili. Sicuramente questo articolo parla della storia di una città violenta da onorevoli-geometri, chiamati "assessò" da chi a prescindere dal rango li chiama tutt'ora così per adularli, per il semplice fatto che è più comodo, dopo averli votati, fare loro piacere per risolvere un problema, oppure no e quindi, in seconda funzione, utilizzare questo nomignolo per criticarli facendo più effetto. Magari mi esprimo male, ho capito male, ma non penso che bisogna pregare l'onnipotente per salvare l'umanità, o meglio la Teramanità, dai geometri. Penso che bisogna scomodarlo per ben altro e limitarsi a sperare che un giorno, ormai lontanissimo, si potranno leggere articoli che parleranno di una politica pulita. Mi dispiace dover pensare che ogni tanto i giornalisti dovrebbero tacere in merito a un mestiere che presuppongo sia lontano dal loro,ma il problema che pur tacendo, inizieranno a scrivere.
Sono sicuro che il tanto stimato Vincenzo avrebbe disapprovato quanto da lei" professore" detto in merito alla professione del geometra. I maggiori sfaceli urbanistici a Teramo non sono stati perpetrati da noi geometri bensì da altri e potremmo fare un elenco di opere e professionisti attori dello scempio urbanistico teramano. Ci meravigliamo di tanto accanimento ma forse la risposta sta nel fatto che per noi è più semplice avere visibilità e riconoscenza a differenza di altri che pur cercandola non la trovano !!!
Credevo di non dover spiegare che, parlando di "geometri", non mi riferivo a loro in quanto categoria lavorativa, ma come categoria dello spirito. Non per nulla ho citato l' "ésprit de géométrie" del filosofo Blaise Pascal. In questo articolo come geoemetra si intende colui che non sa andare oltre il naso del suo progetto ed è solo un tecnico, limitato dalla sua razionalità, e non vivificato dalla fantasia e dalla creatività. Vincenzo Cimini non era solo un tecnico razionale, ma un poeta perché seguiva la sua fantasia, e quindi aveva "esprit de finesse". Credevo che la cosa si capisse, invece, a quanto pare, non tutti lo hanno capito. E questo conferma che alcuni geometri non sono capaci di vedere oltre i limiti angusti della loro professione, rimanendo legati al "pro domo sua". Animo, uno sforzo maggiore di interpretazione... io mi impegno a fare uno sforzo maggiore quanto a chiarezza. Così, magari, ci si incontra a metà strada...