Si legge sulla pagina del Gambero Rosso.
Il comparto vitivinicolo abruzzese si configura per molti versi come un’efficace riproduzione in scala di quello nazionale. Da un punto di vista storico: nella progressiva capacità di valorizzare le proprie peculiarità, lasciando sullo sfondo le epoche dominate da ingenti produzioni e sfusi generici poi utilizzati fuori regione. Da un punto di vista territoriale: in Abruzzo si fa vino di qualità a ridosso delle più alte cime appenniniche fino alle pianure che lambiscono il litorale adriatico, con relative declinazioni agricole e geo-climatiche. Così come dal punto di vista imprenditoriale. Tra le migliori aziende incontriamo infatti autentiche corazzate da milioni di bottiglie insieme a minuscoli artigiani con tirature da garage; una fitta rete di cooperative accanto a cantine private di ogni tipo; una rosa di realtà veterane continuamente rimpolpata da marchi emergenti. Scenario che naturalmente si riflette nella proposta commerciale.
A fronte di una piattaforma ampelografica tutto sommato più razionale e contenuta rispetto ad altri distretti, le diverse provenienze geografiche e sensibilità tecniche disegnano un quadro quanto mai variegato. In particolare bianchi da trebbiano e pecorino, rosati e rossi da montepulciano che coprono l’intero arco stilistico, dal tipo mediterraneo al nordico, dal goloso all’austero, dal vino di pronta beva a quello da attendere con pazienza. Passando per una serie di interpretazioni abitualmente associate all’universo “naturale”, che tuttavia ispirano sempre più il lavoro di aziende decisamente classiche. Quindi protocolli bio, progetti di sostenibilità ambientale, fermentazioni spontanee, macerazioni sulle bucce anche per le uve bianche, maturazioni in cemento e terracotta, vinificazioni senza chiarifiche, filtrazioni o solfiti aggiunti, e così via. Il tutto cucito da una straordinaria versatilità gastronomica, che permette alle principali tipologie di accompagnare praticamente qualunque piatto, non solo della tradizione locale. Peraltro senza necessità di svenarsi: non è certo un caso se ancora una volta compaiono fra i Tre Bicchieri diverse opzioni adatte a un consumo quotidiano, o giù di lì. Una selezione che vede in primo piano i Montepulciano d’Abruzzo, senza dubbio la denominazione più importante della regione: proprio in questi mesi si festeggia il cinquantennale del riconoscimento ministeriale e la sequenza di vini premiati ci ricorda una volta di più quanto sia cambiato lo scenario in questo lasso di tempo.
Abruzzo Pecorino Giocheremo con i Fiori '17 – Torre dei Beati
Cerasuolo d'Abruzzo Piè delle Vigne '16 – Luigi Cataldi Madonna
Montepulciano d'Abruzzo '13 – Valentini
Montepulciano d'Abruzzo Colline Termane Zanna Ris. '13 – Illuminati
Montepulciano d'Abruzzo Mo' Ris. '14 – Cantina Tollo
Montepulciano d'Abruzzo Podere Castorani Ris. '14 – Castorani
Montepulciano d'Abruzzo Spelt Ris. '15 – La Valentina
Montepulciano d'Abruzzo Vign. Di Sant'Eusanio '16 – Valle Reale
Pecorino '17 – Villa Medoro
Trebbiano d'Abruzzo Castello di Semivicoli '15 – Masciarelli
Trebbiano d'Abruzzo Sup. Mario's 44 '16 – Tenuta Terraviva
Tullum Pecorino Biologico '17 – Feudo Antico
Ci spostiamo, ma solo un po'. E ci ripetiamo. A dispetto di abusati tormentoni: il Molise esiste, eccome. Lo sanno bene gli appassionati più attenti e curiosi, desiderosi di esplorare le rotte meno battute del turismo enogastronomico. Che scoprono qui una regione in buona parte incontaminata, fieramente connessa alle sue radici rurali. Con tutto quanto ne consegue in termini di biodiversità, salubrità ambientale e ricchezza paesaggistica. Molto più di un territorio di frontiera, come troppo spesso viene descritto e semplificato.
Da un lato sono innegabili i punti di contatto con le aree limitrofe per quel che riguarda condizioni orografiche, variabili climatiche, base ampelografica. Per non parlare degli aspetti legati a cultura, tradizioni, perfino gastronomia. Dall’altro basta poco per rendersi conto di come le comunità molisane conservino una propria specifica identità, non confondibile. Che marca inevitabilmente anche le produzioni di pregio. Ecco allora rossi e rosati da montepulciano e aglianico che ha poco senso paragonare con i loro omologhi di Abruzzo, Campania e Puglia. Oppure bianchi da falanghina, greco, trebbiano e malvasia, a cui si affiancano cultivar internazionali come sauvignon e chardonnay, che declinano di volta in volta l’indole mediterranea o montana, spensierata o rigorosa, dei diversi areali.
Là dove tocca alla tintilia il ruolo di vino-vitigno bandiera, che proprio in Molise sembra aver trovato la sua terra d’elezione per originalità e carattere. Ideale testimonianza in tal senso arriva dalla versione 2016 targata Di Majo Norante, per l’ennesima volta unica azienda della regione capace di conquistare i Tre Bicchieri. Ma nel primo gruppo di merito si segnalano in grande crescita altre importanti realtà come Borgo di Colloredo, Claudio Cipressi e Tenimenti Grieco. E alle loro spalle un piccolo gruppo di cooperative e cantine private che propongono vini sempre più definiti e personali, oltre che convenienti. C’è insomma una squadra che si consolida vendemmia dopo vendemmia e siamo convinti di non peccare di ottimismo immaginando un ulteriore incremento di attenzione e riconoscibilità, in un futuro poi non così lontano.
Molise Tintilia '16 – Di Majo Norante
Che dire?
Il Trebbiano d'Abruzzo Sup. Mario's 44 '16 – Tenuta Terraviva è qualcosa di unico e originale.
Mario Soldati scriveva"Il vino è per l’anima ciò che l’acqua è per il corpo, specialmente in Italia, è la poesia della terra".
Il Mario's è il genitivo sassone di una lingua in via di estinzione.
"Se osserviamo un bicchiere di vino abbastanza attentamente vediamo l’intero universo. Ci sono le cose della fisica: il liquido turbolento e in evaporazione in funzione del vento e del tempo, il riflesso sul vetro del bicchiere, e la nostra immaginazione aggiunge gli atomi".
(Richard Feynman)
Provate è abruzzese....
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