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Lidia Bocci in ricordo di Dante Di Giammartino

1 minuto

Dante, per me, non era “solo” il primario di Malattie Infettive, Dante era un amico. Feste di capodanno, carnevale e altre amenità, canti, balli e viaggi insieme. Lui, e la sua dolcissima moglie, per me erano un punto fermo. Me lo ricordo, già molto malato, in attesa della nostra amica Cesira, che di lì a poco sarebbe uscita praticamente morta dalla sala operatoria. Non è ancora passato un anno e quel giorno brucia ancora come una ferita aperta. E ora, anche lui. 
Che dolore insopportabile veder morire gli amici! 
Di lui mi restano tanti ricordi, uno per cui gli sarò sempre grata, è quello di aver restituito il sorriso a mio padre, molti anni fa.
Papà era stato operato per un intervento di routine, ma durante il ricovero scoprirono che era positivo all’epatite C. Grande dramma e grande paura, per lui che era ansioso, ma anche per me che lo accudivo. Andammo da Dante che, dopo aver visto le analisi, le cartelle cliniche e tutto il resto con grande attenzione e serietà, si sciolse in un sorriso e disse a mio padre “stia tranquillo, lei farà in tempo a morire di vecchiaia, ma non di epatite”.
Se avessi potuto abbracciarlo, in quel momento in cui ho visto i tratti del volto di mio padre distendersi e tornare sereni, io lo avrei stretto forte forte!
Nessuno come lui sapeva essere amorevole con i pazienti. Un uomo mite, pacato, mai sopra le righe. Ha lavorato una vita e raggiunto tanti traguardi professionali, ma il più grande è di sicuro quello di essere riuscito a farsi voler bene da tutti.
Non ti dimenticheremo mai.

Lidia Bocci

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Commenti

Caro Dante mi piace ricordarti così. Era il lontanissimo 1980 ed ero un ragazzo fresco di studi appena arrivato dalla mia Palermo per assumere la responsabilità della condotta di Valle Castellana, allora circa 2000 anime sparse in lungo e in largo nel vostro appennino teramano. L’allora sindaco di Valle Castellana Esposito Camillo, mi propose una visita al medico condotto di Rocca Santa Maria, si usava così allora, per coltivare i rapporti di buon vicinato. Quella mattina arrivato nella semideserta piazza del tuo paese, dove da dietro una porta semichiusa di un piccolo ambulatorio echeggiava la tua voce…avanti un altro… le nostre vite si incrociarono per la prima volta. Ricordo il tuo stupore quando ti confessai che facevo difficoltà a capire il vostro dialetto, cosa che rendeva il mio lavoro particolarmente difficile.
Mi invitasti a pranzo a casa tua, mettendoti a disposizione per qualunque mia necessità personale e professionale. Nacque un amicizia che negli anni dell’ospedale si è sempre di più consolidata, fatta di reciproco ascolto, condivisione di casi clinici, strette di mano che per noi avevano ancora il significato della parola data.Adesso che la tua avventura umana è terminata non posso che immaginare quanto grande possa essere il vuoto umano e professionale che lasci nel cuore di chi ti ha voluto bene.

Valeria