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Esperimento Sox. Ecco cosa ha rischiato la nostra acqua con 2300 tonnellate di sostanze pericolose...

di Anonimo
6 minuti

Sox non aveva solo problemi di produzione della sorgente emersi all'ultimo minuto dopo lunghi anni di organizzazione e realizzazione di tante attività, da quelle di pianificazione ed autorizzazione alla produzione del famoso cilindro di tungsteno, fino ad arrivare alla costosa prova di trasporto. Infatti la Commissione Tecnica Regionale, che sovrintende all'applicazione della Direttiva Seveso sugli Impianti a Rischio di Incidente Rilevante, a seguito di un nostro esposto, aveva attivato una procedura che non era stata precedentemente effettuata durante il processo di approvazione che, quindi, nonostante alcune affermazioni fuori luogo di alcuni ricercatori, non poteva dirsi certamente concluso a pochi mesi dall'avvio teorico dell'esperimento. Ancora il 16 gennaio scorso, alla richiesta dei Laboratori alla Commissione Tecnica Regionale di non considerare SOX come un aggravio di rischio per l'impianto, la Commissione aveva risposto di non poter escludere sulla base della documentazione depositata dall'INFN aggravi del rischio di effetti in caso di incidenti. Al centro dell'osservazione una delle questioni che avevamo sollevato, quella di aver pensato di posizionare una sorgente radioattiva così potente pochi metri sotto 1.292 tonnellate di trimetilbenzene (PC nel testo del verbale) infiammabile.

Oltre a questo problema ce ne sarebbe stato comunque un altro ancora più insormontabile: l'inderogabile divieto di legge fissato dall'Art.94 del D.lgs.152/2006 per lo stoccaggio di materiale radioattivo nei pressi delle captazioni idropotabili. Era ben noto che noi, considerato anche che alcune autorizzazioni erano state rilasciate senza aver comunicato l'esistenza delle captazioni, avremmo sicuramente chiesto alla Magistratura di valutare un sequestro in caso di pervicace volontà di far arrivare comunque il Cerio 144 nel Gran Sasso. In questi anni nessuno aveva solllevato il problema del rispetto di questa norma e tutto andava avanti senza adempiere alle leggi esistenti. Ora è diverso, con i fari puntati grazie alla mobilitazione in corso. Tra l'altro, come è noto, è anche in corso un'inchiesta della Magistratura sui fatti avvenuti finora.

Infine dobbiamo sottolineare che questo esperimento era stato pianificato in un contesto estremamente critico di diffusa inadempienza per quanto attiene alla sicurezza. A parte la questione, già gravissima, del Piano di Emergenza esterno scaduto da 7 anni in quanto adottato nel 2008 come provvisorio e non più aggiornato ogni tre anni come prevede la legge, in queste ore stiamo esaminando l'enorme mole di documentazione acquisita presso il Comando regionale dei Vigili del Fuoco, nonostante stiano cercando incredibilmente di vietarci l'accesso ad uno dei documenti centrali, il Rapporto di Sicurezza. Il diniego è giunto l'altro ieri con l'incredibile formula di "non poter escludere" la sussistenza di pregiudizio delle relazioni internazionali, all'ordine e sicurezza pubblica o alla difesa nazionale, nonostante un preventivo coinvolgimento della prefettura e degli organi di pubblica sicurezza non avesse portato, a nostra conoscenza, a nessuna prescrizione. Addirittura è stato negato l'accesso anche alla Sintesi Non Tecnica del rapporto specificatamente prevista dall'Art.23 del D.lgs.105/2015 proprio nei casi effettivi di criticità su questa materia che qui, a nostro avviso, sono di fatto inesistenti per la stragrande parte del materiale in quanto i ricercatori pubblicano su riviste tantissime informazioni sugli apparati sperimentali. Inoltre ci si dimentica che esistono i diritti di 700.000 persone che si dissetano con acqua sulla cui disponibilità e qualità può incidere un incidente rilevante nei laboratori. Arriviamo, quindi, al paradosso, che in una condizione di palese insicurezza creata anche da omissioni ed inadempienze alla fine il pericolo per l'incolumità pubblica sembrano essere considerati i cittadini stessi! È una decisione contro cui dovremo fare ricorso ma auspichiamo che la Prefettura di L'Aquila non segua questo atteggiamento cavilloso in una situazione così delicata di rapporti con la popolazione dando libero accesso a tutta la documentazione.

In ogni caso l'estratto del verbale della CTR che alleghiamo oggi è solo un'anteprima rispetto ad una condizione a dir poco sconcertante dello stato di applicazione della Direttiva Seveso in questi anni. Concluso l'esame della documentazione, da cui stanno emergendo fatti estremamente seri, la prossima settimana faremo il punto sulle criticità riscontrate.Insomma, ovviamente prendiamo atto delle dichiarazioni di ieri dei laboratori sulle problematiche di produzione della sorgente radioattiva per Sox ma allo stesso tempo evidenziamo che quell'esperimento, sulla base di documenti e leggi esistenti, non aveva i requisiti sia specifici che generali per essere realizzato al Gran Sasso. Noi siamo per la ricerca ma al tempo stesso bisogna riconoscere che, come tutte le altre cose del mondo, ha dei limiti.

Per quanto riguarda la sicurezza dei Laboratori intesi come Impianto a Rischio di Incidente Rilevante, avendo appreso dell'intenzione degli enti di aggiornare il Piano di Emergenza Esterna, altro problema su cui abbiamo acceso i riflettori, proprio ieri mattina abbiamo inviato a diversi enti regionali e nazionali e a 42 comuni, da quello di L'Aquila a Teramo passando per tutti gli altri comuni del teramano, una dettagliata nota sugli obblighi di consultazione della popolazione e dei comuni attraverso assemblee e iniziative di coivolgimento proattivo nella stesura del documento come previsto dall'Art.21 del D.lgs.105/2015 (recepimento della Direttiva Seveso).

Abbiamo premesso di nuovo che in realtà le 2.300 tonnellate di sostanze pericolose (1.000 tonnellate di acqua ragia dell'esperimento LVD e 1.292 tonnellate di Trimetilbenzene nell'esperimento Borexino) sono state prima stoccate irregolarmente, rispettivamente nel 1992 e nel 2002, in base alle norme di precauzione per la tutela delle acque potabili in vigore allora (D.P.R.236/88 e D.lgs.152/1999) e poi non allontanate nonostante precisi obblighi di legge contenuti nell'articolo 94 del Testo Unico dell'Ambiente, D.lgs.152/2006, sempre in tema di distanza delle sostanze radioattive o pericolose dalle captazioni degli acquedotti. Applicando finalmente i divieti con la rimozione di queste sostanze, i laboratori non sarebbero più assoggettati agli obblighi della Direttiva Seveso e del D.lgs.105/2015 sugli incidenti rilevanti per cui non sarebbe necessario il Piano di Emergenza Esterno. Questo è oral'obiettivo principale su cui continueremo a batterci.

In ogni caso, nelle more dell'esecuzione della rimozione delle sostanze, il Piano deve essere realizzato con assemblee pubbliche diffuse, questionari, sondaggi, possibilità di fare osservazioni, così come prevede il D.lgs.105/2015 e il suo regolamento in materia di consultazione. Certo, fare le osservazioni a tale bozza di aggiornamento del Piano di Emergenza Esterno senza avere il Rapporto di Sicurezza da cui deriva direttamente sarebbe paradossale e, ovviamente, porrebbe una ulteriore questione di legittimità del Piano stesso. La trasparenza è sostanza, non forma.

MOBILITAZIONE PER L'ACQUA DEL GRAN SASSO

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