Abbiamo già affrontato il tema delle lobbies che agiscono nell'oscurità: http://www.iduepunti.it/zibaldone/28_gennaio_2011/locchio-occulto-delle… , questa volta avremo un approccio più "laico", cercando di fare luce sul fenomeno lobbistico senza pregiudizi di ordine ideologico o morale. Secondo Kevin Phillips negli USA vige una sorta di “democrazia teocratica” dove i gruppi religiosi organizzati rappresentano lobby elettorali decisive e così in linea di massima: battisti afroamericani, metodisti, ebrei e cattolici ma anche islamici per la prima volta con Obama tendenzialmente votano l’Asinello (i democratici) mentre pentecostali, evangelici e battisti “w.a.s.p.” votano l’Elefantino (i Repubblicani). Ogni candidato deve inpegnarsi lealmente e pubblicamente a difendere determinate cause se vuole l’appoggio elettorale di queste lobbies. Vi è una grande massa di elettorato indeciso e oscillante tra l’Asinello e l’Elefantino. Il Repubblicano Mitt Romney, già Governatore del Massachussetts è indicato come uno dei candidati migliori per battere Obama perché capace di attrarre voti degli indecisi, soprattutto per le sue competenze economiche (davanti ai flop di Obama), ma ha un piccolo difetto per lo zoccolo duro delle lobbies religiose che gravitano attorno all’Elefantino: è mormone. Le lobbies, di ogni tipo, condizionano pesantemente la politica. secondo lei perchè? "John F. Kennedy sul NY Times, correva l’anno 1956, dichiarava che “ ..i lobbisti impiegano dieci minuti e tre pagine per farmi capire un problema. I miei assistenti hanno bisogno di tre giorni e di una tonnellata di cartacce.. “, il lobbista, invece, analizza dal suo punto di vista una questione, un problema, una criticità; sarà poi il decision maker a dover fare una comparazione tra gli interessi particolari in gioco per determinare poi la sua azione a tutela dell’interesse della collettività"
L'articolo uscito su Panorama ha destato molta curiosità in proposito. Cosa fanno i professionisti del lobbying? "Aiutano i rappresentanti della democrazia a decidere.Si può infatti decidere correttamente nell’interesse generale, tanto meglio quanto più si conoscono i singoli interessi particolari che lo compongono. L’Italia, figlia della cultura della rivoluzione francese per la quale lo Stato è l’unico portatore di interessi collettivi ed è l’unico soggetto in grado di determinarli, si ritrova a dover affrontare per ultima tra i paesi industrializzati la questione delle lobbies e dei rappresentanti d’interessi. Come ci spiega perfettamente il Prof. Petrillo, docente di Diritto Costituzionale Comparato e di Teorie e Tecniche del Lobbying presso l’Università LUISS Guido Carli, nel suo ultimo libro “ Democrazie sotto pressione “, vi è un moralismo strisciante nella cultura giuridica italiana che pervade anche un pezzo della coscienza civile dell’intero paese. Secondo Petrillo “...sembra mancare il coraggio, in Italia, di guardare alla realtà ovvero al fatto che i gruppi di pressione partecipano già ai processi decisionali, e che il problema non è dato da questo fenomeno, ma dalla condizione di oscurità che li avvolge “. In questi giorni si è tanto parlato delle trame oscure dei vari Bisignani e della P4 o di come le lobbies del nucleare e dell’acqua privata abbiano “imposto “ al Governo di emanare leggi contro una presunta tutela precostituita del bene comune. Cosa ne pensa? "Per fare qualche esempio della generalità delle lobbies e della loro presenza capillare in ogni settore della vita quotidiana, basti pensare a Greenpeace che da trent’anni ha impostato la sua linea di intervento in tre direzioni: educazione, azione e lobbying politica; oppure quello della European Women’s lobby che, per il riequilibrio di genere nei consigli di amministrazione, nei parlamenti e nella Commissione Europea ha mobilitato leader femminili e organizzazioni varie; o meglio ancora e in maniera più incisiva la lobby dei gay che tempo addietro riuscì a contrastare, con successo, la nomina a Commissario Europeo dell’On. Rocco Buttiglione, illustre esponente italiano visibilmente ostile alla causa omosessuale" Capolavoro di una lobby quindi è quello di riuscire a nascondere il proprio interesse trasformandolo in un "interesse diffuso" o in "interesse collettivo", magari indicando come lobbistico l'interesse della lobby avversaria? "Esattamente. Riguardo i referendum appena votati, sarebbe ipocrita e assolutamente demagogico non ritenere incisivo e determinante il ruolo che hanno avuto le lobby antinucleariste e dell’acqua pubblica, ovvero quelle relative rispettivamente alle energie rinnovabili e alle municipalizzate e alle cooperative che gestiscono gran parte delle risorse idriche del paese. Nulla di male e nulla di scandaloso. Non tutti gli interessi vincono" Sulla capacità pervasiva dello AIPAC e cioè della cosiddetta “lobby ebraica” nella politica estera degli USA, i lavori di Walt e Mersheimer rappresentano incontrovertibili argomentazioni che valgono come vere e proprie “prove”. E’ evidente come la pervasività di una lobby dipenda non solo dalla capacità che ha di mobilitare gli elettori “piccoli”, ma soprattutto dalla capacità che ha di mobilitare i grandi network, la simpatia dei grandi opinion-makers, i media, i bloggers più seguiti, il gradimento della élite finanziaria e accademica che “conta” quando si schiera e che “conta” quando finanzia qualcuno, anche soltanto per non far vincere l’avversario bollato come impresentabile.
Dobbiamo rassegnarci al fatto che le lobbies esistano o dobbiamo capire che vanno fatte emergere in un contesto di trasparenza? "In Europa presso la Comunità Europea esiste un albo dei lobbisti e un registro nel quale gli italiani sono più del 40 %; in Italia è dal 1948 che si cerca di creare una legislazione a riguardo. In America il concetto di lobby risale al 1820 ai tempi del Presidente Ulysses Grant che usava ricevere i portatori di interessi nei grandi saloni d’anticamera del Congresso ( da qui la parola “lobby” ) e negli anni successivi si è cercato sempre di migliorare la legislazione in materia attraverso il Federal Regulation of Lobbying Act del 1946 e il Lobbying Disclosure Act del 1995, ovviamente per evitare la possibilità di abusi: il principio fondamentale è sempre e solo la trasparenza in quanto gli elettori e i cittadini devono sapere come gli interessi particolari vadano a formare e integrare l’interesse della collettività." Ritengo che comunque, oltre una certa soglia di trasparenza, vi siano e vi saranno sempre "stanze dei bottoni" riservate ai vari Bilderberg, Trilateral Commission, C.F.R.,etc.,etc. Rimane il livello medio-basso da porre sotto i riflettori. Lei auspica pertanto che anche in Italia l'argomento venga affrontato con meno ipocrisìa? "Occorre un cambiamento, che inevitabilmente deve coinvolgere anche il rapporto tra le istituzioni e la società, perché le prime possano essere avvicinate sempre più alle reali esigenze delle persone, colmando questo terribile buco relazionale nei processi istituzionali a cui oggi assistiamo. Bisogna creare le condizioni affinché la democrazia sia un insieme di interessi composti e non discenda dal volere di un potere politico molte volte sordo e incapace di capire i problemi reali del mondo produttivo."
Ernesto Di Giovanni - Founding Partner Utopia Lab - Relazioni Istituzionali, Comunicazione & Lobbying
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