A breve la Camera dei Deputati dovrebbe approvare definitivamente la legge sul "testamento biologico", tema che ha diviso moltissimo la società italiana, le sensibilità e le coscienza sia dei laici non credenti che dei laici credenti. Fornirò il mio punto di vista, da cattolico, con la speranza che un tema così delicato susciti riflessione, non semplicemente barricate. Il bipolarismo etico riscontrato nel febbraio 2009, ultimo mese di vita di Eluana Englaro, rende oggi necessario analizzare una duplice problematica o meglio ancora, due fattori che si sono scontrati ed intrecciati in quella vicenda. Intanto, l' auspicabilità di introdurre in Italia l'eutanasìa perchè il progresso tecnologico che può allungare la vita umana, davanti all'invecchiamento progressivo della popolazione e l'aumento ormai ingestibile delle spese sanitarie, convergono nella "necessità" di sfoltire i letti degli ospedali per far risparmiare ad una società impoverita, le spese sanitarie; forse anche per non tradire la vocazione edonistica della stessa per cui morte, dolore e sofferenza vanno esorcizzate ed espulse dalla Polis. A tutto ciò concorre una cultura liberal che ha sempre considerato come conquiste di civiltà, i tasselli che edificano una società "emancipata" dal diritto naturale e dalle radici cristiane.
Il secondo aspetto è invece quello dello scontro di poteri in atto in Italia, tra la magistratura e il potere politico. A ben vedere, tale scontro va al di là delle schermaglie sulle intercettazioni telefoniche o sulla separazione delle carriere dei magistrati, molto al di là dei vaffa-days e del populismo di Nanni Moretti e Antonio Di Pietro su improvvisate ed intermittenti questioni morali. Il terreno dello scontro è infatti su quale potere in Italia deve dettare i cambiamenti sociali, culturali e politici. Il governo sostenuto dalla maggioranza dei cittadini e dal Parlamento oppure una elite autoreferenziale, autoelettasi ad una missione salvifica impersonata da una parte della magistratura? L'art. 32 della Costituzione è posto a tutela del diritto alla salute, indicando un dovere dello Stato e riservando solo ad Esso e alle sue leggi, la possibilità di prevedere l'obbligatorietà di un trattamento sanitario e neanche ad Esso, la possibilità di obbligare a trattamenti sanitari che ledano la dignità della persona. Intanto igiene, alimentazione ed idratazione non sono classificabili come trattamenti sanitari, ma come obbligo minimo dello Stato rispetto a quello di garantire le cure normali ad un malato e comunque, mai potrebbero considerarsi trattamenti che ledono la "dignità" della persona. Non bisogna confondere l'accanimento terapeutico con l'alimentazione, l’igiene e l'idratazione. Un paralitico (ma anche un neonato nei primi mesi) ha bisogno di essere imboccato o alimentato (da una macchina per comodità), ma anche pulito da altri e può vivere così anche per decenni. Diverso è il caso del malato terminale che giustamente deve scegliere se farsi operare e/o farsi sottoporre ad un ciclo pesante di terapìe che servono solo ad allungargli un pò la vita ma sono sproporzionate rispetto al risultato che si vorrebbe ottenere.
Vi è accanimento terapeutico quando le terapìe sono sproporzionate rispetto al fine da raggiungere (danni superiori ai remotissimi ed incerti miglioramenti), ma alimentazione ed idratazione hanno come fine non il tentare di guarire una malattìa devastante, ma di mantenere semplicemente in vita il malato. Quando non si può più curare una malattìa (ma questo spesso viene contraddetto dai fatti), occorrerebbe comunque "prendersi cura" del malato. Il medico non solo non può porsi in condizione di semplice subordinazione nei confronti della volontà del paziente (sia per questioni deontologiche che etiche), ma sarebbe grave concepire un suo "dovere" di staccare la spina a fronte del "diritto" del paziente a richiederlo. Nell'ordinamento giuridico italiano il diritto alla vita è assoluto e indisponibile e il reato di omicidio (anche nel caso in cui vi sia il consenso della vittima - art.479 C.P.) è vigente, ma questo non sembra essere stato sufficiente per indurre la magistratura a fare un passo indietro.
Nei confronti di questa povera ragazza dobbiamo una grande gratitudine, duplice, come la problematica che ho cercato di tracciare, perchè se ha interrogato la coscienza sulle dimensioni insondabili della vita e su cosa significhi amare una persona malata ma viva ed essere amati in uno stato vegetativo (che non significa essere diventati una pianta), ha addirittura svelato che lo scontro di poteri in atto è molto più profondo di quello che ci avevano raccontato. Due scienziati, Cruse e Owen, del Medical Research Council and Brain Sciences Unit di Cambridge, hanno pubblicato un articolo, ripreso da Pubmed, in cui evidenziano come i risultati degli studi di risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato che alcune funzioni cognitive di livello elevato, come la comprensione del linguaggio e la sua sorgente, sono conservate nei pazienti con disturbi della coscienza. Metodi simili hanno anche permesso ad un paziente, considerato in stato vegetativo, di comunicare. Queste nuove tecniche, continuano gli studiosi, aprono una nuova direzione di ricerca nello sviluppo di dispositivi più sofisticati di comunicazione che possono essere utilizzati anche da pazienti in stato vegetativo. Concludono i due ricercatori: «A nostro parere tali dispositivi potrebbero presto permettere ai pazienti che non mantengano sufficienti abilità cognitive di comunicare».
Se il soggetto, liberamente e con cognizione di causa (debitamente informato), decide per sè, allora si apre un altro discorso. La dignità umana non dipende dalla tecnica (punto cruciale e primo "momento" di divaricazione delle posizioni), ma la tecnica sollecita l'adesione a determinati standards di vita cangianti nel tempo e nello spazio, al di sotto dei quali la vita stessa, viene ad essere giudicata non più degna o addirittura "non-vita". Allora sorge la domanda: ove sussistesse l'autodeterminazione individuale votata alla morte, potrebbe la stessa essere considerata prevalente al valore della persona e del suo diritto indisponibile alla vita? Rimane moralmente e giuridicamente aperta la questione terribile sulla disponibilità della vita (secondo punto cruciale), in un ordinamento che non ammette di rinuciare alla difesa penale in un processo o al minimo salariale, di rinunciare alla propria libertà per contratto o ai propri diritti civili e sociali sanciti dalla Costituzione. La vita è il fondamento essenziale di tutti gli altri diritti nei confronti dei quali si pone come condicio sine qua non: ammettere quindi un'autodeterminazione votata all'autoannientamento, di fatto renderà la vita stessa sempre più sottoposta a processi di relativizzazione mentre, per assurdo, si assolutizzano i 'diritti' (o le 'scelte') che si fondano su essa.
L'individuo che reclama un'autodeterminazione votata alla morte, chiede al diritto di negare se stesso in quanto lo stesso è posto per il bene comune. Essendo la vita un bene superiore alla morte, la scelta tra le due non è equivalente, nè il diritto può essere invocato da una coscienza nichilista (o fortemente condizionata dal dolore o dalla paura) che rompe ogni legame sociale, che fa del suicidio, per la prima volta un valore etico.
La libertà di autodeterminazione si ritorce per paradosso nell'autoannientamento: per affermarsi in senso assoluto deve sradicare se stessa dall'esistenza. Il reclamare un volontarismo assoluto nei confronti della morte, illude però l'uomo riguardo la sua autonomìa, quando in realtà esso vive una interdipendenza nei confronti del prossimo e una dipendenza nei confronti del suo creatore. L'uomo infatti, non è assoluto ontologicamente, non si è dato la vita da sé né se la dà ogni mattina quando si sveglia e non potrebbe mai decidere di non morire; l'unico brivido di onnipotenza si crede possa essere colto nell'anticipare il momento della morte. Non per questo l'uomo diventa signore della sua vita e signore della morte, perchè anticiparla non significa vincerla. L'uomo prometeico nella sua illusoria autonomìa, per contraccolpo diventa cavia di se stesso e dell'anonima dittatura della tecnica che lo incalza di bisogni stilando una graduazione di quanto degna sia una vita rispetto ad un'altra. Con ciò, viene suggerito in modo subdolo un ritorno soft dell' eugenetica ma su base volontaristica, mentre si scambia per volontà di morte, una disperata esigenza di amore e di essere accompagnati “oltre la soglia”. Ragionare in altri termini significa in concreto, considerare come antigiuridico, criminale e ovviamente "confessionale", il tentativo di chiunque di salvare un aspirante suicida che ha inequivocabilmente e con i fatti, espresso la sua "libertà di autodeterminarsi alla morte" o di alimentare una ragazza anoressica che ha deciso di non volersi più nutrire.
L'accusa di "confessionalismo" lanciata dai laicisti agli oppositori dell’eutanasìa, è motivata dall'esigenza di tagliare fuori dal dibattito (essendo lo Stato non confessionale), tutti coloro che difendono il diritto naturale, atei o credenti che siano. Sostenere che in uno Stato Laico occorre tutelare ogni libertà di scelta e pertanto sia quella individualmente contraria all'eutanasìa che quella favorevole, in realtà elude il problema di fondo che è una questione di principii non negoziabili. Chi oggi potrebbe mai tollerare, pur essendo contrario personalmente, che "altri" abbiano la libertà di vendere i propri organi o la propria libertà diventando volontariamente schiavi, o di rinunciare ai propri diritti essenziali?
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Credo nella libertà di pensiero e di vita. Il cattolicesimo e le altre religioni continuano nella loro crociata di morte. Avrei voluto leggere Ferrari contro le crociate o contro l'invasione in Iraq....Contro la guerra e la morte. Contro Bush e contro il resto. Io sono per la vita e il rispetto della mia vita. Deciderò di non soffrire e di morire. Perchè nessuno mi toglierà la mia dignità.
Caro Vincenzo Sasso, in nome di chi non è violento, di chi non crede che la sua opinione sia l'unica possibile, in nome di chi attraversa la strada sulle strisce pedonali, di chi pensa che la vita sia di tutti, che non ci sia una differenza ma soltanto delle meravigliose diversità, in nome di un suo post atto ad offendere e far sentire ignorante il lettore, in nome di chi ha resistito, delle meravigliose lettere di cattolici che non vogliono morire pur soffrendo, delle meravigliose lettere di cattolici che vogliono morire in dignità, in nome degli atei e laici di cuore...in nome del comitato per la semplice comunicazione, anti sofismi, la invito ad andare a fanculo. Perchè non permetto a nessuno di auto eleggersi depositario di ciò che non esiste. La verità è fatta d'incontri e non di separazioni. Di Confronti e non di scontri. Per me lei ha dimostrato di essere un maleducato..
Grazie.