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Il Libro...Il lacchè e la puttana

di Maria Cristina Marroni
3 minuti

La scrittrice russa Nina Berberova pubblicò il libro Il lacchè e la puttana” nel 1937. Si tratta di un racconto lungo che si legge tanto velocemente quanto rapidamente rilascia nel lettore un veleno che poi impiegherà molto più tempo a produrre i suoi effetti.

Il realismo della prosa della Berberova è asciutto ma perfettamente aderente alla miseria della storia rappresentata, essenziale quanto disperata. La storia è quella di Tanja, la “puttana”, esule al pari dell'autice da una Russia che è lontana e ostile, ma che resta un pensiero fisso in una Parigi del tutto trascurabile, che funge da sfondo monotono e squallido di vicende poco edificanti.

La patria lontana è stata la culla di una giovinezza spensierata, ma l'esilio rappresenta la strada di un presente esausto che non regala speranze, sogni o progetti. Tanja è sola, senza lavoro e lontana dalla tranquillità economica, situazione che le incattivisce l'animo e la spinge alla ricerca di un uomo che possa consegnarla ad un minimo di sicurezza. Il destino le riserverà un cameriere in là con gli anni che riversa tutte le attenzioni di cui è capace su di lei. Ma l'incomunicabilità indissipabile fra donne e uomini scava un solco fra i due che il pessimismo dell'autrice non permette di colmare.

Tanja viene alla luce, in maniera volutamente sintetica, come una donna che è in cerca di un senso alla propria vita, ma è un senso minore, privo di slanci e di ideali (“Non sapeva cosa fosse la vita, ma sentiva che non era quello, non poteva essere quello”).

Il libro delinea un contesto e una realtà che turbano per le assenze, per i vuoti, per le atmosfere asfissianti. La narrazione si dipana come un tessuto povero che induce ad una riflessione su come sia possibile ritrovarsi in tali condizioni di abiezione e di mortificazione  (“Ma, grazie a Dio, non c’era futuro”).

L'esilio divora qualsiasi normalità che la patria concedeva, vieta ogni serenità e preclude  anche una felicità minima. Per cui la Russia resta sullo sfondo come un Eden irrangiungibile che violenta psicologicamente tutti coloro che ne siano stati cacciati, lavorando come un tarlo tanto nella memoria collettiva quanto in quella individuale, fino a dilatare i sensi di colpa di chi trasfigura l'esilio coatto in abbandono volontario e infamante.

Le condizioni soggettive dei personaggi turbano il lettore (“la paura della fine, forse della vecchiaia, e il presente stava davanti a lui come un enorme peso che non riusciva a smuovere”), ma l'autrice rifugge ogni valutazione morale e si vieta qualsiasi manifestazione di giudizio nei confronti di soggetti pronti a tutto e buoni a niente, ai quali guarda con la tristezza e la condiscendenza di chi conosce quanto il mondo sia difficile da interpretare e ancor più ostico da assecondare alla ricerca di quel minimo di serenità cui tutti avrebbero diritto.
 

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Commenti

LE CHIAMANO ESCOR MA SONO SEMPRE MIGNOTTE. Sono sinceramente convinto che il valore sociale della prostituzione sia tale, che anche questo disastrato nostro staterello dovrebbe ( parimenti a tutti gli stati civili) decidersi a regolamentarla, anche per fornire adeguata protezione a quelle donne che per necessità , per vocazione o per passione - ovviamente escludendo le schiave - hanno il coraggio di continuare, malgrado la violenza odierna, a esercitare quello che resta del mestiere più antico. Non posso non aggiunge che tra le mignotte includo tutte, senza distinzione alcuna e cioè: le professioniste, le dilettanti, le occasionali, di alto bordo ,di basso bordo, ivi compresa quella prostituzione velata ( di cui pochi parlano) come le mantenute e quelle mogli o compagne compiacenti che ne combinano di tutti i colori. Poi il caso Ruby rubacuori ci ha fatto diventare tutti ipocrit, bacchttoni e codini. Chissà perché! Scusate se sono andato fuori strada, ma vi devo confessare una cosa. .....non conosco Nina e non ho letto il racconto lungo...oggi il sole è caldo il cielo è celeste e il vento forte rinfresca il primo e cristallizza il secondo. ..buona domenica amici del libro.
la perla di questa domenica suggerisce una domanda. Come fare per essere sereni? Non è semplice nella vita di ogni giorno,come succede alla protagonista del libro,la serenità può diventare un lontano miraggio. I rapporti familiari,la vita sentimentale,l'ambito professionale,possono indebolire le nostre emozioni e renderci negativi e stanchi. Come fare per essere sereni e in armonia con la vita?Dobbiamo partire da noi stessi.Una cosa da comprendere,da non confondere con l'essere rinunciatari, è che non possiamo tenere tutto e tutti sotto controllo . Lasciamo correre. La vita non è una gara in cui dobbiamo ottenere un premio. Gli eventi e le persone hanno i propri tempi e cicli. Come essere sereni parte in larga parte da questo.Se non usciamo dal nostro piccolo cerchio per guardarci da fuori,non impareremo mai a liberarci da inutili desideri che a lungo andare diventano ossessioni.Come uscire da tutto questo? Tutti gli adulti sono stati bambini una volta,ma pochi di essi se ne ricordano.Sono proprio loro i bambini i più grandi maestri a nostra disposizione,veri e propri modelli da studiare e imitare.Più sono piccoli e più hanno da insegnare. Sono a nostra disposizione,gratuitamente. Spetta solo a noi aprire la mente e il cuore e iniziare a imparare da loro. Un bambino non sta lì a cavillare su se stesso,sul suo naso ,sui suoi rotilini di ciccia ,sui capelli o sul vestitino.Un bambino non sta lì a chiedersi cosa deve fare per essere amato, accettato o ricompensato: il bambino fa,il bambino si esprime ,il bambino sogna, il bambino crea. Grazie per le belle sensazioni che i suoi preziosi interventi mi danno. Buona domenica e felice inzio settimana.
Sebbene con imperdonabile ritardo, grazie.