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Il Libro...Odissea

di Maria Cristina Marroni
5 minuti

Da bambina ricordo dei versi che venivano recitati a memoria da contadini analfabeti, allora mi meravigliavo, perché non capivo come ciò potesse accadere, da dove scaturissero quei ricordi, senza che quelle persone avessero frequentato alcuna scuola. Esiste una tradizione orale, che parte dagli antichi aedi, basata sul potere della memoria. Da questa deriva la forza della parola che supera il tempo. Una voce rude fu quella da cui sentii recitare la prima volta alcuni versi dell’Odissea di Omero: “Musa, quell'uom di multiforme ingegno/Dimmi, che molto errò, poich'ebbe a terra/Gittate d'Ilïòn le sacre torri;/Che città vide molte, e delle genti/L'indol conobbe” .

Quando la vita diventa materia di canto è vita autentica. Nella cultura greca “solo ciò che il canto nomina esiste davvero”.
L’Odissea è un libro che mi accompagna da sempre, da quando, come dono per il Natale dei sei anni, ne ricevetti una edizione per l’infanzia.
Qui più che in ogni altro libro sento respirare il mare, la volta stellata, la labirintica immensità del giorno che fugge”.

L’Odissea racconta il viaggio di ritorno (in greco nostos) del re di Itaca, Odisseo (Ulisse per i Romani), dopo la fine della guerra di Troia.
L’opera si apre in medias res e presenta uno splendido esempio di narrazione retrospettiva che dà anima e corpo al racconto.
Odisseo affronta diverse peripezie prima di toccare di nuovo “le sacre sponde” della sua patria: l’incontro con i Ciclopi, giganti monocoli, fra cui c’è il noto Polifemo, figlio di Poseidone; l’avventura con Eolo, Signore del vento, con i Lestrigoni, giganteschi mangiatori di uomini e con i due mostri marini, Scilla e Cariddi. Proverà il dolore della perdita dei compagni; la solitudine, l’angoscia, la disperazione.

Ma Ulisse possiede la Metis, ovveroil sapere pratico, non teoretico”, la capacità di affrontare con l’ingegno e lo spirito di adattamento le situazioni più complicate e impreviste. Per questo supererà le prove più ardue. Nell’Odissea “l’areté non è più soltanto simbolo di forza, coraggio e onore, ma anche di astuzia e intelletto”. All’eroismo marziale di Achille, si sostituisce la versatilità di Odisseo, che ha fame di conoscenza, che vuole vedere ciò che solo immagina o intuisce. Così Dante immagina le parole di Ulisse ai compagni: “fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza” (Inf. XXVI, vv.119-120).

Ci sono molti momenti commoventi nell’opera, ma una delle scene più toccanti è l’incontro dopo vent’anni di assenza tra Ulisse e il proprio cane, Argo, ormai cieco, sdraiato su un mucchio di letame, straziato dalle zecche. Al cane basta sentire l’odore e la voce dell’amato padrone per sollevare la testa, rizzare le orecchie e muovere a festa la coda. Ha riconosciuto l’eroe, ma non ha neppure la forza di corrergli incontro. E allora, felice, muore.
Ulisse piange, commosso dalla purezza di quell’amore: “E in quel momento, quando sentì Odisseo vicino/mosse la coda e lasciò ricadere le orecchie;/non ebbe più forza di avvicinarsi al padrone./E quello, altrove guardando, si terse le lacrime (…) Argo il destino colse della nera morte/ appena ebbe rivisto Odisseo, dopo vent’anni”.

Nell’Odissea le figure femminili non hanno il ruolo di semplici comparse, ma sono ampiamente caratterizzate, così Atena, Circe, Calipso, Nausicaa e, soprattutto, Penelope. Quando, nella parte finale del poema, Penelope, che ha lungamente atteso il marito restandogli fedele, lo interroga non lo fa perché ignora ancora la sua identità, come superficialmente si potrebbe ritenere, ma perché vuole accertarsi “che il ragazzo che vent’anni prima l’amava sia ancora lì, davanti a lei, vuole sapere se ancora in quell’uomo si agita la furia sacra che la fece innamorare”.
Indimenticabili poi le parole che Achille rivolge ad Ulisse nell’Averno: “Preferirei essere il garzone dell’ultimo guardiano di porci piuttosto che regnare su questo popolo spento”.

L’Odissea è il viaggio della nostra anima verso l’ignoto; è lo scrigno di incontri e avventure che il destino ci riserva; è il dipanarsi di occasioni, sconfitte, rinunce, rimpianti e, al tempo stesso, il compiersi dei nostri talenti e del nostro ingegno; è il romanzo per eccellenza e la metafora per antonomasia dell’esistenza umana.
Quando ti metterai in viaggio per Itaca/ 
devi augurarti che la strada sia lunga,/ 
fertile in avventure e in esperienze” (C. Kavafis, “Itaca”).



 

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Commenti

Mi chiamo Giulia, ho 15 anni e vi leggo sempre. Grazie perchè leggo da quando avevo 5 anni. Non posso camminare e la lettura mi aiuta a correre. Un abbraccio a tutti voi.
Recensione oltre ad essere completa e' anche di ottima qualità . Mi ha colpito Giulia che con le sue parole da' a tutti un grande esempio di forza e coraggio. Brava Giulia e grazie.
ULISSE, UN NOME, UN PERCHE' ovvero IL PIACERE DELLA SCOPERTA. è l'incarnazione dell'intelligenza e dell'astuzia . i detrattori considerano ulisse un " pallonaro", un racconta balle, proprio come quei signori che dicono alla moglie di fare un viaggetto di 5 giorni a cuba e..... , guarda caso, ci restano per 5 anni, sostenendo che hanno "fatto incidente stradale" e che, in quei paesi comunisti, ti ritirano il passaporto e ti processano dopo tanti anni! ulisse è il re di itaca, marito della fedele e devota penelope, padre di Telemaco e di almeno 12\13 figli non meglio identificati, ulisse non ha fatto granchè per la sua isola, perché, giovanissimo, partì per la guerra, suo malgrado. egli è l'attore non protagonista nella guerra di troia ( l'iliade), ma assurge ad interprete principale, assoluto allorquando alla fine della guerra esclamo ai suoi compagni " TUTTI A CASA!" e da questo preciso momento ha inizio l'ODISSEA..........anche DANTE ALIGHIERI narra di avere incontrato ulisse nel suo viaggio immaginario all'inferno, nella bolgia dei consiglieri fraudolenti. lo rappresenta come un freddo razionalista ateo, che con la sua algida curiosità, oltrepassa i limiti imposti da dio ( dal fato), avventurandosi in campi proibiti....e poi c'è L'ULISSE DI JOYCE! voglio citarlo perché, per me , solo per me, è un romanzo sconclusionato. considero jems joyce ( solo io però) uno scrittore con seri problemi di linguaggio. il romanzo racconta di un viaggio "interno" del protagonista con un lunghissimo monologo, senza punteggiatura, che manda letteralmente in tilt il cervello. il libro è talmente noioso che forse neppure il traduttore lo ha mai finito e non lo saprebbe raccontare.........la odierna recensione è troppo breve perché l'odissea di ulisse è "troppo" lunga, bella e affascinante. io ci ritornerei sull'argomento, magari illustrando ogni domenica un viaggio , compreso il viaggio di ulisse dentro di se, quello dentro i suoi compagni, dentro la "politica" delle diverse civiltà-culture visitate; dei cannibali, dei lotofagi ( libertari e antiproibizionisti) , dell'isola di circe, delle sirene e del regno dei morti.....precorrendo dante......bon dimanche à vous asussi.
Cara Giulia, le tue parole mi commuovono. Cercherò di contattarti privatamente, perchè voglio dirti qualcosa. Per ora grazie e un abbraccio con affetto. Grazie al Sig. Antoine per le belle parole, che mi onorano. Concordo, infine, con il Sig. Aznavour. Ieri notte ho avuto difficoltà a chiudere la recensione, perchè davvero le considerazioni da fare sono molte e il testo si presta a diverse interpretazioni. Ma prometto di tornare sull'argomento (le confesso che anche io ho letto con fatica i movimenti-viaggi che corrono in senso contrario di Bloom/Odisseo e Dedalus/Telemaco, sebbene apprezzi le innovazioni stilistiche di Joyce). Buon inizio settimana.
Rimpiango i tempi del liceo quando l'Odissea si leggeva in greco con la musicalità dell'esametro. Oggi purtroppo si è quasi persa del tutto la lettura in lingua originale.
L'Odissea non è stata scritta da Omero ma da un altro scrittore che si chiamava pure lui Omero.
Per il Sig. Dil Luigi: la figura di Omero è leggendaria e si è arrivati persino a dubitare della sua stessa esistenza. Dall'antichità ci sono giunte diverse biografie romanzate del personaggio, che citano differenti luoghi di nascita: l'isola di Chio, Atene, Itaca, Smirne, in Asia Minore. Tuttavia si propende, come luogo di origine, per l'isola di Chio: spesso ci si riferiva infatti a Omero chiamandolo "il cieco di Chio". Quindi di Omero non abbiamo alcuna notizia fondata. Ma già a partire dall'Età Alessandrina, quando nacque la filologia, si cercò di "rintracciare e fissare il testo omerico autentico", infatti dei poemi circolavano edizioni molto diverse tra loro. Dal 1600 iniziò l'ampio dibattito per interpretare adeguatamente l'origine e la genesi dell'Iliade e dell'Odissea (sebbene propriamente si parli di "questione omerica" a partire dal 1795, anno in cui F. A. Wolf pubblicò i "Prolegomena ad Homerum"). L'abate d'Aubignac ipotizzò che Omero non fosse esistito e che le due opere tramandate sotto il suo nome fossero state composte da aedi differenti. Ipotesi questa condivisa da Giambattista Vico che, nel trattato "Della discoverta del vero Omero", sostenne che i poemi non fossero opera di un autore determinato, ma di un popolo intero. F. A. Wolf ripartì dalle intuizioni dei filologi alessandrini e rintracciò un "nucleo originario" dei poemi (quelli sì opera di un certo Omero), poi "ampliatosi e corrottosi fino a raggiungere la veste della redazione pisistratea". Questi nuclei sarebbero, per il grammatico G. Hermann, l'ira di Achille per l'Iliade, e il viaggio di Ulisse per l'Odissea. Ma Wolf e gli epigoni trascurarono il tema dell'oralità, posti nuovamente al centro del dibattito da Milnam Perry nel 1928. Egli si recò in Iugoslavia per ascoltare dal vivo i cantori locali. A lui si devono interessanti osservazioni sulla formularità, in particolare sull'uso degli epiteti. Dopo le analisi di Perry si sono approfonditi gli studi sull'oralità e sull'aspetto antropologico dell'Iliade e dell'Odissea.
La mia era solo e semplicemente una provocazione. Io volevo testare, prendendo in prestito la frase di un dotto in relazione ad Omero, il suo sapere. Mi complimento con Lei.