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Il Libro della Domenica: Alda Merini. L'altra verità, il diario di una diversa

di I due Punti
2 minuti

Hanno cercato di strapparle via i ricordi, le passioni, l’ identità, ma il loro fallimento è dato dalla grandezza di questa poetessa. Righe taglienti, ma allo stesso tempo soavi. Alda Merini non ha avuto una vita facile e quei dieci lunghi anni in manicomio, raccontati nel libro, rafforzano il coraggio di una donna che ci ha insegnato molto.
  Difficile definire persone gli individui con i quali la poetessa ha avuto a che fare negli anni di internamento. Questo libro è realtà, verità e non una trama costruita nei minimi particolari  per suggestionare i lettori.
La realtà è un incubo e  l’incubo ha un nome: ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano.
Se fossi completamente guarita mi ergerei a giudice, e condannerei senza misura. Ma molti, tutti, metterebbero in forte dubbio la mia sincerità, in quanto malata. E allora ho fatto un libro, e vi ho cacciato dentro la poesia, perché i nostri aguzzini vedano che in manicomio è ben difficile uccidere lo spirito iniziale, lo spirito dell’infanzia, che non è, né potrà mai essere corrotto da alcuno.
Alda all’interno di questo “luogo della morte” trova l’amore , trascorre dei giorni quasi felici, riacquista la speranza, ma basta poco per ricadere nel baratro, soprattutto se i medici trasferiscono l’unico motivo che la spinge ad andare avanti in un altro ospedale. Nessuno però può soffocare i sentimenti di una donna che ha tanto da donare e così con una macchina da scrivere tra le mani, le parole colorano velocemente la distesa bianca del foglio e l’animo esplicita la sua voglia di vivere.
La speranza ora rivive in quelle parole e nella voglia di incontrare di nuovo il suo grande amore : Pierre. Non rimane che salvarsi da un luogo così.
Il manicomio non è correzionale. Ognuno che vi entra vi porta i suoi valori sostanziali e ve li conserva gelosamente. Così ho fatto io a dispetto di tutti i vituperi  e di tutti gli elettroshock”.
La Merini scrive chiaramente che la conclusione di tutta questa dolorosa esperienza è che la pazzia non esiste e  delusa ammette che il vero manicomio l’ ha vissuto  fuori,  quando ha affrontato il giudizio delle altre persone e  la loro  cattiveria.
(Merini Alda, L’altra verità - Diario di una diversa, pp.158 Rizzoli, euro 8.40)

Viviana Zechini

 

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Complimenti Viviana.......
Anch'io ho conosciuto, poco più che maggiorenne, la psichiatria, con tre ricoveri coatti senza che avessi mai dato in escandescenze, in assenza di una qualsiasi manifestazione di violenza verso me stesso o gli altri. Fortunatamente la legge non permetteva più ricoveri a tempo indeterminato e me la sono cavata complessivamente con un mese e mezzo di prigionìa, dove ho avuto la possibilità di constatare l'inadeguatezza del personale medico nella trattazione delle problematiche mentali. Ho visto persone trattate e danneggiate inutilmente con l'elettroshock, mentre altre costantemente tramortite con dosi massicce di tranquillanti e altre ancora legate a letto con l'aggiunta della camicia di forza. Ma più ancora di queste più o meno inutili violenze rimasi colpito dalla totale assenza di dialogo fra i medici e i pazienti da curare. Dentro di me pensavo che ad aver bisogno di cure fossero proprio loro, certamente non li invidiavo. Le medicine che mi davano mi facevano stare molto male, ma alle mie osservazioni l'unica risposta che ricevevo era sempre la stessa, la più banale: "le devi prendere per guarire". Pensai di fuggire dal "moderno" manicomio, ma sapevo che sarebbe stato inutile. Pensai anche al suicidio, ma fortunatamente non si presentò l'occasione giusta. Allora usai l'inganno tenendo in bocca le pasticche e ingurgitando solo l'acqua, sotto gli occhi dell'infermiere di turno che controllava, buttandole subito dopo nel cesso. Così mi sono salvato dalle "cure" degli specialisti. Sono assolutamente d'accordo con la mia nobile "rappresentante" Alda Merini: "il manicomio non è correzionale. Ognuno che vi entra vi porta i suoi valori sostanziali e ve li conserva gelosamente". Così nel mio piccolo ho fatto anch'io. I veri pazzi, dice bene Alda, circolano liberi anche e soprattutto in camice o colletto bianco, incapaci di riconoscere e capire se stessi e il prossimo. Non è solo un modo di dire.