È vero in Italia ci si lamenta spesso, ma la ragione è che infondo non c’è molto da ridere. Perché questo è il Paese dove puoi studiare e investire tempo per la tua preparazione, senza che ciò sortisca nessun effetto in termini di occasioni lavorative e dove diventa invece Ministro della Salute (dico della Salute!) una donna neppure laureata.
Qui l’elezione di un Presidente del Consiglio di quarantasette anni, viene salutata come l’avvento di un “giovane”.
Tony Blair e David Cameron avevano quarantatré anni quando sono diventati premier britannici, Bill Clinton quarantasei e Obama quarantasette quando sono stati chiamati a governare gli Stati Uniti.
Eppure Aldo Cazzullo, editorialista del Corriere della Sera, con l’agile saggio “Basta piangere!” (Edizioni Mondadori) prova a reagire al disfattismo di Monti, per cui quella dei quarantenni è una “generazione perduta”, o alla superficialità di Brunetta, per cui i giovani italiani sono “bamboccioni”, con un messaggio di ottimismo e con il recupero dell’uso di “noi” al posto di “io”.
“Vale la pena di unirsi, parlarsi, fare rete, costruire alleanze, stringere amicizie, condividere progetti comuni, anche solo per vivere meglio. In questi anni siamo stati troppo individualisti”.
Nel libro ripercorriamo la storia della generazione di Cazzullo e insieme quella dei più anziani, “che non hanno trovato tutto facile; anzi, hanno superato prove che oggi non riusciamo neanche a immaginare. Hanno combattuto guerre, abbattuto dittature, ricostruito macerie. Hanno fatto di ogni piccola gioia un’assoluta felicità anche per conto dei commilitoni caduti nelle trincee di ghiaccio o nel deserto”.
Ritroviamo inoltre gli eventi storici, i fatti di cronaca, i successi sportivi più rilevanti, a partire dagli anni Sessanta del Novecento e fino all’età contemporanea. È un sentimento di nostalgia quello che traspare, che però non cattura completamente lo scrittore tanto da fargli considerare il passato “l’età dell’oro”, rispetto a un presente cupo e angoscioso. Anzi Cazzullo tenta di dimostrare che la commiserazione è superflua, perché le generazioni passate hanno vissuto le difficoltà del dopoguerra, il terrorismo degli anni ’70, le morti frequenti dei giovani per eroina negli anni ’80.
All’improvviso affiorano ricordi sopiti, una canzone, un film, un oggetto, una pubblicità: “Sandokan” con Kabir Bedi, il mago Zurlì, “Il tempo delle mele”, con la canzone “Dreams are my reality”, “Sapore di mare”, “Portobello”, ma anche il walkman con le cuffiette, le cinture El Charro, i camperos, le borse Naaj-Oleari, il gel per i capelli, “il Ciao per le ragazze, il Gilera a pedali per gli sfigati, la Vespa 125 Px con le marce per i fighetti”.
Anche la scuola era di qualità e formava una coscienza critica: “Si cominciava a capire da che parte stare nella vita, se con l’apollineo o con il dionisiaco, con il sole o con la luna, con il giorno o con la notte, con l’ordine o con il caos, con l’armonia o con la frenesia, con la sobrietà o con l’ebbrezza, con la responsabilità o con la rivolta, con Ettore profondamente umano o con il semidio Achille”.
A differenza di Cazzullo, però, credo che i giovani sappiano di essere fortunati, perché nati e cresciuti nel benessere. Non hanno perso il mordente, sono avviliti perché sanno che gli sforzi non sono ripagati; che è “più importante conoscere qualcuno che non qualcosa”; che sono ricompensati gli yes men, anziché i meritevoli; che i politici gradiscono perpetuare un sistema clientelare; che dovranno cercare fortuna all’estero. Il loro pianto è dell’anima, anche quando fuori sorridono. Senza speranza il cuore palpita a rilento.
Commenta
Commenti