Nel romanzo “Resurrezione” Lev Tolstoj ritrova la vena creativa dei grandi romanzi precedenti, traendo ispirazione da un fatto di cronaca: la storia di una giovane orfana che, ospitata da parenti, viene sedotta da uno di questi il quale, constatata la sua gravidanza, l’abbandona al suo misero destino. Diventata prostituta, viene poi arrestata per furto. Tra i giurati incontra nuovamente il suo carnefice che, per assopire la sua coscienza, spinto dai rimorsi, decide di sposare la donna, che però muore di tifo in carcere.
Nell’aprile 1887 Tolstoj legge “La Certosa di Parma” di Stendhal, libro che riaccende in lui il desiderio di tornare a scrivere un romanzo. Nel marzo 1889 progetta di creare un romanzo “ampio e libero” alla maniera di “Anna Karenina”. I primi abbozzi dell’opera risalgono al dicembre del 1889, ma l’autore non è ancora pronto per un romanzo di ampie proporzioni. Quando Tolstoj comprende di poter finalmente comunicare “il suo programma religioso e sociale in una forma accessibile e persuasiva, si può costringere a questa impresa” (George Steiner).
Il fine ideologico guida ancora l’intera narrazione, ma l’artista travalica il moralista. Il concetto dell’espiazione della colpa, come elemento necessario per la resurrezione dalla tragicità delle passioni e dall’inganno, è alla base della storia di Katjuša che, abbandonata da Nechljudov, conosce la nefandezza della prostituzione e poi la redenzione dello spirito, a seguito della deportazione in Siberia. Nechljudov vuole salvare la donna dal suo destino di dolore e se stesso dal rimorso per la colpa commessa. Ma Katjuša non vuole accettare il suo aiuto: “Vattene da me. Io sono una forzata e tu un principe, e questo non è posto per te”, gridò trasfigurata dall’ira, stappando via la mano. “Vuoi salvarti per mezzo mio”, proseguì, affrettandosi a dire tutto quello che le si era levato nell’anima. “A mie spese te la sei spassata in questa vita, e adesso a mie spese vuoi salvarti all’altro mondo!”.
Lo scrittore dimostra in “Resurrezione” una immutata efficacia narrativa: oltre il contenuto morale, l’opera infatti si impone per i suoi valori finemente letterari. Lo stile tolstoiano trova in “Resurrezione” la sua estrema e maestosa espressione. “Quando Tolstoj apre gli occhi sulla realtà delle scene e degli avvenimenti, invece di tenerli ostinatamente fissi sui meccanismi della sua collera, la sua mano si muove ancora con irraggiungibile maestria” (George Steiner).
Il romanzo insegna che l’animo umano è inconoscibile, infatti “Gli uomini sono come fiumi: l’acqua è in tutti uguale e ovunque la stessa, ma ogni fiume è ora stretto, ora rapido, ora ampio, ora tranquillo, ora limpido, ora freddo, ora torbido, ora tiepido. Così anche gli uomini. Ogni uomo reca in sé, in germe, tutte le qualità umane, e talvolta ne manifesta alcune, talvolta altre e spesso non è affatto simile a sé, pur restando sempre unico e sempre lo stesso”. Il riscatto morale può realizzarsi solo individualmente, come rinascita etica, attraverso un percorso di espiazione dai rimorsi della coscienza. “Niente è più raro in un uomo di un atto che sia suo” (Emerson).
Commenta
Commenti