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Il LIbro... Il Gattopardo

di Maria Cristina Marroni
3 minuti

Lessi “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa la prima volta a quattordici anni per obbligo scolastico e non mi innamorai del giovane Tancredi, ma del principe don Fabrizio Salina, possente e forte, infatti “le sue dita sapevano accartocciare come carta velina le monete da un ducato”.
Da allora ho un debole per la Sicilia, ne annuso l’odore dei limoni e sogno esplorazioni nelle vecchie dimore nobiliari, il cui fascino grandioso resiste al tempo.
Il Gattopardo” è un romanzo storico sulla società siciliana (in particolare sull’aristocrazia) descritta dal 1860 fino alla fine del secolo. Il protagonista è proprio don Fabrizio, astronomo assai noto e premiato alla Sorbona; in principio resta indifferente all’arrivo dei garibaldini, poi vi aderisce e per convenienza e per gli entusiasmi del caro nipote Tancredi, principe di Falconieri.

Tancredi ha intuito l’opportunità di combattere fra i garibaldini; sarà rispettivamente ufficiale, deputato e diplomatico del nuovo Regno. Sposerà, sollecitato dallo zio, Angelica Sedàra, donna molto affascinante e figlia di un parvenu che diventerà  senatore. Calogero Sedàra diventa simbolo della sfrontatezza della ricchezza accumulata rapidamente e in modo poco chiaro.
Felice dal punto di vista narrativo è il capitolo sul ballo (riprodotto magnificamente da Luchino Visconti nella versione cinematografica), dove gli aristocratici palermitani si rallegrano, due anni dopo lo sbarco, contenti “che nulla sia cambiato”.

Pagina dopo pagina il lettore impara a conoscere meglio il principe Fabrizio, tenacemente legato alla propria terra e lucidamente ancorato alle proprie disillusioni, fino alla morte avvenuta nel 1883. “In Sicilia non importa far male o far bene; il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare”.
La trama si svolge in un tessuto di episodi nei quali i soggetti vengono tratteggiati con una semplice pennellata o riassunti integralmente nella concisione di una frase; l’autore indugia in discussioni sulla persistente utilità del ceto nobiliare, sulla ininfluenza del susseguirsi al potere delle varie classi sociali, sul significato dell’esistenza, in una rassegnata  e persistente idea della morte: “Finchè c’è morte, c’è speranza”. Tante cose appaiono vacue e acquisiscono anch’esse sapore di morte: la volgarità della borghesia; l’orgoglio nobiliare; il fascino, il potere tout court. Tuttavia la vita sorprende con moti imprevedibili.

Così la storia riempie il proprio tempo, ma contemporaneamente fugge via: attraversa l’anima dei personaggi, i palazzi sbrecciati, i giardini rigogliosi. E, attraversato lo Stretto, arriva fino a noi, tentando di destarci: "Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra".



 

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Commenti

Ottima recensione.La sig.ra Maria Cristina ci ha offerto gli strumenti per avvicinarci al romanzo in modo piu' consapevole e mettendo in luce le pecurialita' stilistiche.Grazie.
Incredibile, sono piacevolmente sorpreso. Ho iniziato a leggere questo articolo con la certezza di ritrovarmi di fronte alla solita citazione "bisogna che tutto cambi affinche nulla cambi", riferita ai vetusti giochi di potere teramani. E invece, no ... bene così, a parte qualche recente caduta di stile, questo sito resta piacevole
Vorrei aggiungere invece un' altra citazione straordinaria tratta dal romanzo: "Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali".
A questo punto, ne aggiungo una che ben si addice anche ai teramani ... anche a quelli che vanno alla NASA ma che restano teramani dentro "I siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria, ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se si tratti di Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla"
oh Maria Cristina siamo in par condicio. Che fai ? Tancropardo a quando?
Scrittura assai felice. Il finale poi è davvero straordinario.
Il romanzo in questione è molto attuale e non riferibile solo alla Sicilia.Infatti diventò un caso letterario in Francia nell'anno della pubblicazione.
QUASI COME L'ALTA SOCIETA' RAPPRESEMTATA DA MARIO MONTI. la potente famiglia siciliana pronta a tutto pur di conservare la supremazia anche nella nuova contraddittoria italia unita del 186o. un implacabile lezione di opportunismo politico. tuttavia non mi sembra un opera letteraria di livello ( insomma per bocche buone). mi azzardo a definirlo un romanzo storico neoottocentesco con l'aggravante di essere ideologicamente regressivo. quel mondo mi fa venire in mente la lista civica nazionale di mario monti, innegabile espressione dell'alta società italiana piena zeppa di doppi cognomi come tomasi di lampedusa. alta società maestra ad adattarsi ai cambiamenti politici conservando i propri privilegi. tuttavi tomasi di lampedusa è un letterato di razza, il suo stile è raffinato ed ironico, la sua prosa è variata e musicale e si presta splendidamente alla lettura ad alta voce, provate. au revoir
Aggiungo altra splendida citazione: "I siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti: la loro vanità è più forte della loro miseria, ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se si tratti di Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla".